Indice DQP: per l’immunità di gregge dobbiamo aspettare novembre 2023

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro– le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

All’inizio della terza settimana del 2021 (lunedì mattina, 18 gennaio) il valore di DQP è pari a 147 settimane, il che corrisponde al raggiungimento dell’immunità di gregge non prima del mese di novembre del 2023.

Il valore del DQP è leggermente peggiorato rispetto a quello della settimana scorsa (143 settimane, immunità di gregge a ottobre 2023).

Per raggiungere gli obiettivi enunciati dalle autorità sanitarie (immunità di gregge entro settembre-ottobre 2021), il numero di vaccinazioni settimanale dovrebbe essere circa il quadruplo di quello attuale (2 milioni la settimana, anziché 500 mila).


Nota tecnica

Va precisato, comunque, che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni lunedì, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “di questo passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 4 parametri:

  1. una stima del numero di italiani vaccinati necessario per garantire l’immunità di gregge;
  2. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana (da lunedì a domenica);
  3. quante vaccinazioni erano state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  4. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa sulle ipotesi più ottimistiche possibili sul funzionamento del vaccino e sull’andamento della campagna vaccinale. Più precisamente:

  • i vaccini somministrati non solo proteggono i vaccinati dall’insorgenza della malattia, ma impediscono la trasmissione dell’infezione ad altri (immunità sterile);
  • l’obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • sul mercato vengono introdotti vaccini per tutte le fasce d’età, compresi gli under 16 (i vaccini attuali sono testati solo su specifiche fasce d’età);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.

 

 




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Negli ultimi tre giorni, la temperatura dell’epidemia ha continuato a scendere fino a raggiungere 112.0 gradi pseudo-Kelvin (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 17 gennaio).

Questo miglioramento si deve soprattutto al calo dei nuovi contagi (nell’ultima settimana si sono registrati 102 mila nuovi casi rispetto ai 120 mila della settimana precedente) e in parte alla diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati. Sono rimasti sostanzialmente stabili i decessi.

La riduzione settimanale della temperatura è pari a -14.0 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Vaccinare non basta

Mentre i politici sono impegnati con i giochi di palazzo, le preoccupazioni degli italiani vanno da tutt’altra parte, e girano intorno a due semplici domande: quando ci ridaranno la libertà? sarà grazie alla vaccinazione di massa che torneremo a vivere (quasi) normalmente?

E allora proviamo a rispondere, partendo dalle dichiarazioni delle autorità sanitarie, in ordine di tempo.

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (ministro Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi” (Sandra Zampa, sottosegretario al ministero della salute).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%”(Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinarel’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

Dunque il percorso è chiaro. Fra dicembre 2020 e gennaio 2021, molto opportunamente, le autorità sanitarie hanno spostato l’asticella dell’immunità di gregge dal 70 all’80%, presumibilmente per tenere conto della maggiore trasmissibilità di alcune varianti del virus. E, anche qui assai saggiamente, hanno indicato ottobre come data limite, per evitare di trovarci di nuovo impreparati all’inizio della stagione fredda.

Se questa è la tabella di marcia, si tratta di vaccinare 13 milioni di italiani entro il 31 marzo, e 48 milioni di italiani entro il 31 ottobre. Tenuto conto del fatto che, per ora, i vaccini richiedono 2 dosi, l’obiettivo si raggiunge con circa 2 milioni di vaccinazioni alla settimana. Attualmente ne facciamo poco più di mezzo milione, quindi per raggiungere l’obiettivo dobbiamo circa quadruplicare il ritmo. Se il ritmo rimanesse quello degli ultimi 7 giorni, per il 31 ottobre i vaccinati totali (con 2 dosi ciascuno) sarebbero  più o meno il 20%, ossia 1 italiano su 5. E l’obiettivo dell’80% di vaccinati non si raggiungerebbe mai, nemmeno in seguito (a meno si scoprisse che una sola vaccinazione basta, e che non occorre rivaccinare tutti ogni anno).

E’ realistico pensare di raggiungere l’80% di vaccinati entro ottobre di questo anno?

Secondo molti no, per un complesso di ragioni. La più decisiva è che, per ora, non abbiamo vaccini testati su tutte le fasce d’età, e in particolare mancano del tutto vaccini per la fascia fino a 16 anni. Come ha fatto notare nei giorni scorsi l’immunologia Antonella Viola, se non si possono vaccinare anche i giovani, l’immunità di gregge entro l’estate è un miraggio.

Questa è una pessima notizia, perché significa che, anche riuscissimo ad avere le dosi e a somministrarle al ritmo richiesto, nell’autunno prossimo non saremmo ancora protetti attraverso il meccanismo dell’immunità di gregge. E ancora peggiore è la notizia, arrivata in queste ore, secondo cui Pfizer non riuscirà a consegnare nei tempi e nelle quantità previste le dosi di vaccino promesse alla Commissione europea.

Ma supponiamo, per un attimo, che nonostante tutto si riesca a vaccinare l’80% degli italiani entro la fine di ottobre. Questo risultato assicurerebbe l’immunità di gregge?

