Ci tengono chiusi in casa perché non sono capaci di gestire l’epidemia. Intervista a Luca Ricolfi

Come sta messo il paziente Italia?
Non benissimo, a giudicare dal valore del nostro indice di temperatura.

Come funziona l’indice messo a punto dalla Fondazione Hume che misura la temperatura?
L’indice si basa sugli unici dati relativamente affidabili forniti quotidianamente dalla Protezione Civile, ovvero morti, ricoveri ordinari e ricoveri in terapia intensiva. Queste informazioni vengono rapportate a quelle dei giorni precedenti, e sintetizzate in un indice molto semplice e intuitivo, che si può leggere come una temperatura: quando il termometro segna 42 gradi significa che l’epidemia sta galoppando, quando ne segna 37 vuol dire che si è virtualmente spenta.

E stasera qual è la temperatura?
È 37.8, poco meno di ieri. Ma il cammino da 38 a 37 è più lungo e difficile di quello da 39 a 38.

Quali sono le realtà più critiche?
La Valle d’Aosta e la Calabria. Lo abbiamo scoperto ieri, quando abbiamo applicato il nostro termometro a tutte le regioni. Nel cammino di avvicinamento a 37 gradi la Valle d’Aosta, con oltre 40 gradi, è la regione più lenta, la Calabria è di un soffio sotto i 40 gradi.

E la più veloce?
Se la Valle d’Aosta è la lumaca, la lepre è la Sardegna, che è già scesa sotto i 38 gradi, 37.6 per l’esattezza.

Alcuni studi dimostrano che il dato dei morti non è certo, quello reale, confrontando gli andamenti comunicati dalla Protezione civile con le medie degli ultimi anni, sarebbe di almeno tre volte tanto. Le risulta?
Mi risulta eccome. La mia stima più recente è che, almeno a marzo, i morti effettivi possano essere anche 3 volte quelli ufficiali. Il 31 marzo i morti ufficiali erano 12.428, il numero effettivo potrebbe essere di 40-45 mila: i morti silenti, dimenticati nelle loro abitazioni e nelle case di riposo, potrebbero essere 30 mila nel solo mese di marzo. E la differenza, credo che ne avremo le prove nei prossimi giorni, potrebbe essere dovuta in misura non trascurabile alle regioni del Sud, dove la diffusione del virus è molto più sottostimata che al Nord.

Ma se così fosse, il numero dei contagiati reali rispetto a quello degli accertati a quanto sale?
Questo è quello che tutti si stanno domandando, le stime che girano (talora relative al 28 marzo, talora aggiornate ai primi di aprile) spaziano da circa 2 a circa 16 milioni. Il valore più basso (1 milione e 900 mila) è il limite inferiore stimato dall’Imperial College, ed è a mio parere abbastanza irrealistico: sono parecchi di più. Il valore più alto, anch’esso di fonte Imperial College (15 milioni e 600 mila) è anch’esso poco credibile, a dispetto che sia stato recentemente accreditato dal nostro rappresentante presso l’Organizzazione Mondiale della sanità, che ha congetturato che gli infetti potessero essere il 20% della popolazione, ossia 12 milioni di persone.
In mezzo si situano ormai almeno 3-4 gruppi di studiosi, che convergono su una stima di 5-6 milioni di contagiati.

E lei ha una sua stima?
No, non ho una stima. Ne ho molte, perché – allo stato dell’informazione disponibile qualsiasi stima dipende da congetture su parametri che non abbiamo.

Quali parametri?
Essenzialmente quattro: il numero effettivo di morti rispetto al numero ufficiale, il tempo medio che intercorre fra il momento in cui si viene contagiati e la morte, il tasso di letalità in Italia (non è detto sia il medesimo in tutti i paesi), il peso degli asintomatici rispetto ai sintomatici e pauci-sintomatici. A seconda dei valori che si attribuiscono a questi parametri, la stima del numero di contagiati può variare notevolmente, anche se – a mio parere – non nel range indicato dall’Imperial College, che è troppo ampio ed equivale a non avere nessuna idea dell’ordine di grandezza del fenomeno: se dici che qualcosa può essere 1 o 10, come di fatto fa lo studio inglese (il rapporto fra massimo e minimo è 8.125), è come dire che non conosci nemmeno l’ordine di grandezza del fenomeno.
La “regola Crisanti” (moltiplico per 10 il numero dei contagiati ufficiali) porterebbe, ad esempio, a una stima di 1 milione e 325 mila contagiati (al 7 aprile). Se si usassero le morti ufficiali, e si ipotizzasse un tasso di letalità dell’1.5%, si potrebbe congetturare che i contagiati siano circa 1 milione. Ma se dovessimo accettare le congetture che molti studiosi stanno formulando in questi giorni, le cifre cambierebbero ancora, e di molto.

