Lettere

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Lettere di Giuseppe Mastropietro

Gentile prof. Ricolfi,
ieri sera, da Porro, l’ho sentita dar credito a quanto affermato da Meloni ed altri in merito ai provvedimenti in oggetto. Tento di disilluderla.

Trasporti pubblici
Per avere un’idea della dimensione del problema provo a stimare, sia pure grossolanamente, la dimensione del trasporto pubblico locale. Se è vero che a Roma l’Atac ha costi annui di quasi un miliardo di euro l’anno (i bilanci sono pubblicati sul suo sito), si può ragionevolmente stimare, in rapporto alla popolazione, che, a livello nazionale, il costo annuo sia dell’ordine di una ventina di miliardi. E’ evidente che un raddoppio della capacità non sarebbe sufficiente a garantire un adeguato distanziamento: se su un autobus salgono quaranta persone invece di 80 cosa cambia? Ma raddoppiare il servizio costerebbe, se non una ventina di miliardi, una cifra non troppo discosta da quella e ciò solo nell’ipotesi di avere un adeguato serbatoio di autisti, mezzi, manutentori, ecc. cui attingere. Siamo, evidentemente, all’assurdo.

Ventilazione nelle aule
Forse Meloni pensa che basti fare un foro alle finestre e incastonarvi un ventilatore come le sarà capitato di notare in qualche vecchia officina. Ha riflettuto che quell’aria, d’inverno, ha bisogno di essere riscaldata? Con che cosa? Purtroppo il condizionamento delle sale riunioni – le aule scolastiche ne sono un’approssimazione – è non solo costoso ma difficile da realizzare, specie in edifici spesso vetusti. Si è chiesto perché spesso lo Stato, ma non solo, preferisce affittare edifici più moderni per i suoi uffici pur disponendo di una quantità sterminata di immobili vetusti? Ho lavorato in aziende di primaria importanza cui non mancavano risorse e, ciononostante, il condizionamento era una fonte di problemi perché il movimento dell’aria, anche se riscaldata, è spesso fonte di fastidi anche seri. Quante saranno le aule in Italia? Direi che siamo nell’ordine del mezzo milione. Solo di installazione, sempre che sia possibile, stimando una decina di migliaia di euro ciascuna solo per avere un palliativo di ventilazione, saremmo già a 5 miliardi – altro che i banchi a rotelle di Capezzone! E i costi di gestione? Ricordo ancora gli scioperi che facevamo da ragazzi perché ci lasciavano senza riscaldamento. Il risultato sarebbe che questi impianti finirebbero per il restare spenti perché realizzati male – correnti d’aria per ragazzi e insegnanti insopportabili – e costi di gestione che gli enti locali non saprebbero come coprire.

Spero di averla convinta.
Cordiali saluti,
Giuseppe Mastropietro

Risposta di Luca Ricolfi
Caro Ing. Mastropietro,
grazie mille per le osservazioni. Provo a risponderle sinteticamente:

SCUOLE
1) conosco abbastanza bene i problemi della qualità dell’aria nelle scuole, grazie agli studi dell’ing. Giorgio Buonanno e ad alcuni scambi di opinioni con lui;
2) le soluzioni ci sono e il costo si aggira sui 1000 euro a classe con filtri HEPA, per un totale di 400 milioni di euro su 400 mila classi; la VMC costa più o meno il quadruplo, la spesa salirebbe a circa 1.5 miliardi;
3) un esperimento con la VMC si sta conducendo nelle Marche sul 5% delle aule.

TRASPORTI
4) non è detto che la soluzione sia il raddoppio, che oltre a un problema di costi creerebbe un problema di autisti (semmai si potrebbe pensare a un’integrazione delle corse mediante trasporto privato, come è stato più volte proposto ed episodicamente attuato);
5) il problema dei trasporti è innanzitutto di far rispettare l’obbligo della mascherina, possibilmente ffp2; una campagna di educazione civica ben fatta, con testimonial efficaci, accompagnata da un rafforzamento sostanziale della rete dei controlli, potrebbe già dare buoni risultati.

