Gli italiani e la pandemia: più lungimiranti dei loro governanti

Un paio di decenni orsono, insieme all’amico e collega Giorgio Grossi, elaborai un indicatore che oggi è divenuto patrimonio comune di gran parte della ricerca demoscopica. Esso si basa sulla considerazione che, per capire l’approccio al voto da parte del cittadino-elettore, sia indispensabile considerare non soltanto il suo orientamento di voto individuale, ma anche la sua specifica “percezione” dell’ambiente che lo circonda, del clima pre-elettorale in cui si trova inserito.

È stato dunque predisposto un indicatore robusto e semplice nello stesso tempo, che consiste nella pura richiesta all’intervistato di cosa – a suo parere – sarebbe successo nelle elezioni considerate, cioè di chi avrebbe vinto. Insomma: l’elettore come oracolo. O meglio, l’insieme delle previsioni individuali come “predittore” del vincitore. Per questo, l’abbiamo etichettato con il termine di “winner”. L’utilizzo di questo indicatore si è dimostrato negli anni molto affidabile: sia applicandolo ad elezioni locali che ad elezioni nazionali, il campione di intervistati evidenzia costantemente capacità predittive talora superiori a quelle degli studiosi e ai responsi dei sondaggi demoscopici.

La storia di “winner” mi è tornata alla mente in questo periodo pandemico, rileggendo i risultati di diverse migliaia di interviste effettuate da Ipsos durante i mesi di giugno e luglio scorsi, perché anche in quel frangente i cittadini interrogati sul decorso futuro del Covid-19 parevano aver compreso, oserei dire molto prima e molto meglio di quanto abbiano fatto politici e governanti, che il virus non si sarebbe arrestato tanto facilmente. Un po’ come accade appunto con la corretta profezia del vincitore, la stragrande maggioranza della popolazione pareva aver fiutato che le cose non si sarebbero risolte tanto facilmente o tanto velocemente, come qualche leader partitico o qualche presidente di Regione aveva al contrario proclamato agli albori della scorsa estate con lo slogan: riapriamo tutto!

Alla semplice domanda sulla possibilità che nei 6 mesi successivi ci saremmo trovati nella condizione di fronteggiare una seconda forte ondata di contagi in Italia, quasi l’80% degli italiani rispondeva che la ripresa pandemica era molto o abbastanza probabile. E che occorreva prepararsi per tempo, non quando saremmo stati nella sua fase più acuta.

E alla questione successiva: “Secondo Lei l’allentamento del lockdown e le riaperture delle attività decise nelle scorse settimane faranno aumentare il numero di contagi in Italia?” soltanto uno sparuto 14% degli intervistati dichiarava che “il trend di diminuzione dei contagi proseguirà più o meno come in questi giorni estivi”. Certo, magari il comportamento di alcuni dei nostri connazionali non è stato adamantino, proprio in quel periodo, ma è indubbio che la lungimiranza dei cittadini interrogati fosse di gran lunga maggiore di chi ha il potere decisionale, che come è stato da molti sottolineato in questa situazione è stata piuttosto carente, se non del tutto deficitaria.

Infine, anche sulla proroga dello stato d’emergenza si dichiarava d’accordo il 78% del campione, per una durata di almeno tre mesi per alcuni, ma per molti ancora di più, fino a 6 od oltre i 6 mesi. Il senso di responsabilità degli italiani sembrava superare (anche) in questo frangente quello dei governanti, preoccupati al solito della consueta ricaduta elettorale. Non a caso, tra coloro che minimizzavano il pericolo, erano soprattutto gli elettori di Lega e Fratelli d’Italia, sospinti dai rispettivi leader di partito, a ribadire che il peggio era ormai alle nostre spalle, che il virus era definitivamente sconfitto, e che occorreva tornare alla vita di sempre. Potere dello “storytelling”!