Le differenze fra culture esistono e la nostra si è evoluta più di altre

Il caso di Saman Abbas ha riproposto nel dibattito una questione più generale: il confronto fra civiltà. Prendo come esempio le parole di Goffredo Buccini sul Corriere della Sera del 6 giugno: “Questa storia è dunque l’occasione per….”

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Legge Zan: abroghiamo i reati di opinione

Ferve il dibattito sulla cosiddetta legge Zan. Il vero problema è costituito però dall’art. 604 bis del codice penale a cui la proposta rinvia per integrarla.

È di tutta evidenza infatti che non vi è ragione logica e giuridica per non estendere la tutela prevista dal codice penale agli atti di violenza o di discriminazione per motivi sessuali, visto che giustamente questo tipo di atti è già represso laddove siano causati da motivazioni razziali, etniche, nazionali, religiose. Il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione non solo legittima, ma impone la suddetta estensione della portata dell’art. 604 bis c.p.

Il vero problema è l’eccessivo ambito applicativo di detto articolo. Un conto sono infatti gli atti di violenza ovvero gli atti discriminatori che hanno una loro manifesta e immediata concretezza. È pure condivisibile sanzionare l’incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, e ovviamente sessuali, data la evidenza e normale inequivocità del comportamento represso. Sarebbe semmai opportuno inserire anche i motivi politici. Incitare alla violenza contro chi non la pensa come te non è accettabile in un Paese democratico.

Completamente diverso è invece l’incitamento o la istigazione a commettere atti di discriminazione per motivi fondati su religione, razza, nazione, sesso, genere etc. È opportuno fare qualche esempio.

Se qualcuno dovesse affermare che certe interpretazioni radicali dell’Islam, ancorché non dichiarate fuorilegge, sono pericolose e vanno contrastate, alla luce di una interpretazione letterale dell’art.604 bis, potrebbe essere oggi denunciato per istigazione alla discriminazione religiosa. Se poi dovesse anche affermare che all’interno di talune comunità etnicamente caratterizzate la illegalità è molto diffusa, potrebbe essere pure perseguito per incitamento alla discriminazione etnica. Con il progetto di legge “Zan” il rischio di una denuncia potrebbe correrlo anche chi dovesse sostenere che l’unica famiglia degna di essere incoraggiata con provvidenze economiche è quella fondata sull’unione fra due persone di sesso diverso: da questa premessa taluno potrebbe facilmente dedurre che si vuole istigare a discriminare sulla base degli orientamenti sessuali.  Persino criticare l’utero in affitto, da parte di chi intendesse seguire dettami religiosi, potrebbe dar luogo quanto meno a denunce penali.

L'”incitamento alla discriminazione” costituisce qualcosa di magmatico e di indefinito che necessita sempre di una precisazione interpretativa, lasciando ampio arbitrio alle valutazioni soggettive del Pubblico Ministero e del Giudice.

Tutto ciò è certamente intollerabile perché rischia di violare il principio della libera manifestazione del pensiero. Di ciò si rende ben conto lo stesso legislatore che all’articolo 4 è costretto a riconoscere (bontà sua) che è consentita la libera espressione di convincimenti od opinioni, introducendo peraltro una inaccettabile previsione ulteriore: “sono fatte salve le condotte legittime purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori”. Si puniscono condotte “legittime” (SIC!) sulla base del semplice rischio che possano determinare atti discriminatori: una norma da Stato autoritario. Questo articolo va certamente riscritto.

La ulteriore, grave conseguenza di questa discrezionalità interpretativa sarebbe la differenza di trattamento da procura a procura e da tribunale a tribunale. Le citate affermazioni del codice penale introducono cioè margini di discrezionalità tali che possono determinare incertezza del diritto e violazione del principio di eguaglianza.

Insomma, prima di discutere la legge Zan, appare prioritaria una modifica dell’art. 604 bis c.p. nella parte in cui porta a reprimere la “istigazione a commettere atti di discriminazione”.

Pubblicato su Libero del 7 maggio 2021




Draghi manterrà la promessa di rendere accessibili i dati sull’epidemia?

Pubblichiamo di seguito il comunicato ANSA in cui si dà notizia della richiesta di accesso ai dati sull’epidemia, avanzata dal prof. Giuseppe Valditara a nome dell’associazione Lettera 150.

(ANSA) – ROMA, 22 FEB – Tornano a chiedere la trasparenza sui dati relativi alla pandemia di Covid-19 in Italia, gli oltre 300 docenti che fanno capo a Lettera 150, il think tank nato durante il primo lockdown per proporre soluzioni efficaci contro l’epidemia e per la ricostruzione del Paese. Lo fanno in un appello al presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Risale all’11 gennaio scorso la prima richiesta di trasparenza sui dati relativi ai 21 indicatori sulla base dei quali ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità (Iss) analizzano la situazione del Paese e sulla base dei quali vengono assegnati alle regioni i diversi colori che corrispondono alle misure restrittive. “Abbiamo presentato al ministero un’istanza di accesso agli atti, ma non abbiamo avuto risposta”, dice all’ANSA il giurista Giuseppe Valditara, fondatore di Lettera 150.

L’istanza chiedeva di rendere accessibili gli indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio (come il numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data di inizio dei sintomi e la storia del ricovero), quelli relativi alla capacità di accertamento diagnostico e alla gestione dei contatti (come l’intervallo di tempo dall’inizio dei sintomi e la diagnosi) e quelli relativi a stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari (come il numero dei nuovi focolai e dei nuovi casi non associati a catene di trasmissione note).

“Quindi abbiamo presentato un ricorso al Tar del Lazio per chiedere che disponga l’ordine di esibire i dati. Lanciamo ora un appello al presidente Draghi, nel quale nutriamo fiducia.

