La gestione della trasmissione del SARS-CoV-2 e del conseguente rischio contagio: il punto di vista di un ingegnere

Potrebbe sembrare strano che un ingegnere possa discutere della trasmissione del SARS-CoV-2 ed intervenire direttamente nel dibattito pubblico sulle azioni intraprese dalle Autorità Sanitarie a tutela della salute pubblica con riferimento alla pandemia del COVID19.

Purtroppo, però, nonostante i continui tentativi personali e di tutta la mia comunità scientifica (sono uno studioso dell’aerosol e della qualità dell’aria) con i quali abbiamo cercato di condividere le nostre conoscenze, la comunità medica e le Autorità Sanitarie hanno negato e negano tuttora il contributo della trasmissione aerea dei virus, il cosiddetto aerosol. La visione ottocentesca dell’OMS e delle Autorità Sanitarie Nazionali, basata sulle conclusioni errate degli esperimenti di Flugge (1897) e Chapin (1914) ha comportato un approccio alla pandemia estremamente confuso, ascientifico e non adeguato al livello attuale delle nostre conoscenze. Basti ricordare solo alcuni episodi:

  • Marzo 2020. L’OMS, anche tramite la dr. Maria Van Kerkhove, COVID19 technical lead, correla la trasmissione del SARS-CoV-2 unicamente ai cosiddetti droplets e attraverso le superfici. Quali sono state le conseguenti azioni intraprese e applicate anche in Italia? Distanziamento e lavaggio delle mani. La frenesia iniziale della sanificazione legata alla trasmissione per superfici è oggi (giustamente) scomparsa dal momento che questo tipo di trasmissione (come noto nelle comunità scientifiche) ha un ruolo assolutamente marginale.
  • Il 28 marzo 2020, due mesi dopo che l’OMS aveva dichiarato il COVID-19 un’emergenza sanitaria globale, l’agenzia ha trasmesso un messaggio di salute pubblica su Twitter e Facebook. “FACT: # COVID19 IS NOT AIRBORNE”, etichettando le affermazioni contrarie come disinformazione. Ma le prove hanno rapidamente stabilito che il virus viene trasmesso per via aerea e i ricercatori hanno criticato aspramente l’agenzia.
  • Aprile 2020. La Protezione Civile tramite il dr. Borrelli dichiara l’inutilità delle mascherine chirurgiche per contenere l’epidemia. Questo approccio viene direttamente dall’OMS che ha avuto un atteggiamento molto tiepido inizialmente nell’uso di dispositivi di protezione individuale, anche rispetto al personale sanitario che è stato esposto senza la protezione adeguata dei filtri facciali, unici dispositivi di protezione individuale realmente efficaci rispetto alla trasmissione aerea.
  • Maggio 2020. Nelle “Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2. Versione del 25 maggio 2020, Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Qualità dell’Aria Indoor 2020, ii, 13 p. Rapporto ISS COVID-19 n. 5/2020 Rev. 2” dell’ISS, la trasmissione aerea del COVID19 non viene considerata. Tutti i protocolli, sui quali si sono basati gli investimenti delle attività commerciali per garantire la sicurezza negli esercizi commerciali, si sono conseguentemente rivelati inadeguati a contenere i contagi.
  • Giugno 2020. L’OMS, tramite la dr. Maria Van Kerkhove, dichiara che “la diffusione del COVID19 degli asintomatici è molto rara”.
  • Luglio 2020. A seguito di una lettera sottoscritta da 239 scienziati, l’OMS è costretta a dichiarare “possibile” la trasmissione aerea del COVID19. Al di là del documento però, nessuna azione concreta è intrapresa per mitigare questa via di contagio.
  • Agosto-Settembre 2020. La seconda ondata viene associata in Italia a dei presunti comportamenti non virtuosi: in realtà erano leciti per il CTS e a fine agosto l’incidenza in Italia era di gran lunga inferiore ad altri paesi europei come Francia, U.K., Spagna, … Il dr. Fauci, noto virologo di fama mondiale ammette l’errore della sua comunità scientifica nel trascurare la trasmissione aerea.
  • Settembre 2020. Si impone l’utilizzo delle mascherine all’aperto. Dal punto di vista scientifico questa misura risulta non necessaria dal momento che il distanziamento è sufficiente per avere rischi trascurabili negli ambienti aperti.
  • Novembre 2020. Il 9 novembre il Ministero dell’Istruzione sulla base della riunione del CTS del giorno precedente impone l’uso obbligatorio delle mascherine chirurgiche per gli studenti seduti al banco. Fino ad allora, quindi, soggetti esposti in un ambiente chiuso potevano erroneamente considerarsi in sicurezza se distanziati ed indipendentemente dalle condizioni di ventilazione.
  • Febbraio 2021. La dr. Maria Van Kerkhove per la prima volta parla di respiratory droplets (aerosol) e della ventilazione. Non c’è però nessun aggiornamento nelle posizioni ufficiali dell’OMS.
  • Marzo 2021. Si impone una distanza di sicurezza maggiore (fino a 2 m) perché le varianti del COVID19 sono più infettive. Questa misura non ha alcuna valenza scientifica.

