Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 4 maggio) la temperatura è 32.9 gradi pseudo-Kelvin, in diminuzione di 1 grado rispetto a quella del giorno precedente.

La diminuzione è frutto di un doppio miglioramento, sul versante del numero di decessi e del numero di casi, ma è stata attenuata da un peggioramento sul versante delle ospedalizzazioni.

Il miglioramento osservato (-1 grado pseudo-Kelvin) è sensibilmente minore di quello del giorno precedente (-1.7 gradi).

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Nota tecnica

Abbiamo abbandonato lo strumento precedente perché, in una fase di ospedalizzazioni decrescenti come quella in corso da qualche settimana, avrebbe richiesto informazioni che la Protezione Civile non fornisce.

Il nuovo strumento si fonda su 3 tipi di informazioni:

  1. l’andamento dei decessi ufficialmente registrati;
  2. una stima del numero quotidiano di ingressi di pazienti Covid negli ospedali;
  3. l’andamento dei nuovi contagi, corretto per tenere conto del ciclo settimanale e della politica dei tamponi.

Il livello della temperatura è proporzionale al flusso medio giornaliero di nuovi contagi 2-3 settimane fa, epoca cui necessariamente si riferiscono tutti gli indicatori disponibili su base quotidiana.

Una temperatura zero corrisponde a una situazione in cui tutti e tre gli indicatori segnalano un sostanziale arresto dei nuovi contagi: zero nuovi morti, zero nuovi ingressi in ospedale, zero nuovi casi.

Una temperatura pari a 100 corrisponde a un flusso quotidiano di nuovi contagiati intenso come quello registrato nella settimana di picco, collocata fra la fine di marzo e i primi di aprile.

Allo stato attuale dell’informazione, è impossibile stabilire con esattezza a quale temperatura corrisponde 1 grado pseudo-Kelvin. Una stima ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia del 2% e il “numero oscuro” dei casi non rilevati sia un po’ minore di 2:1, suggerisce di interpretare ogni grado in più o in meno come una variazione pari a nuovi 1000 contagiati. Una stima meno ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia dell’1%, suggerisce che 1 grado pseudo-Kelvin corrisponda a 2000 nuovi casi al giorno.




Il diario della talpa. Arrivederci

12. ARRIVEDERCI!

La tapa si rintana.

Negli ultimi giorni s’è intromessa fin troppo, nelle cose di fuori. Ora sente la necessità di ritirarsi un po’, e stare nell’ombra.

Ha molto da scavare.

Non esclude di farsi ancora viva, ogni tanto. Avesse mai qualcosa di urgente da dire.

Per il momento, saluta e ringrazia.

Leggi gli episodi precedenti 




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi 4 maggio, primo giorno della Fase 2, la Fondazione Hume riprende a misurare la temperatura dell’epidemia con uno strumento completamente rinnovato: la scala di temperatura assoluta, espressa in gradi pseudo-Kelvin.

A differenza del termometro precedente, che si ispirava alla scala Celsius, il nuovo termometro, che si ispira alla scala Kelvin, possiede uno zero assoluto, corrispondente alla completa assenza di nuovi contagi, e un “tetto” (posto convenzionalmente pari a 100), che corrisponde a un flusso di nuovi contagi pari a quello della settimana di picco (collocata fra la fine di marzo e l’inizio di aprile).

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 3 maggio) la temperatura è 33.9 gradi pseudo-Kelvin, in diminuzione di 1.7 gradi rispetto a quella del giorno precedente. In concreto significa che oggi il termometro segnala un numero di nuovi contagiati altissimo (circa 34 mila), ma comunque un po’ minore di quello di ieri: 1700 nuovi contagiati in meno.

Fatta 100 la strada che dovevamo percorrere dalla settimana di picco fino al raggiungimento della meta di zero-contagi, possiamo dire che siamo a circa 2/3 del percorso.

Il grafico mostra che la discesa verso contagi-zero è molto più lenta dell’ascesa verso il picco e che, una decina di giorni dopo il picco, si è avuto un notevole rallentamento della discesa, seguito da una vera e propria battuta d’arresto.

