Sardegna e Valle d’Aosta: la lepre e la lumaca nella lotta al Coronavirus

(il termometro della Fondazione Hume regione per regione)

La novità. Da lunedì 6 aprile la Fondazione David Hume inizia la pubblicazione di un bollettino settimanale sull’andamento dell’epidemia nelle 19 Regioni italiane e nelle 2 Province autonome di Trento e Bolzano.

Il bollettino settimanale sulle Regioni e Province si affianca al bollettino giornaliero sull’Italia nel suo insieme, che esce ogni giorno alle 20 sul sito della Fondazione, nonché, alla medesima ora, nell’ambito del telegiornale di La7.

Entrambi i bollettini forniscono una valutazione dell’andamento dell’epidemia mediante un nuovo indice sintetico e intuitivo. L’indice si legge come una temperatura, e misura la velocità di propagazione del contagio su una scala che va da 42° (epidemia galoppante) a 37° (epidemia sostanzialmente arrestata).

Risultati dell’ultima settimana.

Nel corso della settimana che va da domenica 29 marzo a domenica 5 aprile la temperatura dell’epidemia è scesa in quasi tutte le regioni, con la sola eccezione di Valle d’Aosta, Molise e Provincia di Bolzano: in queste tre realtà la tendenza di fondo è stata all’aumento.

Se consideriamo le tendenze più recenti, ovvero gli ultimi due giorni della settimana, la regione con la temperatura più bassa (ossia con la dinamica del contagio più lenta) è risultata la Sardegna, quella con la temperatura più alta (ovvero con la dinamica del contagio più pronunciata) è stata la Valle d’Aosta.

Oltre alla Sardegna, anche altre cinque regioni mostrano un andamento migliore di quello dell’Italia nel suo insieme: Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Umbria, Molise.

Per questa settimana la regione-lepre (la più rapida nella corsa ai 37 gradi) è la Sardegna, che è già a 37.6.

La regione-lumaca (la più lenta) è la Valle D’Aosta, che – con 40.4 – è l’unica ad avere ancora più di 40 di febbre.

[Luca Ricolfi]

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Appendice

Riportiamo, di seguito, i diagrammi dell’evoluzione settimanale della temperatura nelle 21 Regioni e Province.

 

 

 

 

 




Coronavirus, come stanno andando le cose

(bollettino di lunedì 6 aprile, ore 20.00)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

Risultati

Oggi (lunedì 6 aprile) la temperatura, dopo il netto progresso di ieri, è rimasta sostanzialmente invariata a 37.9.

La stazionarietà della temperatura è la risultante di due movimenti di segno opposto: un lieve miglioramento nei ricoveri ospedalieri, interamente dovuto alla riduzione delle terapie intensive (-79), e una battuta d’arresto nel trend di rallentamento dei decessi, più numerosi di quelli di ieri (636 contro 525).
La variazione settimanale (da lunedì a lunedì) è di meno di un grado (da 38.8 a 37.9), in netto rallentamento rispetto alla dinamica osservata nei giorni precedenti.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione Civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

 Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

 L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le tre serie più affidabili e informative (ricoverati con sintomi, ricoverati in terapia intensiva, deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.




Coronavirus, come stanno andando le cose

(bollettino di domenica 5 aprile, ore 20.00)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

Risultati
Oggi (domenica 5 aprile) la temperatura è diminuita di ben 3 linee rispetto a ieri (da 38.2 a 37.9).

La diminuzione, una delle più marcate degli ultimi tempi, è dovuta sia al rallentamento dei decessi (aumentati di 681 unità ieri, e di 525 oggi), sia alla riduzione del numero di ospedalizzati.
La riduzione dei pazienti in ospedale ha riguardato sia i ricoveri ordinari (-61), sia quelli in terapia intensiva (-17). Si tratta di riduzioni modeste, ma è comunque la prima volta che diminuiscono entrambi i tipi di pazienti ricoverati.
Nel corso dell’intera settimana (da domenica a domenica) la temperatura è scesa di 1.2 gradi, passando da 39.1 a 37.9. Ora il miraggio dei 37 gradi si fa più vicino.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione Civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

 Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

 L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le tre serie più affidabili e informative (ricoverati con sintomi, ricoverati in terapia intensiva, deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.




Coronavirus, come stanno andando le cose

(bollettino di sabato 4 aprile, ore 20.00)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

L’indice si interpreta come una temperatura, e misura la velocità di propagazione del contagio su una scala che va da 42° (epidemia galoppante) a 37° (epidemia sostanzialmente arrestata).

