Il diavolo e il padreterno

Lo sapevo, che avrebbero dato la colpa a noi. Tanto è vero che lo scrissi già il 27 aprile (quasi 7 mesi fa) quando si cominciò a parlare di riapertura: perdonate l’autocitazione, ma in questa maledetta storia i tempi sono cruciali.

“Avete deciso di ripartire, avete scelto di farlo senza che la macchina per il controllo dell’epidemia fosse pronta sui 4 versanti fondamentali delle mascherine, dei tamponi, del tracciamento dei contatti, dell’indagine campionaria sulla diffusione del virus. Ne avevate il potere, perché ve lo siete preso. Tutto potete fare, perché avete cancellato tutte le nostre libertà fondamentali. Ma una cosa non potete farla, anche se ci proverete: dare a noi la colpa, quando l’epidemia rialzerà la testa”.

E infatti ci stanno provando, alla grande. Da giorni e giorni il ritornello è sempre lo stesso: voi vi assembrate, noi siamo costretti a chiudervi. E qualche giorno fa il ritornello è quasi diventato una teoria. Uno dei più ascoltati esperti del governo è arrivato a dire che no, a lui questa faccenda delle ondate non torna, non è che ci sono ondate che arrivano, in realtà c’è un mare che torna ad agitarsi non appena loro (i nostri governanti) ci lasciano un po’ di libertà, a quel punto noi ce ne prendiamo troppa e loro sono costretti a rimetterci in castigo (le parole non erano esattamente queste, ma il senso sì, era proprio questo).

Dunque le ondate non esistono, non c’è una prima ondata seguita da una seconda e forse da una terza. C’è un popolo indisciplinato, che periodicamente deve essere rimesso in riga. Quindi che non si illuda, il popolo. Quando riapriremo, sarà per un po’ di tempo, poi si dovrà richiudere di nuovo. Lo stop and go è inevitabile, fino a quando la maggior parte della popolazione sarà vaccinata (fine estate, se va bene).

Questo racconto è sostanzialmente falso. E lo è in due sensi: sul piano della psicologia sociale, e dal punto di vista storico.

Cominciamo dal “popolo” che (oggi) si ammassa per fare acquisti e (ieri) si ammassava per godersi le vacanze. Possiamo anche, se siamo sufficientemente moralisti e vecchio stampo, deprecare il nostro consumismo e l’incapacità di fare rinunce. Ok, ci sta. Ma la domanda è: coloro che avrebbero dovuto informarci, indirizzarci, guidarci, proteggerci, come si sono mossi?

Risposta: quest’estate con il bonus vacanze, le discoteche aperte, la libertà di scorazzare per i cieli alla ricerca di mete più o meno goderecce; in questi giorni pre-natalizi con gli esercizi commerciali spalancati, il cash-back, la lotteria degli scontrini (in un paese già ludo-maniacale: spendiamo per il gioco d’azzardo quanto lo Stato spende per la sanità).

Che immane ipocrisia. E’ come se Dio decidesse di recitare entrambe le parti in commedia, quella del Diavolo e quella del Padreterno. Prima strizza l’occhio agli esercenti e cosparge la nostra vita di tentazioni (quasi non ne avessimo già abbastanza per conto nostro). Poi ci redarguisce con cipiglio severo perché ci siamo cascati, in tentazione: come se il fatto stesso di parlare di continuo di terza ondata in arrivo, con relative chiusure, non fosse un formidabile incentivo al carpe diem, del tipo godiamoci il Carnevale prima che arrivi la Quaresima.

Ma c’è un altro senso in cui il racconto ufficiale è falso. E’ falso perché nega la storia effettiva di questa epidemia. Provo a ricapitolarla, nei limiti di spazio che ho a disposizione.

Le strategie con cui l’epidemia è stata affrontata nelle varie parti del mondo sono sostanzialmente tre. Herd immunity: non fare (quasi) nulla attendendo l’immunità di gregge (idea accarezzata da molti governi, ma applicata solo in Svezia). Suppression: perseguire lo sradicamento del virus (strategia applicata soprattutto in Asia, in Australia e in Nuova Zelanda); Mitigation: frenare la corsa del virus mediante il lockdown, sperando di tenerlo sotto controllo dopo la riapertura (strategia applicata nella maggior parte dei paesi occidentali).