E’ il caso di sottolineare, tuttavia, che i dati su cui il termometro si basa, pur essendo aggiornatissimi (ultime comunicazioni della Protezione Civile), non possono misurare la velocità dei contagi in questo momento, ma solo quello che accadeva 2-3 settimane fa: variabili come i decessi, le ospedalizzazioni, i nuovi casi positivi registrati si riferiscono necessariamente ad eventi precedenti.

Il termometro permette di individuare tendenze, ma non può garantire che le tendenze individuate siano proseguite inalterate nelle ultime settimane.

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Nota tecnica

Abbiamo abbandonato lo strumento precedente perché, in una fase di ospedalizzazioni decrescenti come quella in corso da qualche settimana, avrebbe richiesto informazioni che la Protezione Civile non fornisce.

Il nuovo strumento si fonda su 3 tipi di informazioni:

  1. l’andamento dei decessi ufficialmente registrati;
  2. una stima del numero quotidiano di ingressi di pazienti Covid negli ospedali;
  3. l’andamento dei nuovi contagi, corretto per tenere conto del ciclo settimanale e della politica dei tamponi.

Il livello della temperatura è proporzionale al flusso medio giornaliero di nuovi contagi 2-3 settimane fa, epoca cui necessariamente si riferiscono tutti gli indicatori disponibili su base quotidiana.

Una temperatura zero corrisponde a una situazione in cui tutti e tre gli indicatori segnalano un sostanziale arresto dei nuovi contagi: zero nuovi morti, zero nuovi ingressi in ospedale, zero nuovi casi.

Una temperatura pari a 100 corrisponde a un flusso quotidiano di nuovi contagiati intenso come quello registrato nella settimana di picco, collocata fra la fine di marzo e i primi di aprile.

Allo stato attuale dell’informazione, è impossibile stabilire con esattezza a quale temperatura corrisponde 1 grado pseudo-Kelvin. Una stima ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia del 2% e il “numero oscuro” dei casi non rilevati sia un po’ minore di 2:1, suggerisce di interpretare ogni grado in più o in meno come una variazione pari a nuovi 1000 contagiati. Una stima meno ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia dell’1%, suggerisce che 1 grado pseudo-Kelvin corrisponda a 2000 nuovi casi al giorno.




Più tamponi, meno morti

Un confronto internazionale

Sul fatto che le autorità non dicano il vero, quando affermano che siamo il paese del mondo che fa più tamponi, non ci sono più dubbi. In due contributi precedenti abbiamo ampiamente dimostrato come stanno le cose: se si considera l’anzianità epidemica, l’Italia è uno dei paesi che fa meno tamponi al giorno per abitante.

Come si vede, solo 5 paesi (fra cui Francia e Regno Unito) fanno meno tamponi dell’Italia; gli altri 20 ne fanno di più, talora molti di più (è il caso, ad esempio, di Israele, Grecia, Norvegia).

Fin qui tutto chiaro, anche se spesso negato. Ma ora ci chiediamo: hanno ragione quanti affermano che la politica dei tamponi ha effetti rilevanti sul controllo dell’epidemia? In questo senso si sono pronunciati, fra gli altri, il prof. Massimo Galli (infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano), e l’immunologo Jean François Delfraissy, consigliere di Macron per la gestione dell’epidemia.

Il primo, in un’intervista televisiva, ha ipotizzato che, proprio grazie alla sua elevata capacità di fare tamponi, la Germania fosse uno dei pochi paesi europei importanti con buone chances di uscire relativamente bene dall’epidemia. Il secondo è arrivato a dire che, ove la Francia avesse avuto una capacità di fare tamponi di 100 mila al giorno (anziché soltanto 3 mila), forse non avrebbe consigliato il lockdown al Presidente francese.

A giudicare dai dati disponibili, l’ipotesi di un elevato impatto dei tamponi sul tasso di mortalità di un dato paese è tutt’altro che campata per aria. In questo campo non esistono prove irrefutabili, ma l’analisi dei dati fornisce una forte evidenza a favore dell’ipotesi di un nesso inverso fra propensione a ricorrere ai tamponi e tasso di mortalità: più tamponi si fanno, meno drammatica è la conta finale dei morti.

Dividendo i paesi in classi di propensione a fare tamponi (1° classe tanti, 5° classe pochi) la situazione risultante è la seguente.