Risultati
Oggi (sabato 4 aprile) la temperatura è diminuita di 1 linea rispetto a ieri (da 38.3 a 38.2).

Questa diminuzione è la risultante di processi contrastanti. L’elemento più positivo è la riduzione, per la prima volta dall’inizio dell’epidemia, del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. Una diminuzione compensata però da una crescita dei ricoveri ordinari, in lieve accelerazione rispetto agli ultimi giorni.
Altrettanto ambivalente è il dato sui decessi. I morti per Coronavirus continuano ad aumentare (+681 decessi), sia pure in misura minore che negli ultimi 11 giorni (per avere un numero di decessi inferiore si deve risalire al 23 marzo, in cui erano stati 601).
Non si può non osservare, tuttavia, che – in base a quel che si conosce dei tempi di trasmissione del contagio – la variazione dei morti osservata oggi dovrebbe già risentire del pesante lockdown entrato in funzione tra il 9 e il 10 marzo. Da questo punto di vista il rallentamento osservato dei morti appare meno incoraggiante di quanto ci si sarebbe potuto attendere. Vedremo nei prossimi giorni se questo indica semplicemente che il tempo di trasmissione è più lungo del previsto, o significa invece che le misure adottate sono meno efficaci di quanto era lecito sperare.
Nel corso dell’intera settimana (da sabato a sabato) la temperatura è scesa di 1.4 gradi, passando da 39.6 a 38.2.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione Civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

 Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

 L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le tre serie più affidabili e informative (ricoverati con sintomi, ricoverati in terapia intensiva, deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.




Il partito della riapertura

Da almeno una settimana le voci che auspicano una ripresa delle attività produttive si sono moltiplicate. Scalpita per la riapertura Confindustria, che fa notare che ogni mese perduto si mangia quasi un punto di Pil. Scalpitano per l’apertura grandi e piccoli produttori, che rischiano di dover chiudere perché anche 2 sole mensilità (marzo e aprile) di mancato fatturato bastano a mandare all’aria il lavoro di anni, se non di generazioni. E scalpitano per l’apertura, più in generale, quanti si rendono conto che il fermo prolungato dell’economia potrebbe farci ritrovare, nel giro di pochi mesi, in un paese molto più povero e indebitato di prima, con inediti problemi di ordine pubblico e di malcontento sociale. Qualcuno si avventura a dire che, quando la base produttiva sarà semidistrutta, potremmo ritrovarci in un sistema di tipo cubano, con un’economia in cui quasi tutto è nazionalizzato e il tenore di vita si è drammaticamente abbassato. Uno degli argomenti centrali del “partito della riapertura” è che, quali che siano i tempi del ritorno alla normalità, con il virus dovremo comunque imparare a convivere, e dunque tanto vale provarci quanto prima, così almeno impediamo il collasso completo dell’economia (e del sistema sanitario). Questo argomento, nei più lucidi (o più cinici?) si accompagna con la tesi secondo cui il problema degli anziani si risolve rinchiudendoli in casa a tempo indeterminato, mentre quello dei giovani e degli adulti si affronta accettando il rischio di contagio, dato che per loro la mortalità è molto più bassa.

Non voglio negare che ci sia molto di vero in questo modo di porre la questione. E meno che mai voglio nascondermi il rischio che fra un anno ci ritroviamo in un “paradiso socialista”, con la gente che fa la fila per accedere ai generi di prima necessità. Perché è vero: se la base produttiva del paese si restringe drasticamente, tutto è destinato a saltare. Anziché la decrescita felice, avremo un tonfo tragico.

E tuttavia…

C’è un fondamentale “tuttavia”, secondo me. Lo scenario più catastrofico fra quelli che ci stanno davanti non è quello in cui apriamo troppo tardi, con conseguente grave erosione della base produttiva. Lo scenario più catastrofico per l’economia è quello in cui apriamo troppo presto, l’epidemia riparte a pelle di leopardo, e noi – causa la consueta disorganizzazione e miopia della classe dirigente – non siamo ancora nelle condizioni di bloccare ogni nuovo focolaio. A quel punto potremmo avere una nuova ecatombe sanitaria, ed essere costretti a un secondo lockdown, ancora più brutale e lungo di quello che stiamo sperimentando, con un’erosione della base produttiva di dimensioni tragiche. Questa è la vera alternativa da evitare.