Anche se gli errori sembrano tanti e su diversi fronti, essi hanno in realtà un’unica radice: il non aver considerato la trasmissione aerea del COVID19, con conseguenti:

  1. incapacità nel controllo dei contagi e impossibilità del tracciamento;
  2. inadeguatezza delle misure di protezione sia per il personale sanitario che per i cittadini;
  3. interventi non correlati al rischio effettivo;
  4. protocolli non adeguati con costi sostenuti elevati;
  5. incapacità di “convivere” con il virus.

E’ evidente che una pandemia richiede oggi un approccio multidisciplinare, con competenze anche nei settori della scienza dell’aerosol, dell’ingegneria ambientale e dell’impiantistica con riferimento alla ventilazione. Purtroppo queste competenze sono rimaste sempre fuori dal CTS. Eppure il contributo sarebbe stato molto importante. Abbiamo infatti definito l’emissione del carico virale di un soggetto infetto anche asintomatico1, sviluppato tool per la stima del rischio in ambienti chiusi ([1],  [2]), proposto soluzioni ingegneristiche per convivere realmente con il virus, con la finalità di ridurre ma non di interrompere le attività della nostra società2.

Cosa avrebbero potuto fare quindi gli ingegneri?

Il contributo degli ingegneri pre-vaccino: la gestione del rischio in una classe scolastica

La scuola rappresenta ancora oggi uno dei settori su cui si concentra il dibattito pubblico. C’è il partito del pro-apertura (con in testa molti virologi/immunologi) e chi ritiene sia un ambiente a rischio e che le attività possano essere sostituite con la famosa DAD (didattica a distanza). Al più grande termodinamico della storia, Lord Kelvin, si attribuisce la seguente citazione “Quando puoi misurare ciò di cui stai parlando, ed esprimerlo in numeri, puoi affermare di saperne qualcosa; se però non puoi misurarlo, se non puoi esprimerlo con numeri, la tua conoscenza sarà povera cosa e insoddisfacente…”. Mai citazione è stata più calzante come nel caso in esame dove in realtà si discute di opinioni e non di certezze.

Per affrontare questo problema definiamo il seguente scenario:

  1. classe scolastica di 50 m2;
  2. 25 studenti + 1 insegnante presenti;
  3. tempo di esposizione degli studenti 5 ore, dell’insegnante 1 ora (di spiegazione);
  4. ventilazione naturale (come nella totalità delle scuole italiane);

Per la valutazione del rischio si farà riferimento all’AIRC tool sviluppato dall’Università di Cassino, dalla Queensland University of Technology (Australia) e dalla New York City University.

Il caso peggiore risulta quello di un insegnante infetto che spiega (a voce alta) per un’ora. Questa situazione rappresenta la condizione delle nostre classi scolastiche fino al 9 novembre scorso (scenario di riferimento), senza alcun intervento sulla ventilazione, attenuazione dell’emissione o dispositivi di protezione personale durante la permanenza in classe.

In tabella sono riportati i valori di Revento (numero di persone infettate nel caso di insegnante infetto) e gli effetti su questo parametro in funzione dei possibili interventi di mitigazione del rischio.

Rispetto alla condizione di riferimento, le misure intraprese dalle Autorità Sanitarie hanno riguardato essenzialmente l’adozione di mascherine chirurgiche con una riduzione del parametro Revento a 4.2, valore assolutamente inaccettabile. L’eventuale utilizzo di filtri facciali comporterebbe un Revento = 1.6. Questi due valori, corrispondenti a due definiti livelli di rischio, possono essere raggiunti (e migliorati) con scelte ingegneristiche: un utilizzo di un purificatore dell’aria comporterebbe livelli di rischio migliori (2.5) rispetto alle mascherine chirurgiche, mentre con un impianto di ventilazione meccanica controllata si migliorerebbe (1.4) la situazione relativa all’uso di filtri facciali. Le scelte ingegneristiche avrebbero anche un ulteriore vantaggio: il controllo delle condizioni ambientali rispetto all’aleatorietà delle condizioni di rischio con i dispositivi di protezione individuale delegata alla capacità di uso di persone non esperte. L’obiezione del mondo medico alle scelte ingegneristiche si è incentrata sulla difficoltà di investire somme ingenti per la sicurezza. Ed allora, quanto costerebbero queste soluzioni?

Prendendo a riferimento i costi definiti dal governo italiano per la mascherina chirurgica (0.50 €) e per i filtri facciali (1.50 €), il costo annuale sarebbe di 2500 €/anno e di 7500 €/anno per classe. Ed i costi delle scelte ingegneristiche? Un purificatore in grado di fornire 3 ricambi/h per una classe scolastica ha un costo di circa 1000 € comprensivo dei costi di esercizio, quello di un impianto di ventilazione meccanica controllata (riferito ad una classe, con costi che si riducono all’aumentare del numero di classi) attorno ai 5000 €. Queste cifre ci fanno capire due aspetti importanti:

  1. a parità di rischio le scelte ingegneristiche sono più convenienti economicamente;
  2. il costo della scelta ingegneristica è in realtà un investimento dal momento che il purificatore o l’impianto avrebbe costi (solo di esercizio) estremamente ridotti negli anni successivi.