Passando dalla prima classe (che include Israele, Lituania e Islanda) all’ultima (che include Italia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti ma non la Germania), il tasso di mortalità passa – con impressionante regolarità – da 19 a 294 morti per milione di abitanti: un rapporto di oltre 1 a 15. Un’analisi della distribuzione completa suggerisce che le soglie critiche siano situate intorno a 600 e 1000 tamponi al giorno per abitante. Il tasso di mortalità è quasi sempre relativamente modesto sopra i 1000 tamponi al giorno, è quasi sempre molto alto sotto i 600: la Germania è sopra la soglia dei 1000, l’Italia è sotto la soglia dei 600. Indicativamente si può suggerire che, per evitare l’esplosione della mortalità, l’Italia avrebbe dovuto fare il doppio dei tamponi che ha effettivamente fatto. E’ anche interessante osservare che, nel caso della Francia, la soglia di sicurezza fissata da Delfraissy (100 mila tamponi al giorno) corrisponde a circa 1500 tamponi al giorno per abitante, più o meno il valor medio della classe 2.

La relazione inversa fra tamponi e mortalità è ancora più chiara se confrontiamo le posizioni (o ranghi)  dei paesi nelle due graduatorie che si possono stabilire in base alle variabili “propensione a fare tamponi”, e “tasso di mortalità per milione di abitanti”.

Il diagramma mostra con estrema chiarezza che la mortalità tende a decrescere con il numero di tamponi: la correlazione è negativa, pari -0.802.

Il medesimo diagramma diventa ancora più nitido se restringiamo l’analisi ai paesi di tradizione occidentale, eliminando i paesi ex-comunisti. La correlazione inversa, già elevata, aumenta ancora in modulo (-0.832).

Credo vi sia materia per riflettere.

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Nota tecnica

I dati provengono dal database Worldometers rappresentano gli ultimi dati comunicati al 19 aprile 2020. Va tenuto presente che alcuni paesi non comunicano il dato dei tamponi quotidianamente, e altri comunicano il dato dei soggetti testati anziché quello dei test effettuati, due circostanze che comportano entrambe una sottostima della propensione ad effettuare tamponi. Ciò fa sì che la posizione effettiva di alcuni paesi (ma non dell’Italia) potrebbe essere migliore di quella da noi stimata, peggiorando così la posizione relativa dell’Italia.

I paesi inclusi nell’analisi sono costituiti dall’insieme delle società avanzate per le quali erano disponibili dati sulla mortalità e sui tamponi.

L’anzianità epidemica di un paese è definita come il numero di giorni trascorsi dal primo giorno in cui il numero di morti ha superato il livello di 10 per milione di abitanti.

Le classi di propensione sono così definite:

classe 1: oltre 2500 tamponi al giorno per milione di abitanti;
classe 2: fra 1300 e 2500
classe 3: fra 1000 e 1300
classe 4: fra 600 e 1000
classe 5: meno di 600




Il diario della talpa. Undicesimo episodio

11. USCIRE O NON USCIRE?

Primo giorno di fine lockdown. E inizio… Già, inizio di cosa? Come si chiama il contrario di lockdown? opendown, open up, unlock? Chiamiamolo inizio e basta. Inizio a rilento, dosato, cauto, ma pur sempre inizio. Come se nascessimo oggi per la prima volta. Tutta l’umanità che si affaccia alla vita come se non fosse mai stata viva prima. E scopre il mondo in cui ha abitato fino a ieri, come se ci andasse ad abitare oggi per la prima volta.

Per la prima volta andiamo al lavoro, per la prima volta facciamo visita ai parenti, per la prima volta corriamo nei parchi.

Come se non bastasse, per una balzana coincidenza, oggi è il compleanno di Pantaleo. Lo chiamo per fargli gli auguri, Mi chiede: Quale compleanno? Siamo alle solite. È una talpa così avulsa… Mi dice che sta completando un nuovo termometro per misurare la velocità dell’epidemia. Credo sia molto soddisfatto del suo lavoro. Cerco di riportarlo alla sua festa: Ma guarda, che bello compiere gli anni proprio nel giorno in cui torniamo liberi! Risponde: Liberi da cosa?

Chiudo la conversazione. Riprendo solerte a scavare verso l’alto, per uscire. La terra si fa più friabile e leggera, un pallido raggio solare già s’insinua… E qui, di colpo, mi fermo! Ripiombo qualche centimetro più in basso, dove l’ombra s’allunga ancora intatta nella mia tana, e sento un piccolo tarlo rodere il legno delle mie travi.

