La prova di autunno

L’evoluzione dell’epidemia nelle ultime settimane riserva molte buone notizie, e altrettante cattive. E’ una situazione ideale per il cosiddetto cherry picking, che consiste nel selezionare solo i dati che supportano la posizione che si intende difendere: se vuoi rassicurare, selezioni solo le buone notizie, se vuoi terrorizzare solo quelle cattive.

Proviamo invece a non fare cherry picking, e a riferire sia le buone sia le cattive notizie, cominciando dalle buone.

La notizia più importante è che, fra le società avanzate (e in particolare nell’Unione Europea),  l’Italia è in questo momento uno dei paesi in cui il tasso di mortalità è più basso. Fra i grandi paesi con istituzioni occidentali fanno meglio dell’Italia solo Giappone, Australia e Canada, la Germania è pressappoco alla pari, mentre fanno decisamente peggio Francia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, Israele. La circostanza interessante è che Israele, Regno Unito e Spagna hanno vaccinato più di noi, e cionondimeno hanno un tasso di mortalità più alto, nonché una dinamica della mortalità più preoccupante. Difficile spiegare perché, ma il minimo che si possa dire è che, evidentemente, vaccinare a tappeto può non essere sufficiente. Una conclusione supportata anche da un altro caso, piccolo ma significativo: l’Islanda ha vaccinato quasi tutta la popolazione vaccinabile (più ancora di Israele), ma questo non le ha impedito di registrare un’impennata dei nuovi casi non appena – a fine giugno –  ha deciso di riaprire le frontiere al turismo.

C’è anche un’altra buona notizia: il tasso di letalità del Covid (rischio di morire se contagiati) è diminuito sensibilmente rispetto all’anno scorso. Impossibile, con i dati disponibili, stabilire esattamente di quanto, ma è verosimile che la diminuzione sia almeno in parte imputabile ai vaccini (una parte della diminuzione è invece dovuta, banalmente, all’abbassamento dell’età mediana dei contagiati).

Le buone notizie importanti, però, si fermano qui, mentre quelle cattive abbondano.

La prima è che in questa estate la percentuale di persone contagiate, anche tenendo conto del diverso numero di tamponi, risulta molto più alta di quella dell’estate scorsa. Ciò è dovuto, innanzitutto, alle condizioni di riapertura: quando, a maggio, abbiamo riaperto le attività, il numero di contagiati era almeno 5 volte più alto che nel maggio 2020. Di qui una curva epidemica 2021 costantemente più alta di quella del 2020. In concreto ciò ha comportato una sorta di lotta fra le due forze fondamentali che governano l’epidemia: la probabilità di contrarre il virus, molto più elevata che l’anno scorso, e la probabilità di morire una volta contratto il virus (letalità), in discesa grazie ai vaccini.

Ma chi ha vinto?

Purtroppo ha vinto la probabilità di contrarre il virus, che è aumentata più di quanto sia diminuito il tasso di letalità. Noi oggi abbiamo un numero di morti giornaliero che è il triplo di quello di un anno fa, e un numero di ricoverati in terapia intensiva che è addirittura il sestuplo. Certo, qualcuno può provare a rassicurarci dicendo che a morire o finire in terapia intensiva sono prevalentemente i non vaccinati, ma resta il fatto che oggi – a dispetto dei vaccini – si muore molto di più che un anno fa.

La ragione di fondo è che il vaccino, pur efficace nel mitigare il decorso della malattia, non lo è a sufficienza nel limitare il contagio in presenza di una variante ad alta trasmissibilità come la variante indiana (o delta), massicciamente presente in Italia. E, se il numero di contagiati aumenta a ritmi insostenibili come quelli delle ultime settimane (Rt=1.5), anche il numero di decessi è destinato a riprendere la sua corsa, come del resto già si vede dai dati degli ultimi giorni.

Che succederà?

Quello che possiamo dire con ragionevole certezza è che, di qui all’inizio dell’autunno, le principali condizioni che determinano la dinamica dell’epidemia saranno in peggioramento. Il rientro dalle ferie infatti comporta, in successione: minore tempo trascorso all’aperto, trasmissione del virus dai giovani (per lo più asintomatici) agli adulti e agli anziani, maggiori possibilità di contagio a scuola e sui mezzi pubblici, per tacere dei rischi dell’appuntamento elettorale (3-4 ottobre). In breve: l’unica forza in contro-tendenza sarà il completamento della campagna vaccinale.

Così stando le cose è facile prevedere che, ancora una volta, la politica si troverà costretta a ricorrere a chiusure delle attività economiche, limitazioni della mobilità, didattica a distanza. In altre parole: l’ennesimo sacrificio sarà richiesto ai cittadini, e in particolare al settore privato.

Si sarebbe potuto evitare?

Forse sì, ma solo con una politica radicalmente diversa. La politica attuata da entrambi i governi che hanno gestito l’epidemia è stata basata su due pilastri: lasciar correre il virus finché gli ospedali sono vicini al collasso, scaricare sul settore privato i costi dell’aggiustamento. Ma con questi pilastri, domare l’epidemia è semplicemente impossibile, e salvare l’economia diventa difficile.

Il vero problema, infatti, è che cosa succede nella stagione fredda, quando la circolazione del virus non è più frenata dalla vita all’aperto. Non è detto che basterebbe, ma stupisce che quasi nulla si sia fatto per garantire la purificazione dell’aria nelle scuole, per diminuire gli assembramenti sui mezzi pubblici, per coinvolgere i medici di base nella gestione dei malati Covid. Eppure qualcosa si poteva fare, sia l’anno scorso che quest’anno, pensandoci in tempo. Se si fosse fatto qualcosa, i sacrifici richiesti ai lavoratori autonomi e al mondo della scuola sarebbero stati molto minori, e ora potremmo affrontare il rientro dalle vacanze con maggiore tranquillità.

Come mai quasi nulla è stato fatto, nonostante le proposte cruciali su scuola, trasporti e cure domiciliari siano state ripetutamente avanzate sia dagli studiosi, sia dall’opposizione parlamentare?

E’ una domanda alla quale non so fornire una risposta.

Pubblicato su Il Messaggero del 14 agosto 2021