La ventilazione da sola però non è sufficiente per “mettere” in sicurezza una classe scolastica. Bisogna infatti prima di tutto ridurre l’emissione della sorgente (in questo caso far parlare a bassa voce il docente) e poi agire sulla ventilazione2. I valori corrispondenti di rischio di queste azioni combinate che prevedono l’utilizzo di un microfono (100 €) sono ben al di sotto di 1.

E se non ci fosse la possibilità di investire nella ventilazione meccanica? Potremmo pensare di aprire le finestre (aerazione) ma in modo ingegneristico, controllato. Infatti, possiamo monitorare il livello di ventilazione con economici sensori di concentrazione di CO2 (costo attorno ai 100 €). La CO2 viene emessa nell’atto respiratorio insieme alla goccioline che trasportano il virus e quindi l’accumulo di CO2 indica un potenziale rischio di accumulo di carica virale: in funzione dei valori di CO2, con dei valori di alert, si possono aprire le finestre realizzando una ventilazione (aerazione) praticamente gratis4.

Il contributo degli ingegneri post-vaccino: la vera convivenza con il virus

Dal punto di vista ingegneristico, il vaccino rappresenta una delle misure da intraprendere per controllare l’epidemia. Sappiamo che l’immunità di gregge, per un virus con questa contagiosità, sarà impossibile da raggiungere. Ed allora potremmo tornare alla nostra vita pre-COVID19, possiamo tornare a vivere i nostri ambienti indoor con lo stesso stile di vita? Prendiamo a titolo di esempio un ristorante con 100 persone con un tempo di esposizione di circa 1.5 ore (condizioni pre-COVID19). Nella figura è riportato il valore di Revento, ovvero quante persone infetterebbe un soggetto infetto presente al variare della ventilazione e del tasso di vaccinazione. Un ristorante con ventilazione naturale (0.5 h-1) avrebbe oggi (100% suscettibili) un Revento pari a 6, ovvero la persona infetta comporterebbe la trasmissione dell’infezione a 6 persone suscettibili. Con una ventilazione estremamente elevata (6 h-1) Revento sarebbe ancora ben superiore ad 1. Con il 50% di presenti immunizzati, in ventilazione naturale, Revento sarebbe superiore a 3: in realtà nella condizione di ventilazione naturale solo percentuali di immunizzati superiori al 90% renderebbero sicuro l’ambiente ristorante ai fini della propagazione dell’infezione. Ma se la percentuale di immunizzati arrivasse al 70%? Ecco allora che con la ventilazione (attorno a 3 h-1) si può garantire Revento < 1 non abbandonando il nostro stile di vita.

Questi esempi dimostrano come gli studiosi dell’aerosol e gli ingegneri avrebbero potuto e potrebbero ancora contribuire a contenere i contagi rendendo anche più giuste e più economiche le misure di protezione da adottare.

Bibliografia

1 Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., The airborne contagiousness of respiratory viruses: a comparative analysis and implications for mitigation, Emerging Microbes and Infections, under review.

2 Morawska, L., Tang, J.W., Bahnfleth, W., Bluyssen, P.M., Boerstra, A., Buonanno, G., Cao, J., Dancer, S., Floto, A., Franchimon, F., Haworth, C., Hogeling, J., Isaxon, C., Jimenez, J.L., Kurnitski, J., Li, Y., Loomans, M., Marks, G., Marr, L.C., Mazzarella, L., Melikov, A.K., Miller, S., Milton, D.K., Nazaroff, W., Nielsen, P.V., Noakes, C., Peccia, J., Querol, X., Sekhar, C., Seppänen, O., Tanabe, S.-I., Tellier, R., Tham, K.W., Wargocki, P., Wierzbicka, A., Yao, M., 2020. How can airborne transmission of COVID-19 indoors be minimised? Environment International, 142, art. no. 105832, DOI: 10.1016/j.envint.2020.105832

3 Morawska, L., Buonanno, G. The physics of particle formation and deposition during breathing. Nat Rev Phys, 2021.

4 Stabile, L., Pacitto, A., Mikszewski, A., Morawska, L., Buonanno, G., 2021, Ventilation procedures to minimize the airborne transmission of viruses at schools, Building and Environment, under review.




Indice DQP: per l’immunità di gregge dobbiamo aspettare gennaio 2022

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro – le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

A metà della tredicesima settimana del 2021 (giovedì mattina, 1° aprile) il valore di DQP è pari a 40 settimane, il che corrisponde al raggiungimento dell’immunità di gregge non prima del mese di gennaio del 2022.

Il valore del DQP è nettamente migliorato rispetto a quello della settimana scorsa (immunità di gregge a marzo 2022).

Per raggiungere gli obiettivi enunciati dalle autorità sanitarie (immunità di gregge entro settembre-ottobre 2021), il numero di vaccinazioni settimanale dovrebbe essere un po’ meno di una volta e mezzo quello attuale (2 milioni la settimana, anziché 1.600.000). Quanto al numero di vaccinazioni al giorno, su cui normalmente ragionano i media, ne basterebbero circa 300 mila al giorno (compresi il sabato e la domenica), contro le 230 mila attuali.


