Covid, l’incognita di maggio

Resto dell’idea che, nella recente gestione della pandemia, l’errore capitale sia stato tenerci a bagno maria per 6 mesi (4 in conto al governo giallo-rosso, 2 in quello Draghi), con danni enormi all’economia e pochissimi benefici per la salute. E resto pure dell’idea che iniziare una vaccinazione di massa senza prima aver ridotto drasticamente la circolazione del virus sia stato un azzardo, nonché un errore non scusabile, posto che le voci che avvertivano del pericolo esistevano sia dentro il governo (Ricciardi) che fuori (Crisanti). Se ora siamo così esposti al rischio che qualche variante ci travolga non è solo perché non sappiamo né sequenziare adeguatamente, né limitare gli ingressi in Italia, ma perché la nascita di varianti resistenti ai vaccini è l’effetto statistico, e perfettamente prevedibile, della scelta di non abbattere la curva epidemica prima del decollo della campagna di vaccinazione.

Ma ormai il danno è fatto, le riaperture sono divenute politicamente e socialmente inevitabili, e ci tocca sperare che le cose non vadano troppo male. E’ fuori discussione, come avvertono i virologi meno autocensurati, che il “rischio ragionato” significa migliaia di morti in più rispetto a quelli che avremmo avuto prolungando il lockdown. Ed è pure indubbio, per quanto più difficile da far capire, che il danno economico complessivo all’industria turistica potrebbe essere molto maggiore aprendo adesso che aprendo a giugno, se aprire adesso dovesse regalarci una quarta ondata (con conseguente richiusura) in piena estate.

Quel che invece mi pare non scontato è che, nelle prossime settimane, si arrivi a 500-600 morti al giorno, come alcuni esperti hanno prospettato o lasciato intendere. Pur essendo fra quanti hanno più volte fatto previsioni catastrofiche (fin qui tutte avverate), questa volta mi trovo più in sintonia con quanti non solo si augurano, ma ritengono verosimile, un’evoluzione meno drammatica della mortalità.

Vediamo perché. Il numero medio di morti settimanali è un po’ inferiore a quello con cui sperimentammo le prime riaperture l’anno scorso, proprio ai primi di maggio come quest’anno. Inoltre esso è in lenta ma costante discesa da circa 20 giorni. Questo andamento è la risultante di quattro forze, due che sospingono la mortalità, due che la frenano.

La prima forza, che tende a tenere elevato il numero di decessi quotidiani, è l’altissimo numero di positivi e di ospedalizzati. Fatto 100 il numero di soggetti positivi del maggio scorso, ora siamo fra 300 e 500, a seconda dell’indicatore che si utilizza. Per una stima accurata del numero assoluto di soggetti positivi non ci sono dati sufficienti (o meglio: i dati che servirebbero non sono pubblici), ma l’ordine di grandezza si può calcolare: almeno 1 milione di positivi. Poiché il numero di soggetti positivi si riduce con estrema lentezza, e anzi tende a crescere non appena il governo allenta le misure restrittive, è verosimile che questa forza tenderà a tenere alto il numero dei decessi quotidiani.

La seconda forza è la mobilità delle persone, il fatto cioè che la gente tenda a stare in casa o a muoversi e incontrare altre persone. Qui le cose vanno male, e non potrebbe essere diversamente: il fatto stesso di reclamizzare le riaperture come un (sia pur graduale) ritorno alla normalità inevitabilmente comporta una crescita dei comportamenti rischiosi. In che misura ciò stia accadendo ce lo dicono i dati di mobilità di Google: fatta 100 la propensione a stare a casa di un anno fa, la medesima propensione era scesa intorno a 50 nel mese di aprile di quest’anno ed è intorno a 30 oggi. I nostri comportamenti stanno facendo di nuovo salire l’indice di riproduzione Rt, che sta di nuovo avvicinandosi pericolosamente a 1.

Fin qui le forze che supportano i ragionamenti dei pessimisti. Fortunatamente, ci sono però anche due potenti forze che spingono nella direzione opposta, ossia di una limitazione della mortalità. La prima è l’aumento della quota di tempo passata all’aperto, che tende a neutralizzare gli effetti dell’aumento della mobilità. La seconda è la campagna di vaccinazione, che – nella misura in cui privilegia le categorie più a rischio (vecchi e fragili) – abbassa drasticamente il tasso di letalità dell’infezione, ovvero la probabilità che una persona contagiata si ammali e muoia.

Ed ecco la ragione del mio non eccessivo pessimismo. Nessuno ha abbastanza dati (e modelli matematici collaudati) per prevedere quale potrà essere l’effetto congiunto delle due forze “cattive” (tanti positivi, più mobilità) e delle due forze “buone” (vita all’aperto e campagna vaccinale). E’ possibile che le prime abbiano il sopravvento, e il numero di morti torni a salire in modo apprezzabile (specialmente a Milano, dove i tifosi interisti tifano anche per il virus). Ma è anche possibile che la curva epidemica rallenti, e che le vaccinazioni determinino un drastico abbassamento del tasso di letalità, con la conseguenza di impedire un rialzo della mortalità, o addirittura di sospingere ulteriormente verso il basso il numero di morti quotidiano.

Il rischio maggiore che vedo, per i prossimi mesi, è che si scambi un’eventuale, non impossibile, riduzione del numero di decessi per un arretramento del virus, senza comprendere che – con il procedere della vaccinazione – il numero di morti sarà sempre meno un buon indicatore della diffusione del contagio. Sarebbe un errore di valutazione grave, perché ci condurrebbe – ancora una volta – a sottostimare i pericoli che ci attenderanno quest’autunno, quando il rientro a scuola e il ritorno della stagione fredda potrebbero riservarci, ancora una volta, delle brutte sorprese. Che questo rischio di sottovalutazione dei pericoli che ci attendono in autunno sia reale, e non puramente ipotetico, lo suggerisce del resto una constatazione amara: ancora una volta poco o nulla si sta facendo per mettere in sicurezza gli ambienti chiusi (aule scolastiche e universitarie) e semi-chiusi (trasporti pubblici). E’ probabile che questa distrazione sia dovuta alla credenza che la vaccinazione di massa risolverà tutto. Ma giova ricordare che si tratta, per l’appunto, di una credenza, non di una solida certezza.

Pubblicato su Il Messaggero del 5 maggio 2021