Un cordialissimo saluto
Luca Ricolfi

Seconda lettera di Giuseppe Mastropietro

Gentile prof. Ricolfi,
In merito ai mille euro stimati dall’ing. Buonanno, li ritengo totalmente irrealistici. Il problema non sta solo nel filtraggio dell’aria – forse l’ing. Buonanno limita la sua stima all’installazione di filtri su un impianto già esistente e allora sarebbe corretta – ma nell’installazione di un impianto di ventilazione (efficace!) laddove esso manca del tutto e c’è solo un termosifone. Innanzitutto il ricircolo dell’aria ambiente, sia pure filtrata, non sarebbe a mio modesto avviso sufficiente: l’aria dovrebbe letteralmente essere cambiata, e più volte in un’ora. A tale intervento va sommato il costo del maggior onere di riscaldamento, perché un conto è scaldare un vano con un termosifone e un conto è aggiungere anche il costo dell’aria già riscaldata ed espulsa all’esterno per il necessario ricambio. Se si sfrutta un ventilconvettore esistente, l’aggiunta di un buon filtro (ammesso che sia possibile; comunque andrebbe frequentemente sostituito) non migliorerebbe radicalmente le cose in quanto l’alito emesso da un ragazzo con COVID Delta davanti a quanti suoi compagni passerebbe prima di giungere al filtro? L’ideale sarebbe insufflare l’aria dal basso, ovviamente tramite griglie su un pavimento sopraelevato, per poi essere recuperata in alto ed espulsa; ma quanto costerebbe?

Mi cita, inoltre, l’esperimento nelle Marche. Ciò non mi tranquillizza per i seguenti motivi:
– Francesco Acquaroli è, guarda caso, di FdI;
– dopo un anno e mezzo di pandemia, per un problema così urgente, siamo ancora alle sperimentazioni? E sì che si tratta di un provvedimento bandiera di FdI.
– per un’applicazione su tutto il territorio italiano quanti anni servirebbero ancora?

Riguardo ai trasporti, intendevo dare un ordine di grandezza della dimensione economica del problema; che ci si possa anche rivolgere a privati – a Roma qualcosa è stato fatto – non cambia la sostanza in quanto non sarebbe gratuito. il vero problema è, come dice giustamente lei, il rispetto delle regole, ma siamo nel campo dell’utopia.
Mi creda: i nostri governanti, per quanto pasticcioni, hanno fatto bene a puntare sui vaccini, economici ed efficaci ma, ahimè, non risolutivi.
Aggiungo un’altra idea, per sapere cosa ne pensa: che senso ha mettere fuori gioco il personale sanitario non vaccinato quando si potrebbe invece concentrarlo in ospedali riservati ai pazienti non vaccinati?

Cordiali saluti,
Giuseppe Mastropietro


Lettere di Maria Di Chio

Oggetto: articolo “Green pass, la discriminazione non c’entra”

Ho letto due volte l’articolo, ma non l’ho trovato convincente proprio dal punto di vista logico, il ragionamento, a mio parere, è piuttosto forzato e cavilloso. Lasciamo da parte la discriminazione di qualcuno in base a un carattere ascritto, su cui siamo tutti d’accordo. Analizziamo la discriminazione su basi arbitrarie, non credo vada circoscritta solo ad una specifica categoria di persone pre-esistente. Anzi. In un paese democratico, se per legge si decide di escludere dei cittadini dalla fruizione di diritti fondamentali (libera circolazione, libero accesso a luoghi pubblici, libertà di praticare una professione con conseguente privazione della retribuzione necessaria per vivere), si compie un’opera di pesante discriminazione. Non è un problema di bilanciamento fra salute e diritti individuali, perché:

1) i vaccini non impediscono la circolazione del virus, infatti non sono sterilizzanti, quindi è impossibile raggiungere l’immunità di gregge;

2) i vaccinati infettano quanto i non vaccinati, anzi sono loro, circolando liberamente, a mettere in maggior pericolo la salute altrui, compresa quella di chi non può vaccinarsi;

3) non si può imporre il dovere alla salute, come ha confermato recentemente anche la legge sulle disposizioni anticipate di volontà, quindi lo Stato non ha nessun diritto di discriminare chi non vuole proteggersi dall’eventuale infezione grave da covid;