Nota tecnica

Le stime fornite ogni settimana si riferiscono ai 7 giorni precedenti e si basano sui dati ufficiali disponibili la mattina del giorno in cui viene calcolato il DQP (quindi possono subire degli aggiornamenti).

Va precisato che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione completa procedendo “Di Questo Passo”.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni settimana, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “Di Questo Passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 4 parametri:

  1. una stima del numero di italiani vaccinati necessario per garantire l’immunità di gregge;
  2. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana considerata;
  3. quante vaccinazioni erano già state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  4. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa sulle ipotesi più ottimistiche possibili sul funzionamento del vaccino e sull’andamento della campagna vaccinale. Più precisamente:

  • i vaccini somministrati non solo proteggono i vaccinati dall’insorgenza della malattia, ma impediscono la trasmissione dell’infezione ad altri (immunità sterile);
  • l’obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • sul mercato vengono introdotti vaccini per tutte le fasce d’età, compresi gli under 16 (i vaccini attuali sono testati solo su specifiche fasce d’età);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano in modo completo una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.



The effects of physical distancing and lockdown to restrain SARS-CoV-2 outbreak in the Italian Municipality of Cogne

ABSTRACT

The outbreak of SARS-CoV-2 started in Wuhan, China, and is now a pandemic. An understanding of the prevalence and contagiousness of the disease, and of whether the strategies used to contain it to date have been successful, is important for understanding future containment strategies. One strategy for controlling the spread of SARS-CoV-2 is to adopt strong social distancing policies. The Municipality of Cogne (I), adopted strict lockdown rules from March 4, 2020 up to May 18, 2020. This first wave of the pandemic impressed by the extremely low impact of the SARS-CoV-2 on the locals, compared to the number accused on all the Italian territory. Starting from October 2020 up to the end of December, when the second wave hit Italy and Cogne territory, heavier effects were observed. In order to cast light on the effectiveness of the adopted strategy 74,5% of the local population underwent to a blood screening to detect IgM and IgG antibodies and after six months all the people tested positive were again investigated to establish the longitudinal changes in antibodies level. Moreover, within the context of this survey a rare and interesting case of secondary infection has been identified and here presented.

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Riaprire le scuole?

Da qualche tempo si riparla di aprire le scuole, o perlomeno le scuole materne ed elementari. Il tema della riapertura delle attività culturali sta particolarmente caro alla sinistra, come quello della riapertura delle attività commerciali alla destra. E’ dunque probabile che, nelle prossime settimane, assisteremo a esperimenti di riapertura su entrambi i fronti.

Ma che cosa ci dicono i dati dell’epidemia?

I dati dell’epidemia parlano purtroppo piuttosto chiaro. Fra le società avanzate, l’Italia continua a primeggiare sia in termini di nuovi casi sia in termini di decessi. Quel che è più grave, però, è il trend: in Italia, come in molti altri paesi avanzati, dopo un periodo di rallentamento dell’epidemia (gennaio-febbraio), è partita una nuova ondata: la terza, dopo quelle di marzo-aprile e ottobre-novembre dell’anno scorso.

Perché, ancora una volta, siamo stati colti di sorpresa? Perché non riusciamo a contenere la circolazione del virus? Perché gli ospedali e le terapie intensive sono di nuovo al collasso?

La spiegazione prevalente, su cui convergono mass media, autorità sanitarie e politici di ogni schieramento, punta il dito sui ritardi della campagna vaccinale. Questa spiegazione trova (apparente) sostegno nel fatto che nei tre paesi che sono più avanti nella campagna vaccinale, e cioè Israele, Regno Unito, Stati Uniti l’epidemia è in ritirata. Ma è una spiegazione fasulla, per almeno due motivi. Primo, perché la inversione delle loro curve epidemiche è avvenuta a gennaio, ben prima del decollo delle campagne vaccinali. Secondo, perché ci sono almeno quattro paesi importanti (Portogallo, Irlanda, Canada, Sud Africa) in cui la campagna vaccinale arranca almeno quanto in Italia ma l’epidemia è in ritirata spettacolare fin da gennaio. In tutti e sette i paesi che abbiamo ricordato l’epidemia è stata riportata sotto controllo nel giro di poche settimane.

C’è anche una spiegazione di riserva, però. Secondo molti la colpa delle difficoltà dell’Italia e di altri paesi starebbe nella diffusione delle varianti, e in particolare di quella cosiddetta inglese. La loro crescente trasmissibilità e letalità sarebbe all’origine della terza ondata, e spiegherebbe l’aumento dei casi e dei morti che stiamo osservando in Italia. Ma, di nuovo, è una spiegazione incompatibile con i dati. La variante inglese si è diffusa innanzitutto nel Regno Unito e in Irlanda, e ciò nonostante entrambi i paesi sono riusciti a far retrocedere rapidamente l’epidemia. Quanto alla variante sudafricana, non ha impedito al Sud Africa di invertire la curva fin dal 12 gennaio, senza alcun aiuto da parte delle vaccinazioni, che sono tuttora abbondantemente sotto l’1% (noi siamo vicini al 15%). Del resto un’analisi statistica più generale, che correla diffusione delle varianti e andamento dell’epidemia, rivela che le differenze nella capacità dei vari paesi di contrastare l’epidemia non dipendono in modo apprezzabile né dalla diffusione delle varianti, né dallo stato di avanzamento della campagna vaccinale.

