Un governo pseudo-Draghi

O noi o loro. O la Meloni o noi. O sole o luna. Così parlò Enrico Letta, “con occhi di tigre”.

Non sono certo di aver capito chi sia sole e chi sia luna, immagino lui-Letta-sole, lei-Meloni-luna. In compenso ho inteso il messaggio, perché Letta stesso lo ha decrittato: dopo il voto “non ci sarà una terza strada che consentirà di fare chissà cosa, o vincono gli uni o vincono gli altri”.

Mi permetto di dire che, in realtà, la eventualità di una “terza strada” è uno scenario tutt’altro che inverosimile. Supponiamo che, dopo il voto, si scopra che i sondaggi erano sballati (come nel 2006, quando annunciavano il trionfo dell’Ulivo di Prodi) e che il centro-destra non abbia la maggioranza dei seggi. E supponiamo non ne abbia una neanche il “campo aperto” del Pd.

A quel punto si aprirebbero due possibilità. La prima è che, in barba alla dicotomia “o sole o luna”, il sole lettiano riconsideri l’alleanza con i Cinque Stelle, tentando di costruire un governo di salvezza nazionale “contro le destre e l’avanzata del fascismo”. E’ estremamente improbabile che, per una simile soluzione, vi possano essere i numeri in Parlamento, ma scommetterei che – se i numeri vi fossero – Letta ci proverebbe, se non altro perché è già successo. E’ esattamente questo, infatti, che fecero Renzi e Zingaretti nel 2019: un governo di salvezza nazionale per non conferire i “pieni poteri” al pericoloso Salvini del Papeete.

Ma c’è una seconda possibilità, ben più verosimile. In caso di stallo, il Presidente della Repubblica, valorizzando il perdurante consenso per l’operato di Draghi, potrebbe pilotare la formazione di un governo pseudo-Draghi senza Draghi (assumo che Draghi si sia stancato dei partiti).

Che cos’è un governo pseudo-Draghi? E’ un governo con la stessa identica maggioranza del governo Draghi, salvo il fatto che, al posto dei Cinque Stelle, vi sarebbe il drappello dei seguaci di Di Maio. Un governo, dunque, così composto: Pd, Lega, Forza Italia, Azione, Italia Viva, Insieme per l’Italia, Articolo 1, Centristi vari. Ovvero: tutti dentro, eccetto i partiti “estremisti” di Meloni, Conte, Fratoianni e Paragone.

Su quanti seggi potrebbe contare un simile esecutivo?

Tanti, stando agli ultimi sondaggi. Attualmente i partiti dello pseudo-Draghi attirano circa il 55% dei consensi, il che si traduce nella conquista di circa 200 seggi proporzionali su 366. Ma i seggi della parte uninominale, che sono 222, andrebbero  quasi tutti ai partiti dello pseudo-Draghi, eccetto quelli conquistati da Fratelli d’Italia. Anche assumendo che Giorgia Meloni riesca a conquistare 1/3 dei seggi uninominali, ai partiti dello pseudo-Draghi resterebbero circa 150 seggi, che sommati ai 200 conquistati nella parte proporzionale porterebbe il totale a 350 (cui andrebbero aggiunti una decina di seggi per la quota degli italiani all’estero). Poiché nel nuovo parlamento i membri sono solo 600, 360 seggi dovrebbero essere più che sufficienti ad avere una maggioranza sia alla Camera sia al Senato.

Fantapolitica?

Non direi proprio. A rendere verosimile la possibilità di una “terza strada” militano varie circostanze, che è sempre bene tenere a mente.

Primo, il nostro sistema è parlamentare, quindi è normale che la maggioranza di governo non sia decisa dagli elettori. Può piacere o no (a me non piace per niente) ma è così.

Secondo, il trasformismo e la disponibilità ai cambi di casacca sono, da circa 150 anni (ossia dai tempi di Depretis), una costante del nostro sistema politico.

Terzo. Nella seconda Repubblica, la costituzione di governi ibridi destra-sinistra, per lo più motivati con l’eccezionalità della situazione, è divenuta una prassi consolidata.

Ma la circostanza fondamentale che rende verosimile la nascita di un governo pseudo-Draghi, è che in nessuno dei due campi avversi è stata fatta l’unica cosa che avrebbe reso (relativamente) credibile la profezia “o Meloni o noi”: una solenne promessa di non fare nuove alleanze dopo il voto.

Giorgia Meloni, dopo averlo invocato per anni, pare aver rinunciato a pretendere un “patto anti-inciucio”, che eviti il ripetersi di quel che accadde nel 2018, quando Salvini ruppe l’unità del centro-destra per formare un governo con i Cinque Stelle.

Enrico Letta, pur escludendo un’alleanza elettorale con i Cinque Stelle, non ha preso alcun impegno esplicito a non cercare una convergenza con il partito di Conte in Parlamento, all’indomani del voto (omissione comprensibile, posto che una parte del partito ha mal digerito la chiusura ai grillini).

Altroché o Sole o Luna. Mi sa che sarà Terra e trasformismo, come sempre.

Luca Ricolfi