Il lassismo sanitario prepara lo scenario B?

Nelle ultime settimane le valutazioni sull’epidemia sono lentamente ma abbastanza inesorabilmente cambiate. Alle rassicurazioni di metà giugno si sono sostituite le preoccupazioni sui numerosi focolai che si stanno accendendo in varie parti d’Italia, e dalla retorica della ripartenza stiamo lentamente tornando a quella della prudenza.

E’ giustificato questo cambiamento di accenti?

Sì, è più che giustificato, semmai è un po’ tardivo. I segnali di una ripresa dell’epidemia c’erano già un mese fa, e semmai stupisce che non siano stati colti prima. La vera novità, tuttavia, non sta in un’inversione di tendenza nell’andamento complessivo dell’epidemia, che da diverse settimane è sostanzialmente stazionario (il termometro della fondazione Hume oscilla intorno ai 2 gradi pseudo-Kelvin dal 26 giugno). La vera novità è la polarizzazione fra territori in cui l’epidemia continua a rallentare, e territori in cui tende a rialzare la testa. Fra questi ultimi si segnalano alcune regioni, come il Veneto, l’Emilia Romagna, il Lazio, la Campania, ma soprattutto si segnalano circa 35 province critiche, in cui la curva dei contagi ha ripreso a salire (per i dettagli vedi qui).

E’ in questo contesto di crescente preoccupazione che, non solo fra le autorità politiche e sanitarie, ma anche fra i virologi, riprende quota il timore di una seconda ondata in autunno. Certo, lo scenario A, o scenario auspicato, continua ovviamente ad essere quello di un’epidemia che lentamente si spegne, o tutt’al più si manifesta in piccoli focolai facilmente controllabili. Accanto a tale scenario, tuttavia, sempre più frequentemente viene evocato lo scenario B, quello di un ritorno in grande stile del contagio dopo l’estate.

Come mai, in poche settimane, quella che pareva una profezia isolata sta diventando un timore diffuso?

Le ragioni fondamentali, a mio parere, sono quattro, di cui una dicibile e le altre tre accuratamente tenute sullo sfondo del discorso pubblico.

La ragione dicibile è che molti studiosi e scienziati si stanno convincendo che la velocità di circolazione del virus sia pesantemente influenzata dalle condizioni climatiche, che ora – con le alte temperature estive e la possibilità di trascorrere molte ore all’aperto – sono le più favorevoli possibile (mentre nell’altro emisfero, in particolare in America latina, sono le più pericolose possibile: alla nostra estate corrisponde il loro inverno). Questo significa che, con l’arrivo della cattiva stagione, le misure che ora bastano ad evitare un’esplosione dell’epidemia potrebbero non essere  più sufficienti.

Ma passiamo alle ragioni meno dicibili. Tutte hanno a che fare con le scelte del governo, e proprio per questo vengono raramente evocate. Ma è bene esserne coscienti, se non altro per prepararci agli eventi.

La prima ragione di preoccupazione è l’apertura delle frontiere, e in particolare il via libera ai flussi turistici. Non è un mistero che una parte considerevole degli attuali focolai è legata a spostamenti fra nazioni. Né ci vuole una particolare scienza per comprendere che molto difficilmente una pandemia può essere contenuta e vinta senza forti limitazioni dei flussi internazionali. Per non parlare dei problemi che, di qui a breve, potrebbero sorgere con l’ingresso incontrollato di migranti dall’Africa, con percentuali di positivi che attualmente sono già dell’ordine del 20% (1 su 5).

La seconda origine dei timori è il tradimento della solenne promessa di fare più tamponi, formulata dalle autorità sanitarie nella prima metà di maggio: dopo una breve stagione di aumento, dalla fine di maggio il trend del numero di persone testate è sempre stato calante. E meno tamponi significa meno possibilità di controllare e spegnere l’epidemia.

Ma la ragione più importante per cui l’eventualità di una seconda ondata deve essere presa in seria considerazione è che il governo, consapevolmente (e diversamente da quanto aveva fatto ai tempi del lockdown), ha scelto di non sanzionare la violazione delle regole che esso stesso ha imposto. Dopo la stagione dei controlli a tappeto, delle multe, delle denunce, talora ai limiti del ridicolo (inseguire bagnanti e passeggiatori solitari), ora la parola d’ordine è: fare finta di niente. Spiagge affollate, movida senza freni, mascherine abbassate (o assenti) in molti negozi e ambienti chiusi sono tutte cose che non interessano più le forze dell’ordine.