Spiace doverlo ammettere, ma è inevitabile concludere che quel che ci differenza dai paesi che stanno efficacemente contrastando l’epidemia non è né il ritardo della campagna vaccinale né la diffusione delle varianti, ma sono le nostre politiche e i nostri comportamenti.

In che senso?

In due sensi. Primo, non abbiamo fatto e continuiamo a non fare le molte cose che potrebbero servire a contrastare il virus senza lockdown, dalla messa in sicurezza di scuole e traporti pubblici alle politiche di sorveglianza attiva. Secondo, il nostro lockdown – reso inevitabile dall’inerzia del governo Conte – non è un vero lockdown. Se, usando i dati di mobilità resi pubblici da Google, proviamo a misurare il grado di confinamento effettivamente messo in atto nei vari paesi, scopriamo che nei mesi critici di gennaio e febbraio siamo rimasti a casa circa la metà del tempo dell’Irlanda. Non solo, ma se facciamo una graduatoria dei paesi in base al grado di rispetto del lockdown troviamo ai primi posti precisamente i paesi che più hanno avuto successo nel contrastare l’epidemia: Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Sudafrica, Canada, Israele. In questa graduatoria l’Italia è solo 21-esima (su 36 paesi). Detto altrimenti, l’andamento dell’epidemia nelle società avanzate è strettamente connesso al rispetto delle misure di confinamento, specie nei mesi critici di dicembre-gennaio-febbraio (figura 1).

Né le cose vanno in modo sostanzialmente diverso se, anziché guardare ai comportamenti della popolazione, ci rivolgiamo ai provvedimenti adottati dalle autorità politico-sanitarie. Una comparazione sistematica fra paesi mostra che la misura più efficace nel contenere l’epidemia è stata la chiusura più o meno totale delle scuole, seguita dalla limitazione degli spostamenti sui trasporti pubblici: la capacità di contenimento dell’epidemia migliora man mano che le chiusure delle scuole diventano più sistematiche e generalizzate (figura 2).

Questo, purtroppo, dicono i dati se li si analizza senza pregiudizi (cosa sempre più difficile, stante la spinta bipartisan alle riaperture). Dobbiamo concludere che il lockdown è l’unica strada?

No, il lockdown non solo non è l’unica strada, ma è la strada sbagliata. Il lockdown è semplicemente l’arma dei governi inerti, che a un certo punto se lo ritrovano come unica arma disponibile perché – prima – non hanno fatto nulla o quasi nulla di quel che avrebbero dovuto fare. E’ quel che è successo a noi in autunno (ai tempi della seconda ondata), ed è risuccesso quest’anno, quando – non avendo di nuovo fatto nulla – ci siamo esposti alla terza.

E ora?

Ora è tardi, perché nel governo la linea del lockdown breve ma durissimo, invano caldeggiata da Walter Ricciardi (consulente di Speranza) fin da ottobre scorso, è stata definitivamente sconfitta, a favore di una linea del tipo “apriamo appena possibile”, che tradotto in pratica significa: apriamo appena c’è abbastanza posto negli ospedali e nelle terapie intensive per accogliere i nuovi malati. E’ possibile che questa linea, che già ci è costata almeno 40 mila morti non necessari da dicembre a febbraio, ce ne costi ancora “solo” alcune migliaia in più nei prossimi mesi, perché un miracolo farà improvvisamente decollare la campagna vaccinale, abbassando drasticamente il numero di morti quotidiano, e perché nessuna nuova variante riuscirà ad eludere i vaccini.

Ma è anche possibile che le cose non vadano così, e che una campagna vaccinale zoppicante combinata con un’altra estate incauta ci espongano, a settembre-ottobre, all’arrivo di una quarta ondata, ancora una volta amplificata dal ritorno a scuola. Possiamo, almeno questa volta, sperare che si faccia finalmente qualcosa, e che lo si faccia in tempo?

Ad alcune misure si sta già per fortuna pensando, ad esempio a tamponi e test periodici a studenti e professori. Poco si sta facendo, invece, sulle due misure chiave: garantire il distanziamento sui mezzi pubblici e mettere in sicurezza le aule. Eppure, se si vuole davvero riaprire definitivamente le scuole, sarebbero due mosse cruciali. Perché le misure di sicurezza dentro le scuole non sono sufficienti se il contagio avviene fuori, nel tragitto casa-scuola e ritorno. E, quanto alle misure interne, quella cruciale è garantire la qualità dell’aria, o mediante filtri che la depurano, o mediante impianti di ricambio con l’esterno (il costo sarebbe inferiore a quello sostenuto per i banchi a rotelle).

