In un mondo globalizzato, in teoria, le istituzioni internazionali che lo governano dovrebbero essere dotate del massimo di competenza tecnica, senso di responsabilità, lungimiranza, rapidità di decisione, specie nelle emergenze.
L’impressione che si ricava da quando, tre mesi fa, il pericolo del Coronavirus è apparso sulla scena del mondo, è invece che la maggior parte di esse non ne sia affatto dotata.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per cominciare, ha già commesso almeno tre sbagli gravi, tutti e tre di tempistica. Il primo è stato di avere più volte definito “moderato” il rischio connesso alla diffusione dell’epidemia, risolvendosi solo recentemente (28 febbraio, meno di 3 settimane fa) a dichiararlo “molto alto”; il secondo è stato di non modificare tempestivamente i protocolli per decidere quando sottoporre a tampone i pazienti sintomatici (un ritardo che all’Italia è costato il tardivo isolamento del “paziente 1”); il terzo è stato di posporre fino a pochi giorni fa (12 marzo) la proclamazione della pandemia.
Sulle istituzioni europee meglio stendere un velo. Incapace di fissare regole comuni per fronteggiare l’epidemia, la Commissione Europea si sta muovendo appena ora per erogare (scarsi) fondi ai paesi colpiti, con una ripartizione di cui tutto si può dire tranne che tenga conto della gravità della situazione italiana. Quanto alla Bce, non solo si è ben guardata dal dare ossigeno all’economia abbassando i tassi, ma la sua presidente francese, Christine Lagarde, si è già prodotta in una gaffe così anti-italiana (“non siamo qui per chiudere gli spread”) da provocare la reazione di un uomo prudente e compassato come il nostro Presidente della Repubblica.
Che fare, a questo punto?
Credo che il pachiderma europeo molto parlerà, molto si riunirà in videoconferenza, molto discuterà, ma poco deciderà nel breve periodo. Però c’è una cosa, piccola, che almeno un paese – il paese leader d’Europa, ovvero la Germania – potrebbe fare per dare un segnale di sensibilità e di saggezza: mettere a disposizione una piccola frazione dei suoi posti di terapia intensiva (stimati in circa 28 mila, 5 volte quelli dell’Italia) per aiutare i paesi in difficoltà, a partire dall’Italia che in questo momento è il paese che più ne avrebbe bisogno.
Tutti noi seguiamo quotidianamente la conta dei contagiati e dei morti, ma il vero punto critico – in questo momento – sono i reparti di terapia intensiva, chiamati a curare e salvare i pazienti più gravi. Già ora, in molte province (su tutte quella di Bergamo, nonché varie altre province lombarde), gli arrivi di pazienti con il Covid-19 superano largamente le possibilità di accoglierli, nonostante da alcune settimane il personale ospedaliero stia facendo miracoli per creare nuovi posti. Lo spostamento in altri ospedali, previsto dal sistema Cross di solidarietà e scambio fra Regioni, non potrà funzionare per più di qualche giorno, perché anche le altre regioni stanno per raggiungere il limite di capacità. Oggi i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono già 1700, ma secondo tutti i modelli di simulazione, in una sola settimana la richiesta di nuovi posti potrebbe aggirarsi sulle 1000 unità, con conseguente collasso del sistema (il numero massimo di posti che, facendo i salti mortali, si può sperare di destinare ai pazienti Covid-19 è 2500). Questo significa che il collasso del sistema è una questione di giorni, se non di ore. Sulla base degli ultimi dati, si può prevedere che il limite di capacità (intorno a 2500 ricoverati in terapia intensiva) venga raggiunto giovedì, ovvero fra circa 72 ore.
Ecco perché dico che, forse, un gesto di amicizia e di solidarietà da parte della Germania verso l’Italia e gli altri paesi europei (presto in difficoltà anch’essi) potrebbe avere un senso. Contrariamente a quanto si sente dire in questi giorni, infatti, le poche statistiche disponibili rivelano che la vera anomalia nelle dotazioni di posti di terapia intensiva non è la mancanza di posti dell’Italia, ma è la scarsità di posti per abitante di tutti i principali paesi europei (compresi Francia, Spagna, Regno Unito, Svizzera, nonché i mitici paesi scandinavi).
Questo significa che, se l’epidemia raggiungerà proporzioni comparabili alle nostre, saranno molti i paesi che dovranno fare i conti con la mancanza di posti in terapia intensiva. Con la differenza che loro entreranno in crisi fra un paio di settimane, mentre noi lo siamo adesso. Ecco perché la Germania, per un sia pur breve intervallo di tempo (grosso modo da qui a Pasqua), potrebbe essere l’unico paese in condizione di aiutare non solo i suoi cittadini, ma anche quelli altrui. Sarebbe un aiuto modesto, se non altro perché molti pazienti gravi non sono trasportabili, ma darebbe un segnale importante. Sempre che l’Europa, attraverso il suo paese più grande e più potente, un segnale di esistenza in vita lo voglia dare.
Pubblicato su Il Messaggero del 16 marzo 2020