4) discriminare i non vaccinati sulla base di un’emergenza sanitaria, che nei fatti attualmente non c’è, o sulla previsione incerta di quanto potrebbe avvenire nei mesi futuri, è appunto un’esclusione arbitraria e ingiustificata;

5) ultimo: negare la discriminazione perché il non vaccinato può ricorrere al tampone, non è corretto. Si può fare a meno di andare al ristorante, al cinema, in palestra.., ma non si può rinunciare al lavoro e perciò bisognerebbe fare tamponi  invasivi e irritanti a catena per mesi, a pagamento. Le chiedo: perché il governo ha escluso dai tamponi necessari quelli salivari,  che hanno la stessa validità dei genici? si sarebbe risolto il problema, a parte l’esborso, altra discriminazione rispetto alla vaccinazione gratuita.

Alla luce di queste considerazioni, dato che la vaccinazione di massa non può impedire la circolazione del virus e quindi le inevitabili varianti, risultando chiaro che i vaccinati al massimo proteggono se stessi dalla malattia grave, ma non la salute degli altri, tanto meno la salute collettiva, il paragone con l’obbligo della patente per guidare l’auto, mi sembra fuori luogo. Prima di tutto guidare l’auto non è un diritto fondamentale, quindi escluderne i non patentati non è discriminatorio. Inoltre è evidente che, per guidare l’auto, bisogna saperlo fare per non mettere in pericolo se stessi e gli altri, ma obbligare surrettiziamente con il green pass a vaccinarsi, quando anche i vaccinati possono mettere in pericolo se stessi e gli altri, quale differenza comporta fra le due categorie dei “vaccinati” e dei “non vaccinati”?
No, il green pass non è solo ingiusto, è volutamente discriminatorio. E’ contro tutte le libertà conquistate negli ultimi decenni, obbligando a sottoporsi ad una terapia sperimentale, di cui non si conoscono gli effetti a medio, lungo termine, contro il Codice di Norimberga, la Carta dei diritti fondamentali d’Europa, la Convenzione d’Oviedo e la nostra Costituzione.

Maria Di Chio, 8 agosto

Risposta di Luca Ricolfi
Una parte delle sue osservazioni si riferiscono al mio articolo, altre no, comunque il suo ragionamento è interessante, e abbastanza rappresentativo di un modo di vedere le cose largamente presente nell’opinione pubblica.
Nel merito, osservo solo due cose.
Che i vaccinati siano altrettanto capaci di trasmettere il virus (rispetto ai non vaccinati) allo stato delle conoscenze è un’ipotesi, non una certezza scientifica.
Inoltre, ai fini della salute pubblica, è altrettanto rilevante che le probabilità di infettarsi dei vaccinati siano oppure no eguali a quelle dei non vaccinati. Al momento le evidenze scientifiche sono incerte, e molto diverse da paese a paese per l’impossibilità di effettuare esperimenti controllati.
Un cordiale saluto