L’Italia sceglie quest’ultima strategia, che è la più inefficiente. Inoltre la applica nel modo più autolesionista possibile, ossia ritardando il lockdown (9 marzo), e inasprendolo solo dopo averne constatato la scarsa efficacia (22 marzo). A nulla servono i pareri contrari provenienti dagli studiosi indipendenti (e dallo stesso Comitato Tecnico Scientifico), che fin dai primi giorni di marzo caldeggiano un lockdown immediato e duro.

Nella prima decade di marzo, nonostante la storia dell’epidemia sia appena iniziata, l’evidenza empirica che mostra la inefficienza dei lockdown tardivi e progressivi applicati nei maggiori paesi europei (con la parziale eccezione della Germania) è imponente. E il 10 marzo viene resa pubblicamente accessibile su internet da Tomas Pueyo, probabilmente il più lucido analista dell’epidemia, in un articolo scaricabile da internet e ripreso da qualche quotidiano.

Il 29 marzo, un gruppo di scienziati (fra cui il prof. Antonio Bianconi) invia al premier Conte e al ministro della salute Speranza una lettera in cui viene accuratamente spiegata la differenza, in termini di costi umani ed economici, fra la strategia vincente dei paesi asiatici, e la strategia perdente adottata dall’Italia. Il gruppo propone di emanare un decreto legge per adottare la strategia più efficiente, e mette a disposizione i propri studi e le proprie competenze per attuarla immediatamente.

Nessuna risposta dal governo, che prosegue imperterrito per la sua strada. Pochi tamponi, caos sulle mascherine, zero tracciamento elettronico dei contatti, nessun rafforzamento del trasporto pubblico. E, di lì a un mese, disco verde alla stagione delle riaperture, con il bonus vacanze e tutto il resto.

Per tre mesi, complice la stagione, tutto sembra andare abbastanza bene. Solo alcuni irriducibili, ogni tanto, segnalano che qualcosa non va, e che non siamo affatto un modello per il resto del mondo. Fra luglio e settembre i principali indici rivelano che il numero di positivi è in costante aumento, ma nell’esecutivo nessuno se ne preoccupa. Alla fine di settembre il quoziente di positività (una rozza stima del numero di contagiati) è già 4 volte quello di luglio. E a ottobre comincia a galoppare: alla fine del mese è 25-30 volte il livello di luglio.

Ormai la situazione è fuori controllo. E non c’è più niente da fare: se lasci che i contagiati aumentino di 30 volte, poi ci vogliono mesi e mesi per riportare la situazione al punto di partenza. Anzi: è impossibile portarla al punto di partenza, perché ci vorrebbero 3 mesi di lockdown durissimo, o 6 mesi di lockdown light, ma comunque esiziale per l’economia.

E allora?

Allora avanti così, per mesi, in stop and go. Un po’ di settimane di quaresima, poi un sobrio carnevale, poi di nuovo quaresima, poi ancora carnevale. Il tutto regolato dal semaforo delle terapie intensive: quando si riempiono scatta la quaresima, quando si svuotano riparte il carnevale. La gente l’ha capito, che va a finire così, e si adatta come può, a seconda dell’età e del carattere di ciascuno.

Ma era a obbligatorio precipitare in questo abisso?

No. Tanto è vero che, contrariamente a quel che molti ancora credono, la seconda ondata non è affatto arrivata ovunque: fra le società avanzate l’hanno evitata 10 paesi su 25, dunque più di 1 paese su 3 (vedi grafico). E 4 di questi 10 paesi che ce l’hanno fatta sono in Europa: Irlanda, Norvegia, Finlandia, Danimarca.

Ma per non essere travolti bisognava fare qualcosa di più, e di diverso dai lockdown tardivi cui siamo stati costretti in Italia. Non dico adottare in toto la strategia asiatica, per cui non eravamo pienamente attrezzati (specie sul tracciamento elettronico), ma almeno assimilarne gli elementi cruciali: controlli severi alle frontiere + mascherine obbligatorie + tamponi di massa + contact tracing + quarantene rigorose. E se non basta – ma di solito basta – lockdown duro al primo segnale di ripresa dell’epidemia, perché se intervieni subito il lockdown dura poco, e la ricerca dei contatti non va in tilt.

E’ quello che scienziati, ricercatori e studiosi non hanno mai smesso di chiedere, fin dai primi giorni di marzo. Tutto inutile, i nostri governanti non hanno voluto sentire ragioni. Gli errori che hanno commesso nella prima ondata non hanno esitato a ripeterli, aggravati, nella seconda. E ora pretendono pure di dire che, se non riescono a tenere sotto controllo l’epidemia, la colpa è nostra.

Incredibile.

Pubblicato su Il Messaggero del 19 dicembre 2020