A che punto siamo? Bollettino Hume sul Covid-19

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia
Pubblichiamo oggi il bollettino sull’andamento dell’epidemia nelle regioni italiane in base ai dati disponibili lunedì 4 maggio, giorno in cui è iniziata la Fase 2.
Come nel precedente Bollettino diffuso la scorsa settimana, le domande a cui cercheremo di rispondere sono due:
– (nei primi giorni di maggio) quanta strada hanno percorso le regioni italiane verso la meta dei “contagi zero”?
– vi sono regioni che ancora non sono pronte ad affrontare la Fase 2?

Un modo per valutare la diffusione dell’epidemia è quello di capire come procede la discesa dopo il picco del contagio, ponendo a 100 il numero giornaliero dei morti e quello dei nuovi contagi registrati nel giorno peggiore dall’inizio dell’emergenza COVID-19.
Rispetto alla scorsa settimana, la situazione è migliorata in quasi tutte le regioni. Presentano invece una situazione più in chiaroscuro Valle d’Aosta, Sardegna e Basilicata. Se da un lato, in queste regioni, è diminuito il numero dei decessi giornalieri (la Basilicata ha addirittura raggiunto lo 0), dall’altro la diminuzione dei nuovi contagiati ha subito una battuta d’arresto.
Un peggioramento si osserva anche per il Lazio. Il ritmo quotidiano dei decessi ufficiali è aumentato rispetto alla scorsa settimana. Il peggioramento della mortalità giornaliera ha portato il Lazio a collocarsi in coda alla graduatoria. Il cammino che deve ancora percorrere verso “contagi zero” è del 74%. Questo risultato deve però essere interpretato con estrema cautela perché potrebbe risentire della correzione apportata ai dati per tenere conto del ricalcolo della mortalità. Il 1° maggio la Protezione Civile ha infatti certificato 33 decessi in più nel mese di aprile.

Toscana, Piemonte e Veneto presentano ancora una situazione abbastanza preoccupante sul versante dei decessi, soprattutto il Veneto, l’unica regione che, insieme al Lazio, registra un valore superiore al 50%. Ciò significa che la strada percorsa verso “contagi zero” è meno che la metà. La sua posizione è però meno preoccupante per quanto riguarda i nuovi contagi.

Il Piemonte desta preoccupazione anche per quanto riguarda i nuovi contagiati. È in coda alla graduatoria, preceduto dalla Liguria. Entrambe le regioni toccano valori superiori al 54%.

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Appendice
Riportiamo, di seguito, i grafici dell’evoluzione dei due indici considerati (calcolati in media mobile a 7 termini) nelle 21 Regioni e Province italiane. Questo ci consente di individuare le regioni che presentano una caduta della curva più piatta (come l’Abruzzo, il Friuli V.G., il Lazio, la Liguria, la Toscana o il Veneto).




Il diario della talpa. Arrivederci

12. ARRIVEDERCI!

La tapa si rintana.

Negli ultimi giorni s’è intromessa fin troppo, nelle cose di fuori. Ora sente la necessità di ritirarsi un po’, e stare nell’ombra.

Ha molto da scavare.

Non esclude di farsi ancora viva, ogni tanto. Avesse mai qualcosa di urgente da dire.

Per il momento, saluta e ringrazia.

Leggi gli episodi precedenti 




Più tamponi, meno morti

Un confronto internazionale

Sul fatto che le autorità non dicano il vero, quando affermano che siamo il paese del mondo che fa più tamponi, non ci sono più dubbi. In due contributi precedenti abbiamo ampiamente dimostrato come stanno le cose: se si considera l’anzianità epidemica, l’Italia è uno dei paesi che fa meno tamponi al giorno per abitante.

Come si vede, solo 5 paesi (fra cui Francia e Regno Unito) fanno meno tamponi dell’Italia; gli altri 20 ne fanno di più, talora molti di più (è il caso, ad esempio, di Israele, Grecia, Norvegia).

Fin qui tutto chiaro, anche se spesso negato. Ma ora ci chiediamo: hanno ragione quanti affermano che la politica dei tamponi ha effetti rilevanti sul controllo dell’epidemia? In questo senso si sono pronunciati, fra gli altri, il prof. Massimo Galli (infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano), e l’immunologo Jean François Delfraissy, consigliere di Macron per la gestione dell’epidemia.

Il primo, in un’intervista televisiva, ha ipotizzato che, proprio grazie alla sua elevata capacità di fare tamponi, la Germania fosse uno dei pochi paesi europei importanti con buone chances di uscire relativamente bene dall’epidemia. Il secondo è arrivato a dire che, ove la Francia avesse avuto una capacità di fare tamponi di 100 mila al giorno (anziché soltanto 3 mila), forse non avrebbe consigliato il lockdown al Presidente francese.

