Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 6 novembre) la temperatura dell’epidemia è pari a 182.9 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di 6.9 gradi.

Il peggioramento (anche oggi) è dovuto soprattutto alla crescita dei nuovi contagi (+215 mila nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 16.1%, in aumento rispetto a ieri). Il termometro risente però anche dell’aumento dei decessi (+2.317 nell’ultima settimana). Per la prima volta dopo circa un mese, gli ingressi ospedalieri stimati risultano sostanzialmente stabili.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +48.8 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Usa, “atomi sociali” in libera uscita

Da tempo ormai le stelle degli Stati Uniti sono diventate sempre più opache e lontane: la terra promessa della democrazia liberale è solcata da lacerazioni di ogni tipo – ingovernabilità dei degradati quartieri afro-americani, violenze della polizia, contestazione della Civic culture che aveva fatto grande il Nuovo Mondo, abbattimento dei suoi simboli antichi, declino delle classi medie, allargamento della forbice tra gli have e gli have not, catastrofi ecologiche fuori controllo – tali che inducono a parlare di crisi epocale del mondo anglosassone, se non di tramonto di quell’Occidente che oltre Atlantico celebrava i suoi trionfi.

Agli States è rimasta la potenza industriale e quella finanziaria, una pesante armatura, dentro la quale, come nel Cavaliere inesistente di Italo Calvino, c’è il vuoto. In questo Sunset Boulevard vien voglia di rileggere quanto avevano scritto sul nuovo continente i grandi viaggiatori e sociologi dell’Ottocento e del Novecento, da Alexis de Tocqueville a James Bryce, da Michel Chevalier a Gunnar Myrdal ovvero gli scrittori politici che avevano più contribuito a consolidare nell’immaginario collettivo una certa idea dell’America.

Un importante momento di questa fabbrica del mito americano può essere costituito dalla Society in America di Harriet Martineau (1837) di cui la storica delle dottrine politiche e appassionata studiosa della “questione femminile”, Ginevra Conti Odorisio, ha curato un’edizione ridotta per la collana da lei diretta, Donne e politica, pubblicata dall’editore Aracne. La Martineau, infatti, si presta ad essere un significativo case study per comprendere che cosa del mondo americano affascinò gli europei colti e “progressisti”(in senso lato) e che cosa sfuggì ad essi e di cui oggi ci rendiamo drammaticamente conto.

La poligrafa scrittrice inglese – è sterminato l’elenco delle sue opere, dall’economia politica ai romanzi letterari – ha un duplice merito: il primo, scientifico, di aver svolto un’inchiesta a tappeto sulla società e sui costumi americani, consultando gente di ogni ceto sociale, razza, regione, religione, sì da venir considerata a mio avviso con qualche esagerazione – anche da studiosi come Robert Nisbet e Seymour M. Lipset, la fondatrice della sociologia; il secondo, etico-politico, di aver denunciato sia la soggezione delle donne americane, prive del diritto di voto, sia la vergogna della schiavitù. In anni in cui la questione razziale non aveva ancora toccato il punto più drammatico, la Martineau spiegò agli europei «cosa significasse la segregazione negli atti più elementari della vita quotidiana, come mangiare, pregare lavorare. Esclusa dall’istruzione, dalle cariche pubbliche, dalle professioni e dalle associazioni scientifiche e letterarie, la gente di colore vive in un clima umiliante, ammessa soltanto ai lavori più duri e ingrati». E ancora con parole roventi: «Nella fisionomia di ogni animale vi è vita e una certa forma di intelligenza anche in quella della stupida pecora; mentre non vi è nulla di così spento e vago come nello sguardo dello schiavo.|…| Visitammo il quartiere dei negri e dovunque mi recassi in questa piantagione provai un profondo disgusto. Era una via di mezzo tra un covo di scimmie e un’abitazione di esseri umani». Tralascio citazioni di pagine sulla questione femminile e mi limito a ricordare che il principio fatto valere della Martineau – e al centro del femminismo liberale dell’800 e del 900 – che “nessuno è tenuto a obbedire a leggi alle quali non ha dato il suo consenso”, fa della lettura di Società in America un testo che avrebbe potuto essere scritto cento e più anni dopo.