Luca Ricolfi

Seconda lettera di Maria Di Chio
Gentile Professore,

la ringrazio per la risposta. Sì, può pubblicare le mie osservazioni e aggiungo che ho 80 anni e non mi sono vaccinata, vivo sola nel Veneto, sono molto prudente, anche con i miei figli vaccinati, che potrebbero infettarmi. Naturalmente sono in pensione e le restrizioni non mi colpiscono più di tanto, posso rinunciare, ma non posso accettare che mia nipote, 18 anni, cedendo al ricatto di apartheid del governo e alle pressioni soft degli amici, abbia prenotato il vaccino. La sorella di 15 anni, che frequenta un corso di danza classica, a cui tiene moltissimo, sta insistendo anche lei e la madre fa fatica a frenarla. Eppure le due ragazze sono adeguatamente informate sul carattere di questo cosiddetto vaccino, che è una terapia sperimentale, autorizzata in Italia in modo condizionato, le cui tre fasi di sperimentazione sono state condotte in modo irregolare, contemporaneamente, invece che in fasi successive, sulla  quale “non sono stati condotti studi di genotossicità o sul potenziale cancerogeno” (bugiardino Pfizer) e della quale “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza” (numero 10 dell’allegato al consenso informato).
Non aggiungo altro commento alla situazione, che però fa capire chiaramente come sotto il nazismo la maggioranza dei cittadini tedeschi, discendenti di Goethe, Beethoven ecc. abbiano accettato le regole del regime per la salvaguardia della sicurezza nazionale contro il pericolo ebraico, ritenuto vero in molti paesi occidentali, senza porsi domande o dubbi. In questo caso il pericolo siamo noi, i non vaccinati, e l’odio cresce, fenomeno che, come sociologo, la invito a studiare.
Detto questo, che i vaccinati si possano infettare e infettare gli altri non è un’ipotesi, è una certezza, ovvia perché i vaccini non sono sterilizzanti, ma leaky, e provata da ciò che accade in Israele, Islanda, Gran Bretagna e a seguire fra poco anche da altri paesi, compreso il nostro.
Che le probabilità di infettarsi dei vaccinati siano oppure no uguali a quelle dei non vaccinati, concordo che al momento è una questione incerta, per lo meno la proporzione, ma pubblicamente in tutti i canali istituzionali, mediatici, accademici viene affermato che i vaccinati si infettano e  sono contagiosi in misura modestissima, quasi irrilevante. Non commento.
Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma non voglio approfittare della sua gentilezza, un’ultima cosa mi permetta: la verità che non si vuole ammettere è che si spera che la vaccinazione di massa possa impedire il collasso del sistema sanitario, non è sicuro, ma si sta puntando solo su di essa, senza fare tutto ciò che sarebbe necessario per prevenire le ondate e contenerle, come lei ha ripetutamente consigliato inascoltato. Ebbene si può imporre ai singoli una terapia sperimentale così piena di incognite, discriminando una parte della popolazione, solo perché il sistema sanitario è inadeguato a fronteggiare un’epidemia dalla mortalità così bassa e dalla letalità relativamente alta solo per una fascia ristretta della popolazione? Non è come un’epidemia di peste del passato!
Gentile Professore, se mi ammalerò, mi rivolgerò alla rete dei medici delle terapie domiciliari, i miei figli vaccinati potranno accudirmi senza temere per se stessi e, se le cose si metteranno male, stiano tranquilli gli odiatori, non andrò ad occupare un letto d’ospedale ,mi auguro che il servizio sanitario mi fornisca in cambio la sedazione terminale. Qualche anno di vita in meno? Alla mia età non ha molta importanza e piuttosto che morire di tumore o per una patologia cardiovascolare, forse è meglio il covid. Chissà! Morire è sempre una cosa dolorosa.

Cordiali saluti

Maria Di Chio, 9 agosto


TORINO la gravissima crisi della città e del Piemonte arriva al Governo in tutta la sua complessità.

Il mio modesto parere: da decenni sapevamo che la FIAT avrebbe abbandonato la città, con le macro conseguenze immaginabili. Le amministrazioni torinesi (a partire da Chiamparino e con un top nel quinquennio Fassino), scelsero, per rilanciare Torino, la strada della “cultura”: mega festival rock, pop, techno e jazz per le strade e nelle piazze, con dominante esaltazione da parte dei media, e la massima pubblicizzazione della rete delle Residenze Sabaude, importante fiore all’occhiello della nostra storia. Il turismo se ne avvantaggiò, la città divenne più conosciuta e dinamica ma questa scelta strategica non risolse se non in minima parte le grandi e profonde problematiche insite nella crisi strutturale di Torino. I nostri improvvidi o ignoranti amministratori non si resero conto che le Città di Cultura universalmente riconosciute da secoli in Italia sono: Venezia, Firenze, Roma e Napoli, che Torino non sarebbe mai diventata la Città di Cultura per eccellenza, che non avrebbe mai potuto salvare la sua economia puntando tutto sulla Cultura. Penso che, dopo essere stata per quasi un secolo la città Industriale per eccellenza, nota in Italia e nel mondo per tale peculiarità, amministratori preparati, capaci di vasta visione, profondamente “colti” della cosa pubblica, avrebbero potuto anzi dovuto scegliere di far rinascere Torino potenziando subito e con grande impegno tutto il patrimonio tecnico/scientifico/ medico/industriale/elettronico/aerospaziale/ in cui la città già eccelleva, avendo fra l’altro uno dei Politecnici storicamente più importanti d’Europa. Mah la “cultura” veniva agìta con spavaldo entusiasmo per le strade (“una Torino in movimento” era lo slogan e ricordo le foto di Fassino e della buonanima di Braccialarghe assessore alla cultura, con il cappelluccio di paglia e un sorriso “giocoso” che pubblicizzavano il jazz per le strade, ricordo anche seriosissimi servizi televisivi in cui Fassino colloquiava con Max Casacci, molto compreso nel ruolo di massimo esponente della “cultura della notte torinese”, descritta come uno dei “pilastri” della rinascita). Che la Cultura sia un valore immenso e che quelle iniziative abbiano portato un buon dinamismo è indubbio, ma come si evince dalle condizioni in cui è ridotta la città, non potevano bastare per farla rinascere. Ci volevano “palle” politico/culturali per capire dove si doveva puntare tutto e al massimo per far diventare Torino la Capitale della Scienza e della Tecnica, la più articolata e importante d’Italia. Al tempo stesso certo potenziare anche la Cultura, elemento fondamentale, ma senza farlo diventare l’unico obiettivo salvifico…fu una grande illusione dettata ahimè da politiche ottuse e ignoranti o quantomeno incapaci di capire quanto sui tempi medio lunghi una Torino “disintegrata” nella sua struttura portante sarebbe inevitabilmente collassata. Oggi i nodi arrivano al pettine, forse finalmente e con immenso ritardo Torino ritroverà la sua vocazione tecnico/scientifica di eccellenza? Riuscirà a recuperare il tempo perduto? Ce lo auguriamo di cuore!

