La corruzione in Italia e nei paesi avanzati

Lo studio della corruzione ha ormai una lunga storia, è in particolare a partire dalla meta degli anni Novanta del secolo scorso che si assiste ad una notevole accelerazione nella produzione scientifica sull’argomento.

Ciò è dovuto ad una successione di eventi. Innanzitutto è cresciuta la rilevanza del tema, con l’avvio sul piano internazionale di una serie di interventi di contrasto alla globalizzazione della corruzione. In secondo luogo, l’organizzazione Transparency International (TI) da tempo ha elaborato un indice generale di corruzione percepita nei paesi per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei politici sul fenomeno. Il Corruption Perception Index proposto da TI diventerà nel tempo il più utilizzato (e discusso) strumento di misurazione della corruzione a livello internazionale. Infine, alcune ricerche (Mauro, 1995) sembrano dimostrare ciò che da tempo si sospetta, ossia l’impatto negativo della corruzione sulla crescita economica (seppur indiretto, attraverso la riduzione degli investimenti).

Ma come si colloca l’Italia in una ipotetica classifica della corruzione e mai in alcuni paesi e regioni la corruzione è più diffusa che altrove? Sono queste alcune domande a cui il rapporto elaborato dalla Fondazione David Hume per il Sole-24 Ore cerca di rispondere.

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La disuguaglianza economica in italia e nel mondo

Da quanti anni lo sentiamo dire? Da quanti anni lo leggiamo sui giornali? Da quanti anni gli studiosi si affannano a ricordarcelo?

Il mondo sta diventando sempre più diseguale, ci ripetono. Un po’ ovunque le disuguaglianze stanno crescendo in modo esplosivo, o esponenziale, come si usa dire con abuso di linguaggio (“esponenziale” non significa veloce, ma semplicemente a tasso costante). E l’aumento delle disuguaglianze, nel giro di pochi anni, è anche diventato il principale imputato per la crisi che ci attanaglia dall’agosto del 2007. Se la crescita si è fermata, ci dicono, è perche vi è stata una spaventosa crescita delle diseguaglianze.

Ma è vero che le diseguaglianze stanno crescendo in modo cosi esplosivo?

Il dossier della Fondazione David Hume, che analizza più di 50 anni di storia della diseguaglianza in quasi tutti i paesi del mondo, fornisce ora una base di dati ampia e relativamente completa per provare a fornire qualche risposta.

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La criminalità in Italia

Altri problemi, forse più gravi, premono sulle persone nelle comunità, ma il bisogno di sicurezza li attraversa tutti. Le speranze progettuali…le dinamiche dei sentimenti e quelle dello scambio sociale sono vincolate dall’esistenza di condizioni di sicurezza che consentano agli individui e alle istituzioni di affrontare il presente e prospettarsi il futuro. Il diffuso sentire che tali condizioni si facciano oggi alquanto precarie rende il problema più vivo e drammatico, spingendo talvolta i singoli e le collettività a forme di difesa anche eccessive (Amerio, 1999, p. 17).

E’ soprattutto la criminalità diffusa che alimenta i sentimenti di insicurezza dei cittadini. Esiste una “insicurezza sommersa” legata alla microcriminalità. E tuttavia, le sensazioni di insicurezza dei cittadini dipendono in parte dai livelli oggettivi di pericolo ‒ quindi dall’effettivo peso dei reati e dell’illegalità nel contesto sociale ‒   e in parte sono invece collegate ai livelli di fiducia e di tranquillità economica e sociale che pervadono la nazione, nonché dal peso che i mezzi di comunicazione di massa danno alla criminalità. Quando un cittadino si sente insicuro, anche indipendentemente dalle condizioni oggettive di pericolosità del suo ambiente di vita, si comporta come se lo fosse.

La criminalità è quindi sì un problema di ordine pubblico, ma con ampie ricadute sociali, politiche e economiche. “Qualsiasi politica della sicurezza è quindi non solo una politica di ordine pubblico, ma anche una politica della fiducia, diretta a rasserenare e creare le condizioni oggettive in cui i cittadini possano nutrire fiducia in sé stessi e nel proprio futuro” (Violante,1999, p.26).

Per queste ragioni, il tema criminalità/sicurezza è spesso al centro del dibattito pubblico e politico, specie quando viene declinato in riferimento alla delittuosità degli immigrati. Non sempre, tuttavia, questo dibattito si basa su una ricostruzione accurata della realtà. Partire dai dati oggettivi può invece essere un modo costruttivo per contribuire alla riflessione pubblica sulla criminalità in Italia. Con questo auspicio nasce il dossier Sole 24 Ore-Fondazione David Hume.

Le domande che orientano il lavoro di ricerca qui presentato sono essenzialmente tre.

  1. La criminalità in Italia è aumentata o diminuita dal 2004 al 2014?
  2. Permangono delle caratterizzazioni territoriali della delittuosità nel nostro paese?
  3. Qual è il contributo degli immigrati alla criminalità in Italia?

Criminalità




La vulnerabilità dei conti pubblici dell’Italia

Sono passati ormai 10 anni dall’Appello degli economisti più o meno marxisteggianti in favore di una stabilizzazione del debito pubblico, cui allora si contrapponevano i fautori del suo abbattimento. In quell’anno, era il 2006, l’economia si stava riprendendo, Prodi aveva appena vinto le elezioni, e il timone dell’economia era affidato al compianto ministro Padoa‐Schioppa.

Però il debito dell’Italia era alto, l’Europa ci invitava a ridurlo, e le agenzie di rating ci tenevano sotto tiro.

Come si sono dunque evoluti i conti pubblici in Italia? E cosa è successo nelle altre principali economie avanzate? Lo spread è forse lo strumento più utilizzato per misurare il grado di vulnerabilità di un paese, ma la differenza fra rendimenti dei titoli di Stato di un paese rispetto a quelli della Germania non è forse l’unico modo per valutare la performance di un’economia. In questo rapporto vedremo alcune misure alternative così come analizzeremo i fattori che influenzano lo spread tradizionalmente inteso.

Vulnerabilità dei conti pubblici




Il Gender gap negli anni della crisi

Questa crisi economica che ormai dura da molti anni ha lasciato segni evidenti sul sistema economico del nostro paese. Il forte calo del potere d’acquisto (-9,1% fra il 2008-2014) si è accompagnato ad una caduta dei consumi delle famiglie (-5,7%). Il Pil è sceso dell’8,1% e il numero dei lavoratori in Italia è complessivamente calato di circa 800mila unità.

Il rallentamento dell’economia ha avuto un impatto molto forte, riducendo dal punto di vista quantitativo il potenziale produttivo dell’Italia. Ciò che però questi soli dati non ci consentono di capire è se questa lunga recessione abbia modificato il sistema anche da un punto di vista qualitativo.

In questo rapporto cercheremo dunque di capire se la crisi abbia contribuito a modificare alcuni squilibri del nostro paese, in due settori chiave per la crescita economica: l’istruzione (scuola e università) e il mercato del lavoro.

Valuteremo l’evoluzione del gender gap prima (2004-2008) e dopo (2008-2014) l’inizio della fase recessiva. Il calcolo di questa “doppia differenza”, una differenza nel tempo (pre-post) e una differenza di genere, ci permetterà di capire se la crisi abbia contribuito o meno ad accentuare i divari di genere.

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