La zuppa di Porro

Sulla guerra in Ucraina esiste una sola verità (e non è un bene)

Ormai sui giornali neppure il principio di far sentire ‘le due campane’ viene rispettato

di Dino Cofrancesco

Un vecchio amico—forse uno dei migliori storici contemporaneisti della sua generazione—mi dice: “C’è un solo modo per porre fine alla guerra russo-ucrai-na, fare pressioni su Mosca e su Kiev, perché accettino l’annessione della Crimea (un errore di Kruscev, come riconosciuto da Gorbachev) e un referendum nelle regioni contese del Donbass, sotto il vigile controllo dell’Onu, per chiedere alle popolazioni se intendono far parte dell’Ucraina o della Federazione russa”.

“L’alternativa è la prosecuzione di una guerra che sprofonderà l’Europa—e soprattutto l’Italia—nella peggiore crisi economica della sua storia, cementerà l’alleanza tra Mosca e Pechino, alla quale si aggiungerà Nuova Delhi, farà dell’Asia un dominion cinese (tranne il Giappone e Taiwan, difficile da difendere da un’invasione decisa da Xi) e ridurrà l’Europa, de facto, a una colonia degli Stati Uniti, che sono quelli che—con buona pace di Federico Rampini, divenuto Texas Ranger—hanno meno da perdere dal conflitto in corso. Gli intellettuali con l’elmet-to—quelli che oggi sono con l’America, malata, di Biden e di Trump e che ieri erano avversari irriducibili dell’America, sana, di Eisenhower e di Kennedy—e i politici, moderati o di sinistra, arruolati tutti nei marine non si rendono conto che l’Ucraina potrebbe essere la nuova Serbia e, come l’antica, portare a una guerra mondiale che oggi, con l’arma atomica, rischierebbe di distruggere non solo la civiltà occidentale ma ogni forma di vita sulla terra”.

“Saggiamente Washington non intervenne nel 1956 quando l’Armata rossa (che ancora si chiama così) invase Budapest: quello sovietico era l’esercito più potente del mondo e gli ungheresi vennero lasciati al loro destino per non precipitare l’Europa e il mondo nel caos. Oggi quasi sessant’anni dopo, non solo si è deciso l’intervento—questa volta per interposta persona—dinanzi a una Russia militarmente indebolita (secondo la massima: colpire il nemico quando è più debole) ma, contravvenendo a tutti gli impegni e le garanzie date a Mosca alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, la Nato si è estesa in Europa orientale fino a lambire i confini russi. Se qualcosa di analogo fosse capitato a Stati Uniti e Canada—ad es. missili con testate nucleari in un’America centrale e meridionale colonizzate da russi e cinesi—la reazione sarebbe non meno dura di quella mostrata da Kennedy all’epoca dei missili a Cuba. Si sarebbe detto che un conto sono i missili che minacciano una democrazia, un altro conto sono quelli che minacciano un regime dittatoriale”.

“Tra l’altro va rilevato per inciso che la pace, anche quella imposta dal vincitore, nella società moderna post-totalitaria, non è sempre quella dei romani (“desertum fecerunt et pacem appellaverunt”): sia pure in condizioni difficili, è possibile salva-guardare qualcosa, come dimostrò l’accorto Janos Kadar, l’uomo imposto da Mosca alla guida del governo ungherese, che mise mano a riforme di qualche peso.

 Insomma finché c’è vita, c’è speranza e un’Ucraina dai confini più ridotti può continuare il suo processo di occidentalizzazione. Peraltro se i miliardi di dollari e di euro, destinati agli armamenti, venissero distribuiti alla popolazione civile di un paese, senza più Crimea e (forse) Donbass, gli ucraini avrebbero un tenore di vita superiore a quello svedese e finlandese”.

Confesso che non sono stato in grado di replicare alle considerazioni del mio amico. Le mie frequentazioni giornalistiche (da ’Atlantico’, l’organo del fondamentalismo occidentalista, al ‘Giornale’) sono tutte su una lunghezza d’onde diversa, se non op-posta e questo mi porta per lo meno a pormi la domanda scettica: “Dopo aver ascol-tato le argomentazioni degli uni e degli altri, que sais je veramente?”. Debbo anche dire che non pochi conoscenti e colleghi, in camera caritatis, esprimono opinioni ancora più radicali di quelle su riportate ma se ne guardano bene dal metterle per iscritto: rischierebbero di passare per amici di quell’autentico scoundrel di Putin e qualche volta—com’è capitato a me per aver consigliato a un’amica slavista il libro di Eugenio Di Rienzo, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, Rubbettino 2015—di perdere un’amicizia ventennale.

Sospendo, comunque, il mio giudizio sulla contesa politica e ideologica che sta dividendo l’Italia in campi avversi. Sarà la storia a decidere i torti e le ragioni. Le opinioni sono opinioni e tutte da prendere in considerazione ma una cosa, tuttavia, è certa e inconfutabile come un ‘giudizio di fatto’: quanti sono contrari alle sanzioni contro la Russia non hanno, per così dire, ’buona stampa’. Nel migliore dei casi ven-gono accusati di ignoranza (colpevole) di quanto sta avvenendo in Ucraina; nel peg-giore, passano per incalliti cinici, indifferenti ai valori alti dell’Occidente e preoccupati solo del rincaro del gas e della vita quotidiana in genere. Che migliaia di aziende chiudano i battenti, che si vada incontro a uno dei peggiori inverni della nostra storia, che in Ucraina continuino a morire ammazzati migliaia di militari russi e di militari e civili ucraini, sono preoccupazioni da panciafichisti, da “sciaurati che mai non fur vivi’. Nessun sospetto che, come capita sempre nel nostro malinconico mondo sublunare, possano esserci ‘valori’ da una parte e dall’altra, che l’etica dei principi (per cui la sovranità di uno Stato deve essere salvaguardata a costo di andare incontro a distruzioni irreparabili di vite e di beni) sia etica al pari dell’etica della responsabilità e che al ‘propter vitam, vivendi perdere causas’ si può sempre contrapporre l’osservazione che sotto terra non ci sono più buoni e cattivi, giusti o ingiusti.

Se si guardano i notiziari televisivi e si leggono i grandi giornali (i ’giornaloni’), a parte forse ‘Limes’, ci si rende conto che neppure il principio di far sentire ‘le due campane’ viene rispettato e che le rare volte che si citano fonti russe lo si fa per confermare la loro spudorata inattendibilità. Paradossalmente è nei periodici nordamericani che si possono trovare informazioni alternative (e certo non per questo veritiere). Gli articoli di grandi scienziati politici come John J. Mearsheimer , però, non vengono tradotti in italiano ed è una rivista catacombale come ‘Nuovo Arengario’ a segnalare il saggio di Ramon Marks No Matter Who Wins Ukrai-ne, America Has Already LostThere are multiple tough strategic realities for the United States to absorb. (‘The National Interest’ 21 August 2022).

Questa squalifica di chi non la pensa come noi è, forse, la peggiore eredità delle due culture totalitarie che tanto hanno inciso sul nostro sentire collettivo, il fascismo e il comunismo. Siamo il paese del ‘pensiero unico’: la verità sta solo da una parte—ieri il fascismo, il comunismo, oggi l’oltranzismo atlantista, il liberalismo mercatista, la santificazione (o per lo meno la giustificazione) degli Stati Uniti, qualsiasi cosa facciano. Forse aveva ragione, ahimè, il mio non amato Gobetti quando diceva che gli italiani non hanno spina dorsale morale.