Speriamo tutti che, quest’autunno, l’epidemia sia sostanzialmente sotto controllo. Ma sarebbe imperdonabile che la prossima stagione fredda, per sua natura favorevole al virus, dovesse trovarci ancora una volta spiazzati, traditi dalla nostra attitudine ad auto-illuderci.

Pubblicato su Il Messaggero del 27 marzo 2021




Il tempo delle varianti, o il re-framing dell’emergenza infinita

“Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante testo del prof. Miconi, anche se alcune analisi appaiono in contrasto con quelle della Fondazione Hume”

Voce del verbo “variare”

Per discutere del mio tema – come i media operano il framing e re-framing della cronaca – inizierò dalle basi. Variante, sostantivo femminile derivato dal participio presente del verbo “variare”, è un termine di per sé neutro: indica, vuole la Treccani, una “modificazione rispetto a un esemplare o tipo che si considera fondamentale”; e “ciascuna delle diverse forme, dei diversi aspetti con cui una cosa si può presentare rimanendo sostanzialmente identica”[1]. Nella biologia dei virus, la variazione è un fatto altrettanto ordinario: la loro diffusione è scritta da una serie continua di errori di replicazione, che possono cambiarne la morfologia. Perfino l’Istituto Superiore di Sanità – perché tutto è lì, sotto i nostri occhi – ci fa sapere che “i virus, in particolare quelli a RNA come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma”[2]. Quanto al virus di oggi, la cautela è necessaria: perché la situazione non deve sfuggire di mano, e su questo siamo tutti d’accordo. Dall’altro lato, il buonsenso scientifico ci ricorda però una cosa: che di norma, tra le varianti di un virus, quella che si diffonde più velocemente è quella meno aggressiva, che produce danni minori all’organismo. E questo per una evidenza della teoria dell’evoluzione, spiegata da quel magnifico divulgatore che è Richard Dawkins: lo scopo del virus, per così dire, è quello di usare gli organismi cellulari per riprodursi, e quindi le forme che uccidono l’animale ospite finiscono per circolare di meno[3] [presumo che sia la ragione della scarsa diffusione di Ebola, che colpisce come il serpente dei tre passi]. Tra una necessaria vigilanza e un sano ottimismo, nel regno di mezzo del buonsenso possiamo concludere che al momento non c’è ragione di preoccuparsi più di tanto [al momento: se le cose cambieranno, vedremo]. E allora, perché parlare così tanto di varianti?

Per chi si occupa di ricerca sui media, come me, questo è un caso di scuola di propaganda su grande scala: improvvisamente, da un giorno all’altro, tutti gli organi di informazione iniziano a parlare di varianti – anche se il virus è sempre stato soggetto a mutazioni, e lo era quindi anche l’anno scorso. In più, la martellante campagna di opinione parla di allarme relativo alle varianti, anche se al momento – ripeto: al momento – non si vedono troppe ragioni per farlo. E d’incanto, con la soluzione più banale che ci sia – parlare solo e sempre di varianti, associandole in modo esplicito o surrettizio alla morte – manipolazione è fatta: il problema sono le varianti, di per sé; e nessun punto di vista alternativo è ammissibile. Per l’ennesima volta, grazie alla consonanza più che sospetta delle diverse fonti, la spirale del silenzio si è chiusa[4]. Tutto questo, per essere chiari, non implica alcuna valutazione sullo stato dell’epidemia, che non sono in grado di giudicare, né sulla pericolosità delle varianti, su cui non so nulla. Quello che sto discutendo, viceversa, è il clima di terrore sostenuto dai media, che a forza di allarmi – ogni variante è quella più letale; le due settimane a venire sono sempre quelle peggiori – finiscono per generare un rigetto inevitabile, e rendere la vita difficile a chi ha qualcosa di serio da divulgare. La sconcertante campagna di stampa sugli effetti del vaccino Astra Zeneca ne è la conferma più ovvia, e, quello che più conta, ha prodotto danni incalcolabili per la campagna di immunizzazione.

L’altro ramo della domanda riguarda il perché proprio ad un certo momento, visto che le mutazioni del virus esistevano anche prima – salvo che chi le evocava veniva bollato come negazionista, proprio perché alludeva logicamente ad una plausibile riduzione della letalità, e non sia mai [già, ve lo ricordavate?]. E dunque, è un caso che proprio ora si sia sprigionato il racconto delle varianti, quando le persone hanno smesso di essere spaventate dal virus, e hanno capito come conviverci, con prudenza ma appunto con l’intenzione di vivere? Che tutta la stampa, all’unisono, inizi a raccontare la stessa versione, come se – ma ovviamente è un esempio paradossale, non prendetelo alla lettera – qualcuno dall’alto istruisse i direttori delle testate su cosa fare? Che tanti personaggi si prestino ad alimentare questo clima, da medici che parlano di emergenze smentite dal loro stesso ospedale, a scienziati che vagheggiano di numeri inesistenti?

Lo dice la scienza?