Per rispondere alla domanda bisogna capire bene che cosa “immunità di gregge” significa. Immunità di gregge, in buona sostanza, significa che il numero di persone immuni (perché vaccinate, o dotate degli anticorpi necessari), è sufficientemente alto da portare Rt (la capacità di trasmissione) al di sotto di 1, con conseguente più o meno rapida estinzione dell’epidemia.

C’è un piccolo dettaglio, però. Se l’immunità di gregge viene perseguita mediante la vaccinazione di massa, occorre che i vaccini prescelti non si limitino ad assicurare al soggetto vaccinato di non contrarre la malattia, ma anche di non trasmettere il virus. Altrimenti può succedere che i neo-immunizzati diventino addirittura più pericolosi di prima come fonti infezione (chi è tranquillo per sé stesso rischia di attenuare le precauzioni che usava precedentemente). Sfortunatamente, per ora nessuno è in grado di dire se i vaccini attualmente autorizzati proteggano solo dalla malattia, o anche dal rischio di trasmissione.

Questo renderebbe la campagna di vaccinazione inutile?

Assolutamente no. Il grandissimo pregio di una campagna di vaccinazione di massa, specie se parte dai più esposti al rischio di contrarre il Covid in forma grave, è quello di abbassare drasticamente il tasso di mortalità, anche in assenza di immunità di gregge. Vaccinare le categorie più a rischio (operatori sanitari, anziani, soggetti affetti da altre patologie gravi) è comunque estremamente utile e opportuno. Il problema è che, almeno nell’orizzonte dei prossimi 9 mesi, non basterà a consentire la riapertura in sicurezza delle attività economiche.

Per questo obiettivo occorrerà che il governo si decida a fare finalmente le troppe cose che finora non ha fatto, o non ha fatto in misura adeguata: tamponi di massa, contact tracing efficiente, Covid-hotel per le quarantene, controllo dei voli e delle frontiere, rafforzamento del trasporto pubblico, messa in sicurezza delle scuole e delle università, riorganizzazione della medicina territoriale, solo per ricordare quelle più importanti.

Se continuerà a non farle, avremo ancora un lungo periodo di chiusure-riaperture, e la danza dei quattro colori (ora c’è anche il bianco…) ci accompagnerà almeno fino all’estate. Sarebbe l’errore più grande: puntare tutto sull’arma finale del vaccino, coltivando l’illusione che le armi convenzionali non servano più.

Pubblicato su Il Messaggero del 16 gennaio 2021




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 14 gennaio) la temperatura dell’epidemia è rimasta sostanzialmente invariata (il calo è stato quasi impercettibile, pari a 0.4 gradi). Il termometro di oggi segna 123.0 gradi pseudo-Kelvin.

La stazionarietà della temperatura dipende da due tendenze opposte: il calo dei nuovi contagi e degli ingressi ospedalieri stimati è stato controbilanciato dall’aumento dei decessi (nell’ultima settimana si sono registrati 3.5 mila decessi rispetto ai 3.1 mila della settimana precedente).

La variazione settimanale della temperatura è pari a +4.7 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il rispetto per i morti

Oggi (14 gennaio) mi è successa una cosa sconcertante. Ero stato invitato a un programma televisivo (L’aria che tira), e ho avuto occasione di discutere con una esponente del Pd (l’on. Debora Serracchiani).

Ho fatto presente che, nel dibattito sul manipolo di “responsabili” che dovrebbero salvare il governo, mancava del tutto l’elemento cruciale, e cioè il fatto che la gestione dell’epidemia era stata disastrosa, e che gli errori commessi ci erano costati non solo decine di miliardi di Pil ma anche decine di migliaia di morti.

Per tutta risposta mi è stato detto che “ricordare i morti è una caduta di stile, che potevamo evitarci”. Per poi aggiungere, come se fosse una risposta pertinente, che con il governo precedente le cose sarebbero andate ancora peggio.

Ma come?

Io faccio presente che una parte delle morti per Covid erano evitabili, lo faccio sulla base di studi e ricerche (non solo mie), e lei – che ha responsabilità politiche – anziché chiedermi quali errori siano stati fatti, e che cosa si può fare oggi per non ripeterli in futuro, non trova di meglio che parlare di “caduta di stile”? E, per difendere questo governo, non trova di meglio che affermare che un altro governo avrebbe fatto peggio?

Dunque siamo autorizzati (forse) a parlare dei punti di Pil che sono stati inutilmente bruciati, ma delle vite umane sacrificate dalla lentezza e dalla superficialità della politica è proibito parlare.

Non ci potevo credere. Poi ho capito. Per certi politici (non tutti, spero) rispetto significa non porre mai le due domande cruciali: potevano essere di meno? come possiamo fare per evitare altre morti non necessarie?

O meglio: porle pure, quelle domande, quando la responsabilità non è in capo alla politica, o è in capo alla parte politica avversa, ma evitarle accuratamente quando è la propria parte politica che deve rispondere del proprio operato.

E invece no. Noi studiosi dobbiamo dirlo alto e chiaro: rispettare i morti, per le persone libere, significa non avere paura di capire come sono andate le cose, e fare tutto il possibile perché certe tragedie non si ripetano.