Verso le elezioni europee – Il dilemma migratorio

Di elezioni europee si parla ancora poco, almeno in modo esplicito. Ma sottotraccia è lì che vanno la mente e le mosse dei politici, che già pensano come posizionarsi in vista del voto di giugno 2024. Fra i temi di cui non si parla ancora in modo esplicito, ma che pendono come una spada di Damocle su tutti, c’è sicuramente lo spinosissimo nodo dell’immigrazione illegale in Europa. Un nodo che in Italia si presenta con tre facce: sbarchi a Lampedusa e negli altri porti del Sud, ingressi a Trieste dalla rotta balcanica, respingimenti francesi a Ventimiglia.

È interessante il fatto che, rispetto a questo problema, le forze politiche siano sostanzialmente mute. Non nel senso che non ne parlino, ma nel senso che non parlano delle soluzioni.

Il centro-destra pare ormai rassegnato a considerare ineluttabile il flusso di migranti dalla rotta centrale del mediterraneo, almeno finché l’Europa non batterà un colpo (ma quale colpo? più soldi all’Italia? pattugliamenti di Frontex davanti alle coste della Tunisia e della Libia?). Quanto alla rotta balcanica, alla pressione su Trieste e le altre città del Friuli, se ne parla poco perché qualsiasi soluzione si scontra con l’ostilità dei cittadini, spaventati dall’arrivo di centinaia di stranieri collocati in un limbo incapace di accoglierli e di integrarli.

Quanto al centro-sinistra, l’impegno maggiore non è a prospettare soluzioni che vadano oltre il “più soldi ai sindaci per gestire l’accoglienza”, bensì a denunciare le promesse tradite di Giorgia Meloni, a partire da quella di fermare gli sbarchi con il “blocco navale”.

Insomma, sia la destra sia la sinistra paiono a corto di idee, o meglio di idee nuove, per affrontare il prossimo appuntamento europeo. Con ogni probabilità, il Pd si presenterà con il consueto schema: i migranti non sono il problema, i migranti sono la soluzione (ai bisogni di manodopera delle imprese). E magari aggiungeranno: in passato abbiamo sbagliato, è tempo che il Pd cancelli Marco Minniti e le sue politiche di contenimento dei flussi, come già sta cancellando Renzi e il suo sciagurato Jobs Act.

E il partito di Giorgia Meloni? A giudicare dalla cautela con cui si sta muovendo sul terreno migratorio, si direbbe che l’incapacità di fermare gli sbarchi, combinata con i drammatici problemi delle imprese che non trovano forza lavoro, possa condurre a una riconsiderazione del problema dell’immigrazione. I cui termini essenziali sono abbastanza chiari, se non ci si lascia offuscare dal velo dell’ideologia.

Il dilemma in cui qualsiasi governo è destinato ad incappare discende dal sistema di incentivi che regola i flussi migratori. Se l’immigrazione irregolare in Europa viene ostacolata e criminalizzata, i numeri diventano più gestibili, ma cresce la quota di stranieri che non si possono integrare, e con essa il senso di insicurezza dei nativi (a partire dai ceti popolari). Se viceversa l’immigrazione viene liberalizzata, allargando le maglie anche a chi non ha diritto all’asilo, il flusso è destinato a diventare presto ingestibile, con benefici tangibili per le imprese (più manodopera, salari più bassi), ma costi drammatici per i ceti popolari (dumping salariale, disordine urbano). Detto per inciso, è questo il motivo per cui un comunista come Marco Rizzo, ma anche altri esponenti della sinistra, si oppone all’aumento dei flussi migratori.

Il tutto complicato da una circostanza spesso dimenticata: l’affanno delle imprese non riguarda solo la mancanza di manodopera a bassa qualificazione, ma anche – se non prevalentemente – la mancanza di forza lavoro qualificata: elettricisti, meccanici, fonditori, saldatori, fabbri, tecnici informatici e così via. Pensare che questa lacuna possa essere colmata lasciando via libera agli sbarchi e allentando la sorveglianza ai confini con la Slovenia è perlomeno ingenuo.