Vorrei invece richiamare l’attenzione sul coté illuministico dell’opera, ovvero sull’idea che i principi egualitari su cui si fondava la Dichiarazione di indipendenza – e che facevano sì che in ogni agglomerato urbano si trovasse «un cittadino indipendente» e «nelle campagne un proprietario terriero» – sarebbero stati il lievito spirituale di una civiltà superiore più libera, più generosa, più colta di quelle europee. E in ogni caso avrebbero portato a un melting pot disgregatore dell’idea di Nazione.

Per l’America, «la varietà dei suoi abitanti costituisce un’inesauribile risorsa. Per una Nazione può essere motivo d’orgoglio discendere da un unico ceppo, ma in definitiva è molto meglio che diverse Nazioni abbiano concorso alla sua formazione. Ne risulta un miscuglio di qualità fisiche e intellettuali, l’assimilazione di pregiudizi nazionali, l’incremento delle risorse mentali che finiscono per elevare il carattere della Nazione».

Erano entusiasmi ingenui di una fervente “radical” vittoriana, giacché come ha dimostrato Samuel P. Huntington in un grande libro, La nuova America ( 2005): «E’ difficile che la gente trovi nei principi politici – libertà, uguaglianza, democrazia, rispetto dei diritti civili, non-discriminazione, rispetto della legge – il profondo contenuto emozionale e il profondo significato che vengono assicurati dai vincoli sociali e familiari, dai legami di sangue e dal senso di appartenenza, dalla cultura e dalla nazionalità». Molti americani fino alla Seconda guerra mondiale e ancora diversi anni dopo, erano arrivati «a convincersi che il loro Paese poteva essere multinazionale, multietnico e privo di un’essenza culturale specifica, pur rimanendo una Nazione coerente, la cui identità veniva definita unicamente dal credo. Ma è proprio così? Una Nazione può essere definita solo da un’ideologia politica?». L’abbattimento delle statue dei Founding Fathers, esaltati nella Società in America, sono una risposta eloquente. Molti studiosi della Martineau – penso soprattutto a Michael Hill – vorrebbero che venisse riconosciuta la sua superiorità scientifica (!) rispetto a Tocqueville, condizionato – nei suoi appunti di viaggio e poi nella Democrazia in America – dal suo essere un bianco, maschio, aristocratico, portato a selezionare i fatti e a ritenere solo le opinioni da lui condivise.

Sennonché il nobile normanno per tutta la sua vita fu assillato da un problema cruciale: in una società di eguali – e gli Stati Uniti ne costituivano il modello politico per antonomasia – che cosa tiene insieme gli “atomi sociali” liberi ormai da ogni obbligo e da ogni autorità spirituale e temporale del passato?

Pubblicato su Il Dubbio del 31 ottobre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 5 novembre) la temperatura dell’epidemia è salita di quasi 8 gradi, passando da 168.1 a 176.0 gradi pseudo-Kelvin.

La crescita dei nuovi contagi (+208 mila nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 15.7%, in aumento rispetto a ieri) continua ad essere il fattore principale alla base del peggioramento. Pesa in misura significativa anche l’aumento degli ingressi ospedalieri stimati e dei decessi (+2.070 decessi negli ultimi sette giorni rispetto ai 1.154 della settimana precedente).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +51.5 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 4 novembre) la temperatura dell’epidemia è pari a 168.1 gradi pseudo-Kelvin, in aumento di 5.3 gradi.

Anche oggi, la crescita dei nuovi contagi (+200 mila nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 14.4%, in diminuzione rispetto a ieri) è il fattore principale alla base del peggioramento. Il termometro risente anche del cattivo andamento dei decessi e, in misura più lieve, dell’aumento degli ingressi ospedalieri stimati.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +52.4 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 3 novembre) la temperatura dell’epidemia è salita di 6.5 gradi, passando da 156.2 a 162.7 gradi pseudo-Kelvin.

Anche oggi, la crescita dei nuovi contagi (+195 mila nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 15.5%, un valore simile a quello registrato a fine marzo) ha contribuito in misura preponderante al peggioramento della temperatura. Aumenta il peso degli ingressi ospedalieri stimati e dei decessi, in crescita più marcata rispetto a ieri.

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +55.4 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.