Abbiamo apprezzato – prosegue Valditara – il passaggio dell’intervento alla Camera nel quale il presidente del Consiglio ha sottolineato che la trasparenza è un elemento fondamentale delle istituzioni e dei governi e che il governo deve mettere a disposizione della comunità tutti i dati”.

A Draghi Lettera 150 chiede adesso “di passare dalle parole ai fatti”. Secondo Valditara “il governo ha un’ottima occasione per dimostrare la trasparenza che Draghi ha definito fondamentale, mettendo a disposizione della comunità scientifica tutti i dati che supportano i 21 indicatori utilizzati dal ministero della Salute”.

Valditara osserva che la richiesta di trasparenza è stata avanzata anche da altre voci autorevoli della comunità scientifica italiana, come l’Accademia dei Lincei, e la stessa Lettera 150, con la Fondazione Hume, aveva promosso una petizione che ha raccolto 40.000 firme, “ma senza ricevere alcuna risposta dal precedente governo”.

Al presidente Draghi si chiede ora di andare incontro alla richiesta di trasparenza, anche “per non vedere un governo che venga costretto ad esibire i dati richiesti da un provvedimento del Tar. Accesso ai dati e trasparenza – conclude Valditara – sono fondamentali perché l’opinione pubblica sia informata correttamente e la comunità scientifica abbia tutti gli elementi per studiare il fenomeno e suggerire le soluzioni migliori”.

 

(ANSA, 22-FEB-21)




Vaccini, la scienza non è corifeo del Potere

Due cose mi hanno infastidito della polemica nata attorno alle parole di Andrea Crisanti: 1. il conformismo al limite del pensiero unico del potere politico e della stampa; 2. la pretesa immaturità del popolo italiano.

Crisanti, che non è un negazionista, un no vax e tantomeno uno scienziato sprovveduto, ha fatto una dichiarazione corretta: prima di esprimermi su questi vaccini voglio vedere i dati. È quanto ha dichiarato anche un altro scienziato, tutt’altro che mediocre, Alberto Mantovani: per Crisanti «massimo rispetto scientifico». E pure lui invita alla «cautela» sui vaccini anti Covid,  «perché non si sono visti i dati, saranno sottoposti a un’autorizzazione d’emergenza e bisogna vedere cosa succederà». Per l’immunologo dell’Humanitas nelle parole di Crisanti «vanno colti elementi costruttivi come la necessità e il rispetto dei dati».

Non diverso il parere di Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano: “Sono dello stesso parere di Crisanti, purtroppo mancano le pubblicazioni per poter dare un giudizio”.

E ancora: “Le industrie stanno facendo dei comunicati che non sono molto positivi perché danno l’impressione alla gente che ci sia una specie di gara e questo non può generare fiducia. Bisogna che pubblichino i dati e poi potremo dire la nostra, sono relativamente ottimista, sono favorevole a farmi vaccinare ma voglio vedere i dati naturalmente, senza vedere i dati è impossibile dare un giudizio”.

E anche Massimo Galli, che non è affatto uno sciocco, un superficiale o uno sprovveduto, si è espresso in maniera analoga a quella di Crisanti: “Vaccino anti-covid? La posizione di Crisanti, che ha tutta la mia stima, è stata molto travisata. Era seccato di continuare a vedere annunci sul vaccino attraverso i media e non dati concreti. Siamo tutti un po’ indispettiti dalla politica degli annunci. Continuiamo a vedere annunci e continuiamo a non vedere dati. E continuiamo anche a vedere una gara a chi ha il vaccino migliore. Se questa fosse una gara nei fatti e nei numeri e non solo negli annunci, sarebbe una bellissima cosa”.

Del resto pure all’estero si chiede trasparenza sui dati. Peter Doshi, sul prestigioso British Medical Journal, scrive, per esempio, a proposito dei vaccini anti Covid: “Solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno un processo decisionale informato. I dati devono essere resi pubblici”.

Da ultimo Guido Rasi, fino a pochi giorni fa direttore dell’EMA, l’agenzia europea del farmaco, ha dichiarato: “Sui vaccini finora dalle aziende farmaceutiche numeri da bar sport”. E ancora: “Nonostante i comunicati stampa, le ditte non hanno ancora sottomesso i dati alle autorità regolatorie. Fra le informazioni che mancano: si bloccano i sintomi o anche il contagio? È essenziale saperlo per capire a chi dare le prime dosi”.

Lo scienziato non ha il compito di aiutare la politica, o di rabbonire le masse, ma quello di sviluppare la critica e la ricerca della verità scientifica. Altrimenti non è un uomo di scienza ma un imbonitore. Insomma un ciarlatano. La stampa, piuttosto, come pure i suoi illustri e spesso strapagati commentatori, dovrebbe avere, in un Paese democratico, il ruolo di mosca cocchiera della verità, non di puntello di questo o quel governo o di amplificatore di luoghi comuni.

E veniamo al popolo italiano. Conte, Speranza e soci hanno il terrore che gli italiani si spaventino e che il vaccino sia un flop. Tutti noi auspichiamo invece che il vaccino sia sicuro ed efficace e che la campagna vaccinale abbia pieno successo.

Immagino però che prima di iniziare una campagna di vaccinazione di massa quei famosi dati saranno resi noti in tutta la loro completezza e adeguatezza e saranno attentamente vagliati dalle agenzie regolatorie internazionali. A quel punto delle due l’una: o siamo circondati da una massa di idioti belanti e allora il governo ha pur sempre il potere di usare la “forza” imponendo una vaccinazione obbligatoria. Oppure siamo un popolo maturo e le critiche costruttive degli scienziati avranno dato un bel contributo a non rendere sempre più opaca la gestione delle crisi nel nostro Paese.