Ecco perché, quello dell’immigrazione, è un problema vero, che richiederebbe un approccio analitico, attento ai costi e ai benefici delle varie politiche, senza scorciatoie ideologiche. Non sembra che, con l’approssimarsi dell’appuntamento europeo, tale consapevolezza si stia facendo strada, né a sinistra né a destra.

È un peccato, perché i problemi veri meritano di essere affrontati a viso aperto, non elusi a colpi di slogan e ideologia.




Vannacci, che brutta figura i grandi media!

(Intervista di Alessandra Ricciardi a Luca Ricolfi, uscita il 7 settembre su “Italia Oggi”).

  • Professore, il generale Vannacci ha trovato un editore per il suo libro, dopo aver stravenduto con l’edizione on line. È nata una stella?

Le stelle brillano in cielo da milioni di anni, quella di Vannacci non si sa ancora quanto durerà. Però, fin da quando è uscito, non ho condiviso la supponente profezia dei commentatori politici: “dal 1° settembre non se ne parlerà più”. Mi aspettavo una tenuta, anche per ragioni tecniche: il file in pdf del libro sta girando vorticosamente su internet, le copie vendute da Amazon sono solo una frazione del circolante.

  • Lei lo ha letto il libro?

Dalla prima riga all’ultima, ero troppo incuriosito.

  • E non ha trovato che alcune tesi su gay e donne siano politicamente scorrette se non discriminatorie?

Attenzione: quasi tutto quel che una persona normale pensa e dice è considerato politicamente scorretto dalle guardie rosse del pensiero. E, nel mondo inquinato dai social, è impossibile esprimere un’idea senza che qualcuno si senta offeso, poco rispettato, discriminato, deriso, eccetera.

Ma non voglio sfuggire alla domanda. È vero, nel libro di Vannacci si trovano frasi ironiche sui gay e sulle femministe (ad esempio “moderne fattucchiere”), ma nulla che possa essere interpretato come razzismo, sessismo, o giustificazione di pratiche discriminatorie. Quel che mi colpisce, semmai, è un’altra cosa…

  • Quale?

Il quasi completo disinteresse dei media, degli studiosi, degli intellettuali per il contenuto delle proposte del Generale, alcune delle quali sono più che ragionevoli, o comunque difendibili. Sul clima e sull’ambiente, ad esempio, Vannacci espone – con molto maggiore dovizia di argomenti statistici – una tesi difesa pochi anni fa da Jonathan Franzen in un apprezzato libretto pubblicato da Einaudi (E se smettessimo di fingere?) dove sosteneva che fosse meglio concentrare gli investimenti sul contenimento dei danni del riscaldamento piuttosto che puntare su un’utopistica riduzione della temperatura globale. La realtà, purtroppo, è che sul Mondo al contrario i media considerati più autorevoli hanno dato una drammatica prova di mancanza di professionalità. La sistematica deformazione del pensiero di un autore, e soprattutto il silenzio totale sulle sue proposte, sulle sue analisi e sulla sua visione del mondo, sono segnali molto preoccupanti.

  • Così la pensano anche alcuni esponenti della destra però.

Sì, ho letto ad esempio la recensione negativa di Franco Cardini. Ma la sua è una reazione da professore universitario a professore. Non c’è alcuno sforzo di entrare nel punto di vista (e nel linguaggio!) dell’interlocutore, che invece è la cosa più interessante di fronte a un unicum come il libro di Vannacci. Lo dico come sociologo: il mero fatto che un libro autoprodotto venda più di 100 mila copie in poche settimane, superando di gran lunga tutti i “venerati maestri” che si contendono l’attenzione del pubblico, è un fatto che già solo per questo merita una riflessione scientifica. Tanto più che il libro non usa nessuna delle armi improprie del nostro tempo: volgarità, sesso, pornografia, violenza verbale, promesse di salute, felicità o autorealizzazione.

  • Il ministro della difesa Crosetto ha rivendicato in queste ore la scelta di averlo destituito, “sono stato più militare di lui”, ha detto. Un militare in quella posizione può dire tutto come potrebbe fare un altro comune cittadino? Non ritiene che la libertà di espressione abbia dei limiti?

Le rispondo con una certa sofferenza, perché ho grande stima (e simpatia) per Guido Crosetto. Ebbene, penso anch’io che la libertà di espressione abbia dei limiti. Ma sono quelli fissati dalla Costituzione e dalla legge, non dall’opportunità politica.