A giudicare dai dati disponibili, l’ipotesi di un elevato impatto dei tamponi sul tasso di mortalità di un dato paese è tutt’altro che campata per aria. In questo campo non esistono prove irrefutabili, ma l’analisi dei dati fornisce una forte evidenza a favore dell’ipotesi di un nesso inverso fra propensione a ricorrere ai tamponi e tasso di mortalità: più tamponi si fanno, meno drammatica è la conta finale dei morti.

Dividendo i paesi in classi di propensione a fare tamponi (1° classe tanti, 5° classe pochi) la situazione risultante è la seguente.

Passando dalla prima classe (che include Israele, Lituania e Islanda) all’ultima (che include Italia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti ma non la Germania), il tasso di mortalità passa – con impressionante regolarità – da 19 a 294 morti per milione di abitanti: un rapporto di oltre 1 a 15. Un’analisi della distribuzione completa suggerisce che le soglie critiche siano situate intorno a 600 e 1000 tamponi al giorno per abitante. Il tasso di mortalità è quasi sempre relativamente modesto sopra i 1000 tamponi al giorno, è quasi sempre molto alto sotto i 600: la Germania è sopra la soglia dei 1000, l’Italia è sotto la soglia dei 600. Indicativamente si può suggerire che, per evitare l’esplosione della mortalità, l’Italia avrebbe dovuto fare il doppio dei tamponi che ha effettivamente fatto. E’ anche interessante osservare che, nel caso della Francia, la soglia di sicurezza fissata da Delfraissy (100 mila tamponi al giorno) corrisponde a circa 1500 tamponi al giorno per abitante, più o meno il valor medio della classe 2.

La relazione inversa fra tamponi e mortalità è ancora più chiara se confrontiamo le posizioni (o ranghi)  dei paesi nelle due graduatorie che si possono stabilire in base alle variabili “propensione a fare tamponi”, e “tasso di mortalità per milione di abitanti”.

Il diagramma mostra con estrema chiarezza che la mortalità tende a decrescere con il numero di tamponi: la correlazione è negativa, pari -0.802.

Il medesimo diagramma diventa ancora più nitido se restringiamo l’analisi ai paesi di tradizione occidentale, eliminando i paesi ex-comunisti. La correlazione inversa, già elevata, aumenta ancora in modulo (-0.832).

Credo vi sia materia per riflettere.

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Nota tecnica

I dati provengono dal database Worldometers rappresentano gli ultimi dati comunicati al 19 aprile 2020. Va tenuto presente che alcuni paesi non comunicano il dato dei tamponi quotidianamente, e altri comunicano il dato dei soggetti testati anziché quello dei test effettuati, due circostanze che comportano entrambe una sottostima della propensione ad effettuare tamponi. Ciò fa sì che la posizione effettiva di alcuni paesi (ma non dell’Italia) potrebbe essere migliore di quella da noi stimata, peggiorando così la posizione relativa dell’Italia.

I paesi inclusi nell’analisi sono costituiti dall’insieme delle società avanzate per le quali erano disponibili dati sulla mortalità e sui tamponi.

L’anzianità epidemica di un paese è definita come il numero di giorni trascorsi dal primo giorno in cui il numero di morti ha superato il livello di 10 per milione di abitanti.

Le classi di propensione sono così definite:

classe 1: oltre 2500 tamponi al giorno per milione di abitanti;
classe 2: fra 1300 e 2500
classe 3: fra 1000 e 1300
classe 4: fra 600 e 1000
classe 5: meno di 600




L’Italia e gli altri. Bollettino Hume sul Covid-19 (2°)

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Continua oggi, venerdì 1° maggio, la pubblicazione dei bollettini della Fondazione David Hume sull’andamento dell’epidemia.
In questo secondo bollettino, che esce a pochissimi giorni dall’avvio della fase 2, ci concentriamo su tre domande:
1) a che punto siamo nel percorso che dovrebbe condurci alla meta di “contagi zero”?
2) qual è la posizione dell’Italia rispetto agli altri paesi?
3) quanto tempo potrebbe essere ancora necessario perché l’obiettivo di contagi-zero venga centrato dal nostro paese?
La risposta alla prima domanda sta tutta in questo istogramma:La valutazione della velocità del contagio è basata sulla mortalità per abitante, l’unico dato relativamente comparabile fra paesi.
Come si vede, siamo ancora al 40%: vuol dire che, fatto 100 il numero di nuovi contagiati del giorno di picco, dobbiamo ancora discendere 40 scalini per arrivare a contagi-zero. Meglio di noi stanno, fra i grandi paesi, Spagna e Francia, peggio di noi stanno la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti.
Insomma, a prima vista la posizione dell’Italia non sembra troppo cattiva.
I guai cominciano, però, non appena si considerano due elementi. Il primo è l’anzianità epidemica, ossia il numero di giorni da cui è iniziata l’epidemia, che per l’Italia è maggiore che per qualsiasi altro paese (eccetto Cina e Corea del Sud, ovviamente).
Il secondo elemento di preoccupazione è la velocità alla quale scendiamo verso la meta di contagi-zero. La velocità dell’Italia è del 2.9% al giorno, una delle più basse fra i paesi considerati.Peggio di noi fanno Stati Uniti e Regno Unito, meglio di noi Spagna, Francia, ma soprattutto Germania.
Fra i 26 paesi considerati gli unici che paiono relativamente vicini alla meta sono Finlandia, Estonia e Lussemburgo. Essi hanno infatti percorso buona parte della strada che li separa da contagi-zero, e paiono caratterizzati da una velocità di discesa piuttosto elevata.
Quanto tempo è ancora necessario per arrivare a contagi-zero?
Impossibile dirlo, perché non sappiamo la velocità alla quale l’Italia percorrerà l’ultimo tratto di strada. Un elemento di rassicurazione, però, esiste: sia i dati sul numero dei morti sia quelli sul numero di nuovi contagiati si riferiscono ad eventi che sono avvenuti, rispettivamente, circa 3 e 2 settimane prima. Come la luce delle stelle lontane, i morti di oggi ci informano su contagi avvenuti 20-25 giorni fa.
Possiamo solo sperare che, nel frattempo, la corsa verso contagi-zero sia proseguita. Anche se la prudenza suggerirebbe di attendere che sia i decessi giornalieri, sia i nuovi casi diagnosticati, si portino molto vicini a zero.