Simonetta Chierici


Egregio Prof. Ricolfi,

desidero fare un commento ad una piccola nota del suo ultimo libro (nota 12 del volume “La notte della ninfea”), là dove lei dice che, da suoi calcoli, la percentuale di positivi al Covid-19 fra i migranti che arrivano in Italia è del 19 %.
Mi fa piacere che lei sia giunto per sue vie a questo numero che – non so se lei ne sia al corrente – già circolava sui giornali fin dal mese di Maggio 2020. E’ un numero a mio parere significativo, poiché sembra indicare che in una popolazione in cui tutti siano esposti in modo certo, continuativo e sistematico al virus, coloro che ne vengono infettati sono un po’ meno del 20 %. Da cui, per converso, sembrerebbe lecito inferire che l’80 % della popolazione ne sia immune. E, se così fosse, altre e diverse strategie sarebbero da mettere in campo per combattere la pandemia.
Lo scopo di questa mia nota è di sottoporle alcuni elementi in merito.
Comincio con l’osservare che i migranti in arrivo dalla Libia o dalla Tunisia sono stati assai probabilmente esposti al virus nella loro totalità, e lo sono stati in modo acuto e continuativo. Basta pensare alle condizioni in cui essi si muovono attraverso il Mediterraneo (a diecine o centinaia stipati in una barchetta), alle condizioni in cui hanno vissuto nelle settimane o nei mesi precedenti (letteralmente ammassati in centri di raccolta o in semplici stanze tipo prigione), alle condizioni in cui hanno presumibilmente effettuato gli interminabili trasferimenti dai loro paesi d’origine fino alle sponde del Mediterraneo (probabilmente in camions stipati fino all’inverosimile). Per queste masse umane, che sono state sicuramente e sistematicamente esposte al virus per tempi assai lunghi e senza alcuna protezione o difesa, lei stesso stima un tasso di contagio del 19 %.
Ma casi altrettanto esemplari di esposizione collettiva, certa e continuativa erano già stati ampiamente riferiti nella primavera del 2020. Fra i tanti che apparvero in quei giorni cito i più conosciuti.

  • La nave da crociera Princess Diamond, che fu obbligata alla quarantena nel porto di Yokohama con circa 3700 persone a bordo; al termine della quarantena fu fatto lo screening di tutti i passeggeri, da cui risultò che solo il 18 % di essi aveva contratto il virus.
  • La portaerei nucleare Roosevelt (US), infettatasi con circa 5000 marinai a bordo; al termine della quarantena il tasso di infezione si rivelò essere del 19 % (se non ricordo male).
  • La portaerei nucleare Charles De Gaulle, anch’essa infettatasi con circa 5000 marinai a bordo; al termine della quarantena il tasso di infezione si rivelò essere del 16 % (anche qui se non ricordo male).
  • Svariati altri casi di navi da crociera o da trasporto, non così ampiamente pubblicizzati, per i quali furono riferiti tassi di infezione situati attorno, o subito sotto, al 20%.