  • A quali limiti si riferisce?

Innanzitutto all’articolo 21, secondo cui “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. E in secondo luogo al codice (penale e civile) che stabilisce in modo piuttosto preciso i casi nei quali un’opinione diventa illecita (calunnia, diffamazione, ingiuria, minaccia, vilipendio, apologia di reato, incitamento alla discriminazione). Nel libro di Vannacci non ci sono né offese al buon costume (semmai critiche a chi lo offende), né tracce dei reati previsti dal codice penale. E non si può neppure dire, come ha incautamente affermato il Generale Camporini, che l’articolo 98 della Costituzione preveda limiti alla libertà di espressione di magistrati, militari di carriera, agenti di polizia. L’articolo 98 si limita a dire che, per tali categorie, la legge può “stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici”.

Insomma, come liberale, trovo semmai che le norme attuali siano eccessivamente limitative della libertà di manifestazione del pensiero.

  • E quindi ci sono temi di destra di cui Vannacci diventa paladino e che la destra di governo, Fdi e Lega, non rappresenta più?

Secondo me è un errore collocare Vannacci sullo spettro politico, o confrontarne le posizioni con quelle dei partiti di destra. Certo, la maggior parte delle idee di Vannacci sono discutibili, conservatrici, e spesso nostalgiche. Ma il suo libro è la descrizione di uno stato d’animo, non un manifesto politico.

  • Può nascere altro a destra? O Vannacci sarà assorbito nella destra di governo?

Io mi auguro che Vannacci non entri direttamente in politica, ma continui a fare – in modo meno rozzo – quel che ha fatto finora: dare voce a un segmento importante della società italiana.

  • La solita “maggioranza silenziosa”?

Direi di no. La maggioranza silenziosa rappresentava solo ed essenzialmente una richiesta di ordine. Nel Mondo al contrario c’è di più e di meno: la nostalgia per un mondo più ordinario, non semplicemente più ordinato. Un mondo più aderente al senso comune, più tradizionalista, meno ostaggio delle minoranze organizzate. È il mondo della maggioranza? Credo di no. Quella di Vannacci a me pare una silenziosa minoranza di massa. Che in lui sta trovando un modo di far sentire la sua voce.

È il mondo della maggioranza? Credo di no. Quella di Vannacci, a me pare una cospicua minoranza silenziosa. Che in lui sta trovando un modo di far sentire la sua voce.




Immigrazione ed elezioni europee – Perché la destra è in pole position

Mancano 9 mesi alle prossime elezioni Europee, e si sente dire che la relativa campagna elettorale è già iniziata. Non mi sembra esatto, almeno in Italia. Quel che si osserva, negli ultimi mesi, è semmai un penoso tentativo dei partiti (specie quelli di governo) di differenziarsi sulla politica interna, mentre quasi nulla sulle grandi tematiche europee – dal patto di stabilità all’immigrazione – né sul problema politico fondamentale: con quale maggioranza la Commissione europea governerà il Vecchio continente?

Eppure questo è il punto cruciale. Accade infatti che, per la prima volta dal 1979 (primo Parlamento Europeo), esiste la concreta possibilità che l’alleanza Popolari-Liberali-Socialisti, che ci ha governati per 45 anni, non abbia più i numeri per governare.  È tutt’altro da escludere, infatti, che i due raggruppamenti di destra (Identità e Democrazia, Conservatori e Riformisti), che attualmente occupano il 18% dei seggi, si rafforzino al punto da rendere numericamente possibile una maggioranza con i Popolari, attualmente al 25%: lo spostamento elettorale necessario per tale ribaltamento è dell’ordine di 7 punti percentuali, che sono tanti ma non tantissimi. Questa eventualità, più che regalarci un governo di destra (impraticabile finché il Partito Popolare manterrà lo sbarramento contro l’estrema destra), si tradurrebbe in una fortissima instabilità, fino alla sostanziale paralisi delle istituzioni europee. Una prospettiva non proprio esaltante.

Ma che cosa rende verosimile l’ipotesi di un successo delle destre in Europa?

Fondamentalmente il combinato disposto di due circostanze: l’aggravamento del problema migratorio, particolarmente acuto in Italia; la rimozione del problema da parte dei maggiori partiti progressisti europei.