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Nota tecnica 
I paesi considerati sono tutti quelli in cui:
a) l’epidemia ha varcato la soglia dei 10 morti per milione di abitanti;
b) il picco è già stato superato da almeno 4 giorni.
Il picco è stato calcolato come variazione trigiornaliera della mortalità per abitante.

Leggi il 1° Bollettino Hume sul Covid-19




Stiamo diventando nervosi

Ieri mattina sul tetto della casa di fronte c’era una ragazza con degli short gialli, in piedi sulle tegole scoscese. Stamattina una signora mi ha fulminata di improperi perché chiedevo educatamente chi era l’ultimo della fila per entrare dal ferramenta.

Non si canta più tanto, mi pare. C’è andato giù l’ormone dell’allegria, resta l’adrenalina della sfida, ma sta diventando lunga e sfibrante questa via Crucis senza Resurrezione.

Siamo stanchi di Zoom e FaceTime, di telefonate, di video condivisi, di video in cui recitiamo la fiaba della buona notte a nipotine recluse da un’ altra parte. Siamo stufi di retorica Patriottarda, stufi delle pennellate di melassa da libro Cuore dietro cui si cerca di nascondere lo scacco, la paura, l’incertezza. Stufi di indicazioni sempre nuove e sempre uguali. Siamo stanchi di dover attingere al nostro patrimonio di resilienza, stiamo raschiando il fondo del barile. Siamo delusi dalla riapertura richiusa, anche se probabilmente è saggia. Siamo intontiti dal mantra delle mascherine e delle distanze, ripetuto fino allo sfinimento, manco fossimo un popolo di deficienti…

Personalmente se sento ancora una volta la frase “Non abbassiamo la guardia” mi butto dalla finestra… un cadavere con mascherina e guanti mono uso in un’orgia di sangue sul selciato. Lo sappiamo che non la dobbiamo abbassare la guardia. Fateci grazia. So che è a fin di bene, ma sono stufa di dover autocertificare il mio sacrosanto bisogno di prendere una boccata d’aria, di portare a spasso un bambino (anche loro hanno diritto, anche se pisciano da bravi nel vasino), di correre per un’ora, come faccio con regolarità da 38 anni, perchè la sedentarietà fa male e il coronavirus è un problema di salute.

Sono stufa di minacce a chi ha più di 65 anni, oppure 70 o magari 80: vi chiuderemo in casa fino al terzo giovedì di dicembre, fino al marzo prossimo, fino a quando tirerete in calzini, stremati da queste discriminazioni persecutorie. Siamo stanchi che chi governa metta le mani avanti. Ci rendiamo conto che è difficile, ma non possiamo caricarci il peso di decisioni non prese o prese tardi. Vogliamo sottoporci tutti al tampone, isolare i malati, curarli, liberare i sani, prima che l’onda lunga della paralisi produttiva, del blocco dei consumi, dell’annientamento del turismo ci travolga e ci faccia naufragare nella povertà assoluta, quell’abisso senza ritorno.

Siamo preoccupati per la cultura e per chi vive di cultura non soltanto economicamente, ma anche per un bisogno dell’anima. Siamo preoccupati per le migliaia di artisti e lavoratori dell’arte e dello spettacolo ridotti alla fame (per abitudine sono considerati bambini che giocano nella nursery dei privilegiati, ma non è così). Franklin D. Roosevelt, investì, esattamente cent’anni fa, nel 1929 sull’arte e sulla cultura ingenti somme di danaro. Aveva capito che dalla crisi si esce osservandola e rappresentandola, per capire e far capire. E quindi cambiare.

Chi canterà questi giorni di sconcerto e di fatica?

Copyright 2020 Lidia Ravera
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