Ora, le previsioni sugli effetti delle varianti le conosciamo a memoria, perché la stampa ha lanciato la solita gara al rialzo tra esperti più o meno improvvisati: Massimo Galli, Giorgio Gilestro, Nino Cartabellotta, Walter Ricciardi, Ilaria Capua, Giorgio Parisi, Andrea Crisanti, perfino uno studente di economia di nome Lorenzo Ruffino [nessuno dei quali, guarda caso, specializzato in epidemiologia]. Al di là delle sfumature, il messaggio era univoco: a marzo la variante farà danni maggiori del virus madre, ucciderà anche i giovani, e in due settimane – le solite, eterne due settimane a venire – avremo 50.000 contagi e 1500 morti al giorno. Parrebbe, insomma, che gli esperti siano selezionati in funzione della loro adesione alla dottrina del lockdown, più che delle loro competenze.  La prova, fin troppo facile, è che nessuno spazio è concesso a epidemiologi di profilo internazionale, che da tempo denunciano le chiusure come una follia: Sunetra Gupta e Lisa White di Oxford; John Ioannidis e Jay Battacharia di Stanford; Didier Raoult di Aix-Marseille; Martin Kulldorff di Harvard [come potete notare, tutti atenei di poco conto, a cui è normale non dare risalto]. Al punto che la Dichiarazione di Great Barrington – il manifesto contro il lockdown dell’ottobre scorso, firmato da 13700 scienziati – non è stata mai citata, come risulta dalla ricerca che stiamo svolgendo con l’Osservatorio di Pavia, dai telegiornali italiani. Voglio ripeterlo: in cinque mesi, tra tutti i telegiornali mainstream – che non parlano altro che di Covid – nessuno ha mai citato, nemmeno una volta, la posizione in materia di alcuni dei più accreditati epidemiologi del pianeta. E anche nei nostri quotidiani, di Covid-19 può parlare chiunque assecondi l’allarme, che siano igienisti, fisici, romanzieri, matematici, veterinari, gastroenterologi, statistici, e perfino studenti di economia; ma gli epidemiologi di Oxford e di Harvard no, loro non hanno titolo per intervenire. I nostri esperti, invece, più sbagliano e più sono chiamati a pontificare in TV: a condizione, va da sé, che continuino a sbagliare per eccesso e che nel dubbio diano la colpa ai cittadini, e mai ad un sistema sanitario incapace sia di curare i malati che di vaccinare gli anziani. Un’interminabile danza macabra, una litania medievale imbevuta di moralismo e morbosità, ben descritta da Andrea Venanzoni come una “religione pandemista”, professata da sacerdoti autoritari che si sono impossessati “manu militari” dei mezzi di informazione[5] – che su questo, aggiungo io, hanno una responsabilità colossale.

La terza ondata è stata meno forte del previsto, ha commentato infine Andrea Crisanti[6] – sembrava quasi con una punta di delusione, laddove di solito se la ride, mentre si parla di privare i cittadini dei propri diritti. Di certo, dal lato dei media studies osserviamo come il tentativo di framing della variante come nuova epidemia abbia funzionato a sua volta meno del previsto: un po’ per l’evidenza delle cose; un po’ per la stanchezza generale; e un po’ per le solite esagerazioni dei nostri giornalisti, capaci di rendersi ridicoli anche nel momento del tragico. Infatti, dopo le minacce brasiliane ed inglesi, è arrivata quella sudafricana; poi quella newyorkese isolata nelle Marche[7]; quella nigeriana rintracciata in Valle d’Aosta; e infine, al culmine del crescendo sabbatico, le “quattro varianti sconosciute” a Palermo[8], la “super-variante italiana” a Novara[9], e la “doppia variante” proveniente dall’India[10] [dove milletrecento milioni di persone, per inciso, hanno convissuto con il Covid con danni risibili]. E ora, vista a rischio l’operazione varianti, i media stanno cercando di operare l’ennesimo re-framing per giustificare delle restrizioni che nessun parametro noto sembra giustificare: fateci caso, ma siamo tornati letteralmente al clima dell’anno scorso, con le fotografie delle persone intubate, le puerili interviste in corsia ai negazionisti pentiti [palesemente inventate, lo so], e tutto il campionario di indecenze a cui i nostri media ci hanno abituato.

Chi segue il dibattito internazionale sa che, ormai in tutto il mondo, la stagione dei lockdown è finita; e molti iniziano a considerarlo come il più grande errore politico del Dopoguerra [quello che io, nel mio piccolo, ho sempre pensato]. Dove si è tornati alla vita normale, dalla Russia al Texas, la ritrovata socialità non ha spostato di un millimetro la curva epidemica. Negli Stati Uniti, come notato dallo stesso Kulldorff, è partita la gara a negare di aver mai appoggiato le chiusure. I dati ufficiali Eurostat indicano che la famigerata Svezia – il paese franco, che ha scelto la via delle libertà e delle responsabilità individuali – è tra le nazioni europee con minore mortalità in eccesso nel 2020[11] [e no, non lo troverete nei nostri media, se ve lo state chiedendo]. Solo pochi paesi, tra cui l’Italia, rimangono ancora posseduti dal culto sacrificale del lockdown, malgrado decine di studi ne mettano in discussione l’utilità, e malgrado i terrificanti danni sanitari, psichici, relazionali ed economici che ne derivano – in breve, la distruzione della nostra società e della democrazia liberale.