Che il problema migratorio sia in cima alle preoccupazioni di alcune opinioni pubbliche europee si indovina dai risultati elettorali e dai sondaggi più recenti, che segnalano il rafforzamento dei partiti ostili all’immigrazione. Oltre al recente successo della coalizione di destra guidata da Giorgia Meloni, si debbono ricordare: l’avanzata di Alternative für Deutschland in Germania (elezioni politiche e sondaggi), il rafforzamento del Rassemblement National in Francia (elezioni legislative), le recenti clamorose vittorie delle destre in Svezia, Finlandia, Grecia. In apparente controtendenza, i risultati elettorali in Spagna (dove il partito xenofobo Vox ha perso colpi) e in Danimarca (dove la premier socialdemocratica Mette Frederiksen è tornata a guidare il paese).  Dico “apparente” controtendenza perché sia in Spagna sia in Danimarca il consenso elettorale complessivo ai partiti di destra e centro-destra è in realtà aumentato, sia pure di poco.

Il caso danese merita una speciale attenzione. In Danimarca i socialdemocratici, con il 27.5% dei consensi, hanno ottenuto il miglior risultato di sempre, e hanno scelto di formare un governo di grande coalizione (“né rossa né blu”, secondo la premier) con gli altri due maggiori partiti, ossia liberali e i moderati. Il punto interessante, però, è con che tipo di messaggio i socialdemocratici hanno affrontato – e vinto – la prova elettorale. Per mesi, al centro del dibattito politico danese vi è stata la proposta, caldeggiata dai socialdemocratici stessi, di collocare in Rwanda o in qualche territorio straniero una parte dei migranti.

Ed ecco il punto chiave: anche se con ogni probabilità la proposta non sarà attuata, o sarà annacquata in qualcosa d’altro, il fatto è che i socialdemocratici hanno riconquistato la fiducia dell’elettorato mostrando che prendono sul serio il problema dell’immigrazione. Una sorta di variante nordica della “linea Minniti”, che in Italia ebbe breve durata, almeno a sinistra.

Nulla di tutto ciò pare muoversi nelle altre socialdemocrazie europee. Anzi, l’atteggiamento della Commissione è di “comprendere” l’esistenza del problema, ma di essere decisa a non far nulla prima del rinnovo del Parlamento europeo, il prossimo giugno. Ecco perché penso che i partiti di destra, radicale o estrema, abbiamo ottime possibilità di fare un grosso risultato alle prossime elezioni europee. Negare o sottovalutare il problema dei migranti è il più grande regalo che i partiti di sinistra possano fare alle forze politiche di destra.




A proposito di stupri – Il lato oscuro della civiltà

Ogni tanto la stampa e le televisioni ci informano di qualche drammatica violenza su donne, ragazze, e persino bambine: stalking, abusi sessuali, stupri, femminicidi. Ultimamente, l’attenzione è caduta su due casi di stupro di gruppo avvenuti uno a Palermo, l’altro a Caivano in provincia di Napoli, in una realtà degradata e ostaggio della criminalità.

Notizie di questo tipo sono doverose, e tanto più utili quanto più accompagnate da ricostruzioni accurate del contesto economico, sociale e culturale in cui i fatti maturano. C’è un risvolto della medaglia, tuttavia. Da questo genere di episodi, di cui si parla qualche volta al mese, possono derivare credenze sostanzialmente errate. Ad esempio, che si tratti di poche decine di casi l’anno. O che la matrice siano le condizioni sociali e culturali, particolarmente problematiche nel Mezzogiorno. O che l’Italia sia una realtà particolarmente arretrata, ben lontana dagli standard di civiltà di tante altre società avanzate.

Ebbene, nessuna di queste letture, spesso stimolate dagli episodi di cronaca, regge a un’analisi dei dati (pur imperfetti e frammentari) di cui oggi disponiamo. Partiamo dal numero di stupri: le denunce sono circa 5 al giorno, con un “numero oscuro” di almeno 50 casi non denunciati ogni giorno. Una stima rozza e per difetto suggerisce che gli stupri siano dell’ordine di 20 mila l’anno.

