La “funzione” intellettuale

Qualche giorno fa un caro amico –  Giuseppe Samonà, bravissimo scrittore, che vive da anni a Parigi –  mi diceva che questo, specie visto da fuori, è un governo fascista: destra sociale + xenofobia. Va bene l’eterno fascismo italiano di cui parlava Carlo Levi nel 1944. O se volete il fascismo come gobettiana autobiografia della nazione.  Il fascismo insomma  come forma moderna (per quanto di una modernità  in parte stravolta) di un tratto antico del nostro carattere, diciamo almeno dal ‘600 (per il momento non andiamo oltre e lasciamo perdere la furbesca impostura di sor Ciappelletto, nel Decameron): conformismo, cialtroneria, intolleranza, piccolo egoismo quotidiano, gusto della spettacolarità, vigliaccheria, retorica, opportunismo,  e anche modi spicci, una inclinazione alla brutalità e un ruvido realismo (aspetto ben presente al Thomas Mann di Mario e il mago). Ora, fortunatamente oggi non c’è lo squadrismo, l’intimidazione fisica, se non in frange estreme (CasaPound). Una volta infatti assistendo a un comizio leghista strappai, in un momento di rabbia, un loro volantino. Nessuno mi ha né detto né fatto alcunché.

Ma direi che alcuni di quegli elementi li ritroviamo nel popolo di Salvini (guasconeria, nazionalismo “con le palle” e a tempo scaduto, l’egoismo del “me ne frego” …), altri nel popolo di Saviano (ipocrisia, snobismo conformista, le magliette rosse come segno di distinzione, eroismo magniloquente, esibizione di indignazione, che diventa una “professione”, il disprezzo per chi la pensa diversamente sulla situazione presente). La mia potrebbe essere considerata una pericolosa equidistanza tra i due. Credo invece che Salvini abbia oggi molte più responsabilità di Saviano, anche solo per aver imposto, in modi spesso paranoici, la migrazione come la questione più drammatica e urgente per gli italiani (e non è esattamente così). Ma credo che anche persone che abbiano un orientamento di sinistra e sensibilità umanitaria debbano essere un po’ più vigili nei confronti di una retorica tipica della propria parte (per il critico americano Lionel Trilling l’indignazione è la emozione caratteristica della classe media), e che diano più ascolto a umori e stati d’animo che provengono non dalla casta ma dal basso, dal sottosuolo sociale. Né condivido questo febbrile protagonismo degli intellettuali, che non rinunciano a un ruolo pubblico ormai obsoleto. Qual opinion maker oggi è davvero autorevole? Altra cosa è invece rivendicare la “funzione” intellettuale, il pensiero critico socraticamente presente in ciascuno. Proprio Carlo Levi diceva che il nostro compito è sconfiggere anzitutto il fascismo “dentro di noi”. Ecco, sconfiggere il razzismo dentro di noi, in tutte le sue forme. Sarebbe già molto.