I dati di cui sopra, insistentemente coerenti fra di loro, fanno sorgere il sospetto che il tasso di infezione del 19 % (circa) possa essere un limite di fatto non superabile, forse grazie alle caratteristiche biologiche e/o immunitarie della popolazione umana odierna (mi scusi per il poco accurato modo di esprimermi, derivante dalla mia mancanza di familiarità con la materia). Certo occorrerebbe convalidare questo sospetto tramite apposite esperienze condotte in modo scientifico, ma la condizione di forzata e prolungata coabitazione in spazi estremamente limitati che si è verificata in tutti i casi che ho citato è, a mio modesto parere, quanto di più vicino a ciò che si potrebbe fare nel corso di un esperimento condotto con criteri scientifici. E, sempre a mio parere, vi è anche la certezza che, nei casi da me citati, tutti gli individui siano stati esposti in modo continuativo e massiccio al virus.
Ho parlato di queste mie osservazioni con diverse persone; persone ordinarie come me, ma comunque dotate di strumenti culturali sufficienti a rilevare la singolarità di un numero (il tasso di infezione) che si attesta allo stesso identico valore attraverso le situazioni più disparate. Le persone con cui ne ho parlato erano medici, biologi o persone altrimenti impegnate in campi della ricerca, ma da loro ho sempre ricevuto reazioni evasive e obbiezioni per lo più inconsistenti, come l’affermazione apodittica che nelle navi che rimasero in quarantena nessuno si mosse dalla propria cabina e quindi i contatti con altri passeggeri furono forzatamente nulli o limitatissimi (da cui la limitazione del contagio a meno del 20 %); oppure che il sistema di condizionamento di una nave è suddiviso in talmente tanti comparti indipendenti fra di loro che l’aria da respirare viene condivisa solo con pochissime altre persone. Ciononostante io rimango convinto che il tenere 5000 persone ammassate dentro una scatola di metallo per oltre un mese sia qualcosa di molto simile a ciò che verrebbe fatto nel corso di un esperimento scientifico destinato ad appurare come si propaghi una infezione attraverso una popolazione non protetta.
Perché le dico tutto questo ? Perché sono convinto che gestire una pandemia alla quale solo il 19 % delle persone è sensibile sia un affare completamente diverso dal gestire una pandemia a cui il 100 % è sensibile. Infatti, se solo il 19% lo è, diventa fondamentale lo scoprire chi lo sia, così da poter mettere in atto misure che servano a proteggere questi sfortunati senza dover coinvolgere il restante 81% della popolazione, la quale è immune. Cosa che permetterebbe di abbattere drasticamente i terrificanti costi “collaterali” della pandemia (e.g. lockdown economico e industriale generalizzato). Non so se esistano metodi per scoprire se un individuo appartenga all’una o all’altra delle due categorie, ma se non esistono è compito della ricerca il trovarli; cosa che a tutt’oggi non ho sentito dire che si faccia.
Appare ovvio che, qualora un metodo di discriminazione esistesse o venisse trovato, diventerebbe estremamente facile il seguire lo sviluppo temporale del contagio, punto di partenza per ogni seria azione di contrasto: basterebbe eseguire tests su campioni casuali e di dimensioni decisamente ridotte della popolazione, così da poterla classificare in una delle quattro categorie: 1) immuni, 2) non immuni e non ancora infettati, 3) non immuni e infetti, 4) non immuni e già guariti dall’infezione: Le scienze statistiche ci dicono che per classificare una popolazione in sole 4 categorie bastano poche migliaia di tests per volta (e forse un solo migliaio).
Concludo scusandomi per averla disturbata, e la ringrazio per l’attenzione che avrà voluto benevolmente dare a queste mie parole in libertà.

Desidero esprimerle la mia stima per quanto lei dice e fa, e ritengo che l’Italia avrebbe bisogno di più persone come lei.
La saluto con la simpatia che si deve a chi opera con serietà e convinzione.