Ma dove si concentrano gli stupri? I dati disponibili mostrano che, contrariamente a una credenza piuttosto diffusa, la frequenza è maggiore nelle regioni del Centro-nord rispetto a quelle del Sud. Secondo i dati più recenti del Ministero dell’interno, relativi al 2021, il record negativo delle violenze sessuali è detenuto dalla civilissima Emilia- Romagna, mentre la regione meno toccata è l’arretrata Calabria. Né si pensi che questa (presunta) anomalia sia una particolarità italiana. Se allarghiamo l’orizzonte, e passiamo a considerare i paesi dell’Unione europea, o l’insieme ancor più ampio dei paesi Oecd, troviamo la stessa regolarità già osservata confrontando le regioni italiane. Sulla base dei pochi dati disponibili, pare che i tassi di violenza sulle donne più alti si riscontrino nei paesi (considerati) più sviluppati, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, con punte inquietanti negli ultra-moderni, ultra-civili paesi del Nord: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca (per non parlare di quel che accade fra i super-privilegiati e sovra-istruiti studenti dei college americani e britannici, dove alcune inchieste indicano che le studentesse vittime di violenza sessuale sarebbero 1 su 5). Mentre i tassi più bassi si riscontrano in paesi mediterranei come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia. In tutte le statistiche il nostro paese si trova sempre nella fascia dei paesi meno esposti alla violenza di genere.

Arrivati a questo punto, so già qual è l’obiezione: è tutta colpa del “numero oscuro”, ossia del tasso di denuncia, presumibilmente molto diverso da paese a paese, e significativamente più alto nei “paesi civili”. Se il centro-nord ha più violenze sessuali del Sud, e la Svezia ne ha molte di più dell’Italia, è solo perché nelle realtà avanzate quasi tutte le violenze vengono denunciate, mentre in quelle arretrate ciò accade soltanto per una piccola frazione del totale.

Questo argomento non è del tutto infondato, ma non basta a spiegare i fatti. Le differenze nei tassi di violenza fra un paese come l’Italia e un paese come la Svezia sono troppo ampie per attribuirle interamente a differenze nei tassi di denuncia, anche perché vari studi condotti nei paesi nordici indicano, anche lì come nel nostro paese, tassi di denuncia molto bassi, dell’ordine di 1 caso su 10 (se non peggio).

Ma c’è un modo sicuro per verificare se il “paradosso nordico” (i territori più avanzati hanno tassi di violenza sulle donne maggiori di quelli più arretrate), è una realtà e non un artefatto statistico: basta confrontare fra loro non le denunce per stupro, ma i femminicidi, per i quali il numero oscuro non può che essere vicino a zero (è molto difficile che l’uccisione di una donna non venga rilevata dalle statistiche). Ebbene, anche in questo caso i paesi del Nord hanno i tassi di femminicidio più alti, l’Italia ha valori comparativamente molto bassi e, dentro l’Italia, è il Centro-nord a primeggiare (sia pure di poco), non l’arretrato Mezzogiorno. Non solo, ma – contrariamente a un pregiudizio molto diffuso – i femminicidi “di possesso” (in cui il maschio non riesce ad accettare la perdita della donna) sono tipici del Nord, non del Sud.

Conclusione: i dati dicono che, tendenzialmente, più avanzata è una realtà dal punto di vista del benessere e della parità di genere, maggiore è il tasso di violenza sulle donne. In quale modo questa circostanza debba essere interpretata, è tutt’altro che ovvio. Ma il fatto resta. E solleva una domanda: non sarà che il nostro modello di civiltà, basato sull’espansione illimitata dei consumi e dei diritti individuali, contenga in sé un difetto di fabbricazione, una sorta di vizio nascosto?




Da Palermo a Napoli: a proposito degli stupri di gruppo

  1. Inferno nel parco verde di Caivano. Vittime sono delle bambine di 10 e 12 anni. Sembrava che il caso di Palermo fosse stato l’ultima storia di stupri. Siamo in un Paese malato?

Sì, ovviamente. Ma in Europa, e più in generale in occidente, sono tanti i paesi in cui i femminicidi, o gli stupri, o entrambi i reati sono più frequenti che in Italia. Anche le civilissime Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Olanda hanno numeri inquietanti. Come la mettiamo?