È un’immagine. Mi viene da lontano, da un certo libro che ho amato molto, un’immagine che adesso non riesco a togliermi dalla testa e mi arrovella: il castello di Atlante.

“Il castello fatto per incanto tutto d’acciaio, e sì lucente e bello ch’altro al mondo non è mirabil tanto”.

Il mago Atlante lo ha costruito. Il vecchio incantator. Il negromante. Colui che viaggia sul cavallo alato Ippogrifo. Lo ha costruito per difendere il suo figlio adottivo amatissimo, Ruggiero, dalla brutta fine che lo attende: se sposerà Bradamante e avrà dei figli, morirà giovane. Il mago dunque lo rinchiude nel castello, così che non incontri mai Bradamante, non si sposi, non metta su famiglia: non viva, ma anche non muoia. E perché non patisca di solitudine, si mette a rapire a destra e a manca donne e cavalieri, rinchiude anche loro nel castello, e fa in modo che tutti insieme vivano felici, tra “suoni, canti, vestir, giuochi, vivande”.

Sembrerebbe una prigione, ma non lo è. Atlante stesso a un certo punto lo rivela: “Né per maligna intenzion, ahi lasso, feci la bella rocca in cima al sasso, né per avidità son rubatore; ma per ritrar sol dall’estremo passo un cavalier gentil, mi mosse amore”.

Il “malvagio invisibil signor di quel palagio” non è poi così malvagio: per amore ha costruito il castello e vi ha rinchiuso Ruggiero! Ha inventato per lui un luogo sicuro e protetto, fuori dal mondo, così che gli fosse evitato la crudele sorte di morire.

Ma, come sappiamo, al destino nessuno sfugge: Bradamante trova il castello! Ama Ruggiero e vuole liberarlo, quindi combatte contro il mago e, con l’aiuto di un anello fatato, vince.

Atlante a questo punto spezza l’incantesimo: distrugge il suo castello, lo fa scomparire in un soffio. “A un tratto il colle riman deserto, inospite et inculto. Né muro appar né torre in alcun lato, come se mai castel non vi sia stato”.

È questa l’immagine che adesso mi colpisce: le mura si dissolvono e le donne e i cavalieri che abitavano tra quelle mura si ritrovano all’improvviso fuori, all’aria, in aperta campagna. Una pianura sterminata e brulla, che assomiglia tanto a un deserto, a una terra desolata. E se ne stanno lì, per un tempo che immagino lunghissimo, inerti, inebetiti. Non sanno cosa fare, dove andare. Un po’ si aggirano, un po’ si guardano intorno. In un attimo la vita s’è spezzata.  Si sentono spersi. Spaesati. Il mago se n’è andato, ha cancellato l’incanto e li ha lasciati liberi.

Liberi tutti!

Ma quei tutti hanno un’enorme difficoltà ad andarsene. Rimangono lì. Vagolano per un po’. Si sentono spogliati di qualcosa, defraudati. Nudi. Forse sono anche pieni di rabbia e di rancore. Disperati, o soltanto infinitamente tristi.

“Le donne e i cavallier si trovar fuora de le superbe stanze alla campagna: e furon di lor molte a chi ne dolse; che tal franchezza un gran piacer lor tolse”. La franchezza, il diventar franchi, liberi, ha tolto loro il piacere. Così dice Ariosto.

Quale piacere? Il piacere di vivere rinchiusi? Lontani, separati dal fuori, dal mondo che c’è fuori, troppo grande, troppo vuoto? Troppo pieno, ma di cose vuote?

E se fuori non fosse il posto dove noi, talpe o non talpe, vorremmo vivere? Se fuori fossimo obbligati a modi di vivere che non vorremmo più fossero i nostri?

E se ci mancasse la vita dentro? Eccolo il tarlo che mi rode: e se la vita vera fosse la vita che facevamo rinchiusi nel castello?

Ora che il mago ha dissolto la prigione, ora che possiamo (almeno in parte) uscire, ho paura che ci sentiremo spersi come i cavalieri dell’Ariosto (e non chiedetemi chi sia il mago, perché non so rispondere: di certo non è un premier, di certo non è un virus…): liberi, ma abbandonati nel vuoto.

E se non volessimo uscire?

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