Legge Zan: abroghiamo i reati di opinione

Ferve il dibattito sulla cosiddetta legge Zan. Il vero problema è costituito però dall’art. 604 bis del codice penale a cui la proposta rinvia per integrarla.

È di tutta evidenza infatti che non vi è ragione logica e giuridica per non estendere la tutela prevista dal codice penale agli atti di violenza o di discriminazione per motivi sessuali, visto che giustamente questo tipo di atti è già represso laddove siano causati da motivazioni razziali, etniche, nazionali, religiose. Il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione non solo legittima, ma impone la suddetta estensione della portata dell’art. 604 bis c.p.

Il vero problema è l’eccessivo ambito applicativo di detto articolo. Un conto sono infatti gli atti di violenza ovvero gli atti discriminatori che hanno una loro manifesta e immediata concretezza. È pure condivisibile sanzionare l’incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, e ovviamente sessuali, data la evidenza e normale inequivocità del comportamento represso. Sarebbe semmai opportuno inserire anche i motivi politici. Incitare alla violenza contro chi non la pensa come te non è accettabile in un Paese democratico.

Completamente diverso è invece l’incitamento o la istigazione a commettere atti di discriminazione per motivi fondati su religione, razza, nazione, sesso, genere etc. È opportuno fare qualche esempio.

Se qualcuno dovesse affermare che certe interpretazioni radicali dell’Islam, ancorché non dichiarate fuorilegge, sono pericolose e vanno contrastate, alla luce di una interpretazione letterale dell’art.604 bis, potrebbe essere oggi denunciato per istigazione alla discriminazione religiosa. Se poi dovesse anche affermare che all’interno di talune comunità etnicamente caratterizzate la illegalità è molto diffusa, potrebbe essere pure perseguito per incitamento alla discriminazione etnica. Con il progetto di legge “Zan” il rischio di una denuncia potrebbe correrlo anche chi dovesse sostenere che l’unica famiglia degna di essere incoraggiata con provvidenze economiche è quella fondata sull’unione fra due persone di sesso diverso: da questa premessa taluno potrebbe facilmente dedurre che si vuole istigare a discriminare sulla base degli orientamenti sessuali.  Persino criticare l’utero in affitto, da parte di chi intendesse seguire dettami religiosi, potrebbe dar luogo quanto meno a denunce penali.

L'”incitamento alla discriminazione” costituisce qualcosa di magmatico e di indefinito che necessita sempre di una precisazione interpretativa, lasciando ampio arbitrio alle valutazioni soggettive del Pubblico Ministero e del Giudice.

Tutto ciò è certamente intollerabile perché rischia di violare il principio della libera manifestazione del pensiero. Di ciò si rende ben conto lo stesso legislatore che all’articolo 4 è costretto a riconoscere (bontà sua) che è consentita la libera espressione di convincimenti od opinioni, introducendo peraltro una inaccettabile previsione ulteriore: “sono fatte salve le condotte legittime purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori”. Si puniscono condotte “legittime” (SIC!) sulla base del semplice rischio che possano determinare atti discriminatori: una norma da Stato autoritario. Questo articolo va certamente riscritto.

La ulteriore, grave conseguenza di questa discrezionalità interpretativa sarebbe la differenza di trattamento da procura a procura e da tribunale a tribunale. Le citate affermazioni del codice penale introducono cioè margini di discrezionalità tali che possono determinare incertezza del diritto e violazione del principio di eguaglianza.

Insomma, prima di discutere la legge Zan, appare prioritaria una modifica dell’art. 604 bis c.p. nella parte in cui porta a reprimere la “istigazione a commettere atti di discriminazione”.

Pubblicato su Libero del 7 maggio 2021