Ma come evitarla?

La risposta di alcuni è: ritardare la ripartenza. Non dopo Pasqua, nemmeno il 1° maggio. Forse il 15 maggio, non prima (così ieri il commissario Borrelli). Insomma: aspettiamo che i contagi scendano a zero, poi ripartiamo.

Purtroppo, anche questa non è una risposta convincente. O perlomeno: non è una risposta completa. Una risposta completa sarebbe: ripartiamo quando, e nella misura in cui, non solo l’epidemia avrà esaurito la sua spinta, ma noi saremo in grado di evitare che riparta, nonché pronti a bloccarla sul nascere quando, qua e là, proverà a ripartire.

La domanda cui le autorità dovrebbero rispondere è: se oggi fossimo già a “nuovi contagi zero”, saremmo pronti a una progressiva riapertura, magari modulata per zone, settori produttivi, fasce demografiche?

La risposta non ce la danno, ma sarebbe chiaramente NO, per due ordini di motivi.

Primo. Non siamo pronti perché, nonostante tutte le denunce e le richieste del personale sanitario e dei comuni cittadini, ancora scarseggiano mascherine, tamponi, reagenti per i test, laboratori di analisi, dispositivi di protezione per i lavoratori; l’assistenza dei malati a casa è gravemente deficitaria, gli ospedali sono tuttora sotto pressione, né esiste un piano per la quarantena dei positivi che non possono trascorrerla in casa. Per non parlare della gestione degli asintomatici ancora contagiosi, che nessuno ci ha ancora spiegato come individuare e neutralizzare.

Secondo. Manca ancora quasi del tutto il sistema informativo necessario per la ripartenza. Non mi riferisco solo al fatto che buona parte dei dati dell’Istituto Superiore di Sanità non sono accessibili ai ricercatori, ma al fatto – ben più grave – che ben poco è ancora stato fatto per conoscere i dati di base della situazione (percentuale di italiani infetti, peso degli asintomatici, tasso di letalità), e soprattutto nulla è ancora pronto per il tracciamento dei contatti e degli spostamenti dei positivi, nonostante da almeno due mesi si sappia che questo è stato uno degli assi vincenti della Corea del Sud e degli altri paesi asiatici.

C’è, infine, un’osservazione che vorrei fare sui provvedimenti economici. Spero di sbagliarmi, ma la sensazione è che ben poco si stia facendo per evitare un radicale assottigliamento della base produttiva del paese. Dire, come è stato detto, che “nessuno perderà il posto di lavoro a causa del Coronavirus” significa nascondere la testa sotto la sabbia. Perché o si pensa che tutte o buona parte delle imprese che falliranno saranno nazionalizzate a prescindere dalla loro redditività, oppure si deve agire subito perché le imprese che, dal mattino alla sera, si ritrovano senza 2 o 3 mensilità di fatturato, non siano costrette a chiudere.

Ora, di questo tipo di azione io vedo ben poche tracce. Si parla di prestiti a tasso zero garantiti dallo Stato. Ma a un’impresa cui mancano mesi di fatturato servono stanziamenti a fondo perduto per pagare i costi fissi e saldare i fornitori, non agevolazioni per indebitarsi ancora di più. Senza parlare dei debiti dello Stato e delle Pubbliche amministrazioni verso il settore privato, quasi sempre incagliati e saldati con enorme ritardo: il modo più sano di aiutare le imprese non è sussidiarle, ma pagare tempestivamente i debiti.

Insomma, voglio dire che se il timore è che, dopo la crisi, l’apparato produttivo – già gravemente amputato nella crisi finanziaria del 2008-2013 – subisca ulteriori gravi amputazioni nel corso della crisi presente, allora è essenziale che tutto si faccia non solo per evitare (ora) le chiusure evitabili, ma anche per fornire (domani) incentivi alle imprese che saranno in condizioni di ripartire, specie se capaci di aumentare l’occupazione.

Perché possiamo nascondercelo per non spaventare la gente, ma la realtà è che, come in tutte le crisi e le ricostruzioni, anche in questo passaggio storico ci saranno molte imprese che chiuderanno e – speriamo – molte altre che apriranno o si riconvertiranno, secondo il consueto schema della “distruzione creatrice”, per dirla con Schumpeter. Alla fine, l’importante è che l’aggettivo, creatrice, abbia la meglio sul sostantivo, distruzione.

Pubblicato su Il Messaggero del 4 aprile 2020