La libertà è una cosa semplice

Credo da tempo che, in parallelo alla vicenda epidemiologica – che non giudico, essendo incompetente – corra un’altra storia, quella di spietati gruppi di interesse e di potere che la stanno usando per altri motivi[12]; e che in questa seconda storia il controllo della popolazione non sia un mezzo, ma lo scopo in sé. Introducete questo cambio di variabile, e improvvisamente avrete la spiegazione di tante incongruenze altrimenti oscure: il ribasso continuo dei parametri, la secretazione dei dati, il protagonismo sadico dei virologi, la corsa a chiudere contro le stesse indicazioni governative, la modifica continua delle regole – e non da ultima cosa, l’imposizione di un odioso ed illiberale coprifuoco che non ha la minima motivazione scientifica, eppure è lì da cinque mesi, e nessuno parla.

Forse, invece, è tempo di iniziare a parlare, e a voce alta. E mi riferisco qui al mondo sociale nel suo insieme, o se volete alle persone ordinarie, per così dire: perché i grandi nomi la loro occasione l’hanno già persa. Penso, ad esempio, a Giuseppe Tornatore, un premio Oscar che si è prestato ad un cortometraggio di propaganda inquietante, per come prova a normalizzare la mostruosità della nuda vita umana profanata dai sudari di plastica[13]. Ad Antonio Scurati, premio Strega, che sul Corriere della Sera ha raccontato l’epidemia come una punizione divina che ci saremmo meritati per qualche oscura ragione – come colto, più in generale, da Bernard Henry-Lévy[14] – salvo poi riscoprire una vena di ribellione contro il divieto di fumo all’aperto[15] [sul coprifuoco da Gestapo no, invece; quello pare vada bene]. A Piero Angela, un mite signore che con poca mitezza ha invocato l’esercito contro la “movida” dei giovani[16], che non corrono nessun rischio, per poi contestare ogni proposta di contenimento degli anziani come lui[17] – che almeno sarebbe stato il modo meno doloroso di uscire da questo disastro. Penso a Stefano Boeri, un architetto di fama mondiale, che ha contribuito a rendere così bello il nostro stare a Milano, ma non ha avuto la forza di chiamarsi fuori da un’operazione spaventosamente idiota e dispendiosa – santa pazienza – come la progettazione dei padiglioni di Arcuri, sotto il precedente governo.

No, non sto parlando degli intellettuali; non sto parlando degli accademici; non sto parlando dei sociologi; non sto parlando delle donne e degli uomini della cultura di sinistra, in tutti i campi e a tutti i livelli. Per loro è già tardi, e la colpa del loro silenzio non sarà mai perdonata.


[1] Da qui: https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/variante/.

[2] Dalla pagina web https://www.iss.it/varianti-del-virus [corsivo aggiunto].

[3] R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente [1976], Milano, Mondadori, 1992. Il tema è in certo modo implicito, va detto, nel modello dell’evoluzione di Darwin.

[4] E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio. Una teoria dell’opinione pubblica [1980], Roma, Meltemi, 2001.

[5] A. Venanzoni, La religione pandemista: nel nome della “scienza” travolti diritti e garanzie della democrazia liberale, “Atlantico Quotidiano”, 18 marzo 2021.

[6] Covid, Crisanti: terza ondata meno peggio del previsto, lancio Adnkronos, 25 marzo 2021.

[7] L. Luminati, Variante Covid New York: identificati nelle Marche i primi due casi italiani, “Il Resto del Carlino”, 24 marzo 2021.

[8] Coronavirus, scoperte a Palermo quattro varianti sconosciute in Italia, “TGR Sicilia”, 23 marzo 2021.

[9] Covid, che cos’è la super-variante italiana e perché preoccupa, “Qui Finanza”, 17 marzo 2021.

[10] In India una nuova variante Covid, “Corriere della Sera”, 25 marzo 2021.

[11] I dati Eurostat sono qui.  Come si vede, l’eccesso di mortalità in Svezia è inferiore a quello di paesi come Italia, Francia, Germania e Spagna, che hanno scelto la strada suicida dei lockdown. Per un primo commento, naturalmente non della stampa italiana, G. Alander, Sweden saw lower 2020 death spike than much of Europe – data, “Reuters”, 24 marzo 2021.

[12] Su questo, ho scritto un primo modesto contributo già nell’aprile del 2020: Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.

[13] Penso ovviamente a Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995. Rileggere oggi le pagine di Agamben sulla nuda vita è, va detto, una epifania dolorosa, tanto illuminante quanto terrificante.

[14] B. Henry-Lévy, Il virus che rende folli, Milano, La nave di Teseo, 2020.

[15] A. Scurati, Un divieto ipocrita, fumerò all’aperto, “Corriere della sera”, 21 gennaio 2021.

[16] Qui il lancio ANSA.

[17] Piero Angela: “se il decreto vieta gli spostamenti agli over 70 come unica categoria, sono contrario”, “Huffington Post”, 2 novembre 2020.