Che cosa si sta congetturando in questi giorni?
Il caso di Bergamo, in cui la mortalità fra marzo 2019 e marzo 2010 è esplosa ben al di là di quel che risulta dai morti ufficiali per Covid-19, ha indotto diversi studiosi a considerare come stima della mortalità da Covid non i decessi ufficiali della Protezione Civile bensì l’eccesso di mortalità osservato a marzo in una parte dei comuni italiani (l’Istat non è stata in grado di fornire i dati di tutti i comuni, ma solo di un campione distorto). Ebbene, i dati sulla mortalità pubblicati finora suggeriscono che il numero di morti effettivi possa essere il triplo del numero ufficiale. In tal caso il numero di contagiati non sarebbe di poco più di 1 milione, ma di poco meno di 4.
Ma anche assumendo per buona questa linea di ragionamento, resterebbe l’incertezza sul tasso di letalità, che per la maggior parte degli studiosi è compreso fra l’1 e il 2%, ma secondo i più pessimisti potrebbe anche essere maggiore del 3%.

Ma tenuto conto di tutto ciò, se la sente di azzardare una stima?
Sì, a me la stima più ragionevole pare quella che assume una mortalità tripla di quella ufficiale, e una letalità dell’ordine dell’1.5, forse del 2%, il che porta il numero di contagiati vicino ai 4 milioni (1 cittadino su 15), a metà strada fra la stima inferiore dell’Imperial College (2 milioni) e le stime pessimistiche dei colleghi che in questi giorni si sono spinti a parlare di 6 milioni di contagiati.

Come mai in Germania ci sono meno morti che da noi?
Non lo so. In un primo tempo, sono state avanzate due spiegazioni: il fatto che, essendo l’epidemia partita dopo, i malati tedeschi “non hanno ancora avuto il tempo di morire”, e l’ipotesi che il sistema di attribuzione delle cause di morte sia radicalmente diverso dal nostro. Ora però il tempo è passato, ed emerge che anche altri paesi hanno tassi di letalità apparente molto più bassi dei nostri. Quindi ribadisco la mia risposta: non lo so.

Abbiamo superato il picco?
Il concetto di “picco” è fuorviante. C’è un picco dei contagiati, un picco delle ospedalizzazioni, un picco della mortalità. E sono temporalmente sfasati fra loro. Il vero problema, però, non è se abbiamo superato il picco (io ritengo che abbiamo superato sia il picco delle ospedalizzazioni, sia quello dei morti), ma quanto lentamente scenderemo la collina: non è la stessa cosa metterci 5 settimane o 5 mesi, vuol dire riaprire a fine aprile o a settembre, dopo l’estate.
Il confronto con la Corea è scoraggiante: lì dopo il lockdown l’epidemia è scesa a precipizio, noi stiamo comodamente scendendo la collina.

Intanto c’è il rischio di una recessione profonda e duratura dell’economia?
No, non c’è un rischio, c’è una certezza. Purtroppo, per ora, il governo non sembra aver compreso le vere esigenze dell’imprese: si parla di prestiti a tasso zero garantiti dallo Stato, ma i problemi sono altri: pagare i fornitori e coprire i costi fissi quando il fatturato viaggia verso zero. Se vuole aiutare le imprese, lo Stato dovrebbe pagare istantaneamente tutti i suoi debiti verso il settore privato, e fornire aiuti a fondo perduto agli operatori che hanno subito un crollo del fatturato.
Ma le sembra che un imprenditore cui vengono a mancare alcune mensilità di fatturato può pensare di risolvere il problema aumentando l’indebitamento verso il sistema bancario? Che se ne fa di un prestito a tasso zero se ha un buco di fatturato del 20 o 30% rispetto all’anno precedente?

Il vaccino potrebbe arrivare forse il prossimo anno. Da più parti si chiede di mettere a punto una fase due di uscita graduale dalle misure di contenimento (lettera dei 150), con uso massiccio delle mascherine, test diffusi per scovare gli immuni e tamponi per i contagiati sommersi, ospedali dedicati per il Covid. Sperimentazioni stanno partendo in tal senso. Su quali basi e in quale tempo secondo lei si può pensare di allentare la stretta senza ritrovarsi in una situazione di ritorno più grave di quella di partenza?
La mia sensazione è che, non essendo capace di “fare come in Corea”, il governo caricherà quasi interamente sui cittadini l’onere di sconfiggere il virus, mettendo un intero paese agli arresti domiciliari piuttosto a lungo. Il fatto che negli ultimi giorni si siano moltiplicati gli avvertimenti che la fase di lockdown potrebbe essere lunga, io lo interpreto così: cari cittadini, noi non riusciremo a fare granché, quindi armatevi di santa pazienza, perché isolarvi e segregarvi è l’unica cosa che siamo davvero capaci di fare.
Se non fosse così, avremmo già visto: tamponi ed esami sierologici di massa, mascherine per tutti; sistema di tracciamento dei positivi funzionante; dati dell’Istituto Superiore di Sanità non secretati; campione statistico nazionale, per conoscere la diffusione dell’epidemia e tutti i dati necessari a governare la fase di riapertura.
Invece siamo ancora qui, a dibattere ogni giorno di cose che dovrebbero esistere da un pezzo.

Intervista a cura di Alessandra Ricciardi pubblicata su Italia Oggi del 7 aprile 2020