E’ comprensibile, se si pensa che la principale forza di opposizione – lungi dal pretendere il rispetto delle regole – accusa il governo di eccessiva severità (“gli italiani vogliono vivere senza distanziamento sociale”). Si deve capire, però, che se oggi la linea del lassismo sanitario – grazie alle condizioni climatiche – si limita a far nascere qualche focolaio in più, domani potrebbe produrre effetti di ben altra portata. Non solo nel senso che le abitudini imprudenti acquisite nell’estate potrebbero dispiegare i loro effetti fra qualche mese, quando il “generale inverno” si alleerà con il virus. Ma anche in un altro senso: se fra qualche mese dovesse presentarsi lo scenario B, e dovessimo essere costretti a un altro lockdown, i danni per l’economia sarebbero devastanti. E verosimilmente più grandi di quelli che subiremmo oggi se ci attenessimo a una linea più prudente, o meno ossessionata dalla preoccupazione di tutelare l’economia qui e ora, anziché proteggerla nella lunga durata.

Pubblicato su Il Messaggero del 18 luglio 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Per il terzo giorno consecutivo (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 19 luglio), la temperatura dell’epidemia è rimasta invariata a 1.7 gradi pseudo-Kelvin.

Il ristagno è dovuto a piccole variazioni di segno opposto delle componenti che concorrono al calcolo dell’indice: calano leggermente i decessi giornalieri ed aumentano lievemente gli ingressi ospedalieri stimati. Sono rimasti sostanzialmente stabili i nuovi contagi.

La diminuzione settimanale della temperatura è di appena 0.1 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

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Riportiamo qui di seguito la temperatura di sabato 18 luglio.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Anche oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 17 luglio), la temperatura dell’epidemia è rimasta sostanzialmente invariata. Il passaggio da 1.6 a 1.7 gradi pseudo-Kelvin è il risultato di arrotondamenti.

Il ristagno è dovuto alla lieve diminuzione dei nuovi contagi e alla stabilità dei decessi giornalieri. Crescono leggermente gli ingressi ospedalieri stimati.

La diminuzione settimanale della temperatura è di 0.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 16 luglio), la temperatura dell’epidemia è rimasta invariata a 1.6 gradi pseudo-Kelvin.

La modesta diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati è stata compensata dal lieve aumento dei decessi giornalieri e dalla stabilità dei nuovi contagi.

La diminuzione settimanale della temperatura è di 0.3 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Paesi dell’Est, nuovo focolaio?

di Rossana Cima e Luca Ricolfi

Preoccupa l’avanzata dell’epidemia nei paesi dell’Est. Proprio oggi Serbia, Montenegro e Kosovo sono stati aggiunti alla lista dei luoghi a rischio, facendo salire a 16 i paesi per cui vi è il divieto di ingresso e transito in Italia. Nella lista erano già compresi Armenia, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Moldova.

Che vi siano indizi di un’accelerazione dell’epidemia in alcuni paesi dell’Est lo si può vedere dai grafici seguenti che rappresentano l’andamento dei nuovi casi settimanali per abitante. Ciò che possiamo fare analizzando questi trend non è tanto valutare la gravità dell’epidemia (l’individuazione di nuovi casi potrebbe dipendere dalle politiche sui tamponi adottate dai vari paesi), ma capire se il contagio si stia allargando.

Su 21 paesi considerati ve ne sono 9 che mostrano chiari segnali di ripresa dell’epidemia. Si tratta si Kosovo, Macedonia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Serbia, Albania, Bulgaria, Romania e Croazia.

La curva di Slovenia e Ucraina sembra invece rallentare dopo un periodo di leggero aumento.

Dopo una forte impennata, il tasso di crescita dei nuovi contagi diminuisce anche in Moldova, Armenia e Russia.

Meno preoccupante è invece la situazione di Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e soprattutto di Lettonia, Lituania, Estonia e Ungheria dove la curva epidemica dà segni di avvicinamento a zero.

Nota tecnica
I dati utilizzati nell’analisi sono quelli pubblicati dalla Johns Hopkins University aggiornati al 15 luglio (ore 18).