Mercato della politica/ Così i giovani pagheranno la caccia al voto degli anziani

Che gli anziani siano un segmento elettorale appetibile non è una novità. E tuttavia fa una certa impressione constatare quanto serrato sia il corteggiamento di cui oggi, a meno di tre mesi dal voto, sono fatti oggetto un po’ da tutte le forze politiche.

Berlusconi ha aggiornato la vecchia promessa di portare le pensioni minime a 1 milione di lire al mese (“Contratto con gli italiani”, 2001): ora l’impegno è ad alzare l’importo minimo a 1000 euro al mese. Pd e governo, a loro volta, molto hanno puntato sulla cosiddetta Ape social, ovvero sulla possibilità di andare in pensione anticipatamente senza perdite di reddito. Il movimento di Bersani e d’Alema (ora capeggiato da Pietro Grasso), ha appoggiato la posizione della Cgil, ostile alla legge Fornero e determinata ad impedire l’innalzamento dell’età pensionabile in funzione dell’aumento della speranza di vita. Quanto ai Cinque Stelle, a prima vista i più in sintonia con il mondo giovanile, la loro proposta di reddito minimo (erroneamente denominato “reddito di cittadinanza”) in realtà riguarda tutti, e dunque anche anziani e pensionati.

Naturalmente non è difficile indovinare le ragioni di tante premure verso gli anziani. La quota di popolazione over 64 sfiora il 27% dell’elettorato ed è in costante aumento, mentre la quota dei giovani dai 18 ai 34 anni è molto più bassa e in costante ritirata (oggi è appena sopra il 21%). A ciò si aggiunge il fatto che la partecipazione al voto tiene di più fra gli anziani che fra i giovani e, nel caso della sinistra, la circostanza che la base sociale delle forze di sinistra (e della Cgil) sia sbilanciata verso gli strati più anziani della popolazione.

Ma è giustificata tanta attenzione verso gli anziani?

In linea di principio certo che sì: non sono pochi gli anziani che vivono in condizioni di grave disagio economico, per non parlare dei mille guai (innanzitutto di salute) che tendono ad aggravarsi con il procedere dell’età. Se però ragioniamo in termini politici, ovvero di scelte che la politica è chiamata a fare, la diagnosi si capovolge completamente. In una situazione di risorse limitate, la domanda cruciale non è se un determinato gruppo sociale sia meritevole di attenzione oppure no, ma se lo sia più di altri. Detto altrimenti, l’interrogativo è se, dato un certo stock di risorse aggiuntive, sia ragionevole indirizzarle verso certi gruppi sociali piuttosto che verso altri. Viste da questa angolatura le cose cambiano completamente, per almeno due ragioni di fondo.

La prima è che, comparativamente, l’Italia è uno dei paesi che destinano la quota più alta di risorse alle pensioni, nonché uno dei paesi nei quali, di fatto, in si va in pensione più presto, a circa 62 anni gli uomini, a 61 le donne (fra i grandi paesi solo la Francia ha un sistema pensionistico più generosa del nostro: lì si va in pensione a 60 anni).

La seconda ragione ha a che fare con la crisi e l’evoluzione della diseguaglianza in questi ultimi anni. Nel periodo cruciale della crisi, ovvero dal 2007 al 2015, il reddito relativo (rispetto alla famiglia italiana tipo) delle varie fasce d’età ha seguito dinamiche diversissime, ma l’unica fascia di età che ha migliorato la propria posizione (+18.4%) è stata quella degli anziani, mentre quella che ha registrato il più drammatico arretramento è stata quella dei giovani (-10.4%). Una tendenza che è purtroppo confermata dalle indagini sulla povertà assoluta, che da anni registrano un deterioramento delle condizioni delle famiglie con capofamiglia giovane, e più in generale delle famiglie con minori a carico. Insomma, voglio dire che, se c’è una frattura che in questi anni ha reso la società italiana più diseguale, questa frattura è quella fra giovani e anziani. Un dramma, quello della condizione giovanile in Italia, che i dati più recenti sul mercato del lavoro purtroppo non fanno che ribadire: l’anno scorso, per la prima volta da quando esistono statistiche comparabili, l’Italia ha fatto registrare il tasso di occupazione giovanile più basso d’Europa, dietro Grecia e Turchia.

Ma c’è anche un altro senso, più sottile, nel quale i giovani sono penalizzati dalle forze politiche, da tutte le forze politiche. La stragrande maggioranza delle promesse che cominciano a circolare in vista delle elezioni dell’anno prossimo sono promesse di maggiori spese, ora a favore di una categoria ora a favore di un’altra. E nessuna forza politica prende veramente sul serio il nostro problema numero uno, che è il macigno del debito pubblico.

Ebbene, che cos’è l’incremento del debito pubblico? L’incremento del debito non è semplicemente un freno alla crescita, ovvero al tenore di vita futuro di tutti, ma è anche un prestito che gli adulti e gli anziani sottoscrivono oggi per poter consumare di più, e che i giovani di oggi, divenuti adulti domani, dovranno restituire comprimendo i loro consumi futuri. Alla faccia della solidarietà fra generazioni.

Articolo pubblicato il 16 dicembre 2017 su Il Messaggero