  1. Già, come la mettiamo?

Forse è giunto il momento di farci la domanda cruciale: non siamo ancora abbastanza civili, o è il nostro tipo di civiltà che rende endemica la violenza sulle donne?

  1. Lei come risponde?

Propendo per l’idea che la nostra civiltà, che si basa sempre più su un mix sbilanciato fra diritti e doveri (tutto a favore dei diritti individuali), sia sempre meno capace di contenere le pulsioni individuali. Abbiamo un bel criticare il patriarcato, ma dimentichiamo che il padre non è solo il maschio-bianco-eterosessuale prepotente che sottomette la povera femmina indifesa, ma è anche il super-io che limita le richieste dell’es. Siamo in una “società senza padre”, come aveva profetizzato Alexander Mitscherlich fin dall’inizio degli anni ’60 con il suo libro omonimo (Verso una società senza padre, uscito nel 1963), e questo significa necessariamente due cose complementari, che non possono andare l’una senza l’altra: più libertà, ma anche meno freni.

  1. Quali sono, a suo parere, i motivi che spingono i giovani verso comportamenti così inspiegabili?

Veramente io non li trovo inspiegabili. Direi anzi che sono spiegabilissimi, e sono solo la punta dell’iceberg. A quel che risulta da alcune indagini statistiche, per ogni stupro denunciato ve ne sono almeno 10 non denunciati. Senza contare tutti i casi di prevaricazione sessuale, ai confini dello stupro. La spiegazione ovviamente non può essere condensata in una formula, ma credo che il fattore più importante, la matrice di tutto, sia la completa mancanza di una “educazione sentimentale”, per usare un termine ottocentesco. Dove per educazione sentimentale intendo un percorso lungo e accidentato di avvicinamento al sesso, un percorso che aveva nel pudore e nell’arte del corteggiamento i suoi caposaldi.

Quello che la mia generazione e quella successiva non paiono aver compreso è che la liberazione da ogni inibizione e da ogni autorità ha ottime ragioni dalla sua parte, ma ha anche un costo. Se i genitori non fanno più i genitori, se la scuola diventa ostaggio delle famiglie, se le istituzioni rinunciano a esercitare l’autorità, certo che si vive in una società più tollerante e meno repressiva, ma non ci si può stupire che una frazione della gioventù sia senza freni, e lo sia molto precocemente. E non importa dove: può essere nei quartieri chic di una grande città, come in una periferia degradata ostaggio della criminalità organizzata

  1. Quanto influiscono i social?

Direi che sono decisivi. I media, piuttosto ingenuamente, parlano della scuola e dell’università come luoghi di competizione sfrenata, dove l’ansia da prestazione divorerebbe una gioventù fragile e infelice, tentata dal suicidio. Non si accorgono che la competizione c’è, ma non è per ottenere buoni voti, bensì per eccellere nel gruppo dei pari, massimizzando il numero di like, facendo circolare video più o meno spinti (il cosiddetto sexting), compiendo gesta clamorose: atti vandalici, risse di strada, scippi, stupri individuali e di gruppo. Ragazzi e ragazze sono sottoposti a una pressione mostruosa per evitare lo stigma di compagni e amici, l’incubo di non essere nessuno.

  1. I ragazzi di oggi sono più violenti di quelli di ieri?

Probabilmente sì, ma io userei un altro termine: direi più spregiudicati.

  1. Le istituzioni cosa possono fare rispetto a quanto si sta verificando?

Qui voi vi aspettate la ricetta del sociologo. Ma, proprio come sociologo, vi rispondo: quasi nulla. Inutile aumentare le pene, se poi lo stupratore non finisce in carcere, o ci resta poco. Patetico dire che deve cambiare la mentalità, che è un problema culturale, che bisogna educare. Educare? Adesso ce ne accorgiamo? C’è bisogno di uno stupro di gruppo per farci accorgere che non lo facciamo più da mezzo secolo?

  1. Non le sembra che il dibattito politico affronti questioni marginali, ignorando le problematiche vere del Paese?

Non credo che le questioni affrontate dalla politica siano marginali, semmai il problema è che le “problematiche vere” (compresa la violenza sulle donne) sono troppe.

[intervista uscita su L’Identità il 27 agosto 2023]