(Lettera firmata)


Pubblichiamo qui di seguito tre lettere del Dottor Giovanni Serra, Medico chirurgo.

Sono un medico 76 enne, in pensione da un pezzo.
Le scrivo a proposito della pandemia, perché apprezzo molto i suoi articoli e i suoi interventi televisivi.
Nella mia vita professionale (facevo il medico di famiglia) non mi è mai capitato di assistere i miei pazienti per una epidemia di influenza in luglio e agosto, semplicemente perché, facendo parte delle malattie da raffreddamento, i primi casi influenzali si manifestano in autunno (coi primi freddi) per raggiungere i picchi in gennaio – febbraio (l’esplosione avviene dopo le festività Natalizie) e decrescere all’ arrivo dei primi tepori primaverili.
Non solo l’influenza “classica”, quella per cui ci si vaccinava fino a qualche anno fa, ma anche le banali tossi, raffreddori, faringiti, tracheiti, bronchiti, broncopolmoniti, polmoniti ecc.., causati da altri virus e microbi, seguono la “stagionalità'” delle influenze.
È una banale constatazione e un dato di fatto, che questi malanni ci affliggono, se e quando, non ci proteggiamo a sufficienza dal freddo.
Colpiscono massimamente nelle stagioni fredde e quasi mai di estate (salvo qualche escursionista che salga a 2.000 metri, in montagna, in t-shirt e pantaloncini corti).
Queste malattie da raffreddamento (tra le quali rientrano tutte le varianti Covid a pieno titolo) insorgono perché il freddo agisce “da ariete” abbattendo, in maggior o minor misura, tutte le difese organiche di cui ciascuno di noi dispone, in primis e, più facilmente, quelle delle alte vie respiratorie e poi, più gravemente, quelle delle basse vie.
La capacità di mantenere intatta la nostra omeotermia corporea è ancora più importante dell’intero sistema immunitario, non solo degli anticorpi e cellule difensive che vengono indotti con la vaccinazione.
In caso di perfrigerazioni, che compromettano l’omeotermia, alle estremità (naso, gola, piedi, mani) affluiscono, per meccanismi omeostatici difensivi, meno sangue, calore, nutrienti, ossigeno, anticorpi, linfociti ecc… il che comporta un abbassamento delle difese, che apre le porte all’ ingresso dei patogeni.
Consideri che, per l’insorgenza di una malattia, ci sono questi passaggi:
1) contagio (il patogeno arriva sull’epidermide o sulle mucose)
2) infezione (attraversa queste barriere e arriva al sangue e nei tessuti interni, trovando le resistenze organiche che lo eliminano o vengono vinte con
3) l’esplosione della malattia conclamata.
Il Covid 19, sia nelle stagioni fredde che ora, nel 95% dei casi è asintomatico… non crea… danni, si comporta come un innocuo saprofita che viene, con facilità, eliminato dalle difese organiche, se l ‘ospite sta in quarantena, a casa, al caldo.
Solo nel 5% dei casi determina malattia paucisintomatica, leggera, media o grave.
Nei giorni scorsi, con l’arrivo delle alte temperature estive siamo arrivati a 53.000 guarigioni, contro 1.000 – 2.000 nuovi contagi al giorno.
Le guarigioni non avvengono per i vaccini e neanche per le migliori cure domiciliari o ospedaliere, che sono le stesse di 2 – 3 mesi fa, che comportavano aumenti giornalieri di contagi, casi e aggravamenti, nonché, purtroppo, morti.
Siamo noi, “l’ospite” del patogeno, che dobbiamo chiudere la porta in faccia a microbi e virus, mantenendo sempre e comunque abbigliamento e comportamento, al chiuso o nella vita all’aperto, attento e responsabile onde evitare raffreddamenti e perfrigerazioni.
Spero che queste mie considerazioni Le possano essere utili.

Cordiali saluti
Dottor Giovanni Serra, Medico chirurgo


Ill.mo Prof. Luca Ricolfi,
faccio seguito alla mia precedente per dirle che trovo stranissimo che nessuno dei miei più autorevoli colleghi e scienziati si sia mai chiesto, come e perché, il Cavalier Berlusconi, in tre giorni, sia passato da positivo asintomatico e in piena salute, l’estate scorsa in Sardegna, a grave, tanto da necessitare di ricovero urgente al San Raffaele.
Né, come e perché, il paziente numero 1 di Codogno abbia fatto questa trafila: prima domenica maratona in Liguria – Febbre -// la domenica successiva partita di calcio nelle brume padane – nuovo episodio febbrile //la domenica seguente altra maratona…. febbre e ricovero in coma in ospedale, in pieno inverno e con temperature gelide.
Qual è la causa che ha determinato l’avvio della malattia Covid in modo così grave, in questi due casi?
Da medico pratico, vista l’anamnesi patologica prossima del secondo, Le dico… forti e ripetute perfrigerazioni.
Nel primo caso invece è facile supporre, non conoscendo l’anamnesi, che un bagno prolungato serale o notturno o un giro in yacht a forte velocità e in abbigliamento leggero o cose simili, possa aver determinato una perfrigerazione che ha causato l’avvio della sintomatologia acuta.
Un semplice e autorevole richiamo a freddo e perfrigerazioni e al ruolo che svolgono in questa epidemia, sembra banale, ma potrebbe essere utile quanto e più delle vaccinazioni, a mio parere, in specie se considera quanto scritto nella mail precedente.
È la bella stagione, col caldo, che mantiene naturalmente efficienti le nostre difese organiche che fa guarire 50.000 e più malati al giorno e limita il numero dei nuovi malati e contagi.
La stagionalità è confermata dalle curve ufficiali Istat di contagi e morti Covid dell’anno scorso e di quest’anno, che sono sovrapponibili a quelle della comune influenza; unica differenza l’altezza dei picchi di contagi e morti.

La ringrazio per l’attenzione.
Cordiali saluti.
Giovanni Serra, Medico chirurgo


Ill.mo Prof. Ricolfi,
La ringrazio per la Sua attenzione e per la gentile e pronta risposta.
È da più di un anno che, su questo argomento, ho cercato di sensibilizzare alcuni giornalisti, scrivendo loro e – mail con le stesse considerazioni, ma senza conseguire risultati pratici.
Sono convinto che una informazione scientifica, puntuale e autorevole,  sulla importanza del ruolo giocato da freddo e perfrigerazioni e una adeguata educazione sanitaria su temi come questi, rendendo consapevole e più attenta la popolazione (specialmente i giovani delle scuole, ma anche trentenni e quarantenni,   che fanno jogging di primo mattino o all’ imbrunire di gelide giornate invernali o che seguono mode a “forte ” rischio di perfrigerazioni), otterrebbe un impatto positivo sull’andamento dell’epidemia.
Tanto più che costerebbe pochissimo.!!
Sono altresì convinto, in tutta scienza, coscienza ed esperienza, che in autunno le curve statistiche di casi e morti risaliranno (spero meno per le vaccinazioni che riusciranno a mettere in campo), seguendo l’andamento dello scorso anno. Se permette, Le faccio un’altra considerazione, che penso possa essere statisticamente utile.
Io ho seguito passo… passo l’epidemia: la tremenda ondata di freddo e gelo, aggravata dal vento fortissimo del burian, dalla sera del 12/02/21 a quella del 15/02/21, è stata poi seguita dalla ultima grande ondata di casi e morti, con tempistiche perfette, in una situazione che stava in precedenza migliorando.
Mi permetta di ricordarLe, anche, i clusters, scoppiati in piena estate in un macello industriale di 750 occupati, in Germania, e due o tre, in macelli della pianura padana, di medie dimensioni, nonché quelli di alcuni centri turistici montani, che conosco bene (Sesto Pusteria, Auronzo, Sappada, Santo Stefano di Cadore) per essere particolarmente freddi, avvenuti a fine agosto (avvenuti dopo i primi sbalzi di temperatura, dovuti ai temporali di fine estate)
Da ultimo, i casi Billionaire e discoteche, si possono spiegare con l’aria condizionata, magari particolarmente bassa, per giovani e inservienti, che vanno dentro e fuori, sudati e stanchi, per le ore di ballo o di lavoro e di sonno perse.
Tutte situazioni a rischio perfrigerazioni.
Mi scusi per la prolissità.

Cordiali saluti.
Giovanni Serra, Medico chirurgo