I media, il coronavirus e i diritti dell’uomo

(1) Oggi, quello che siamo

     Amnesty International è riconosciuta, in modo curiosamente unanime, come la più importante istituzione al mondo nel campo dei diritti umani[1]; e la stampa italiana, per parte sua, è sempre stata d’accordo. Il Corriere della Sera la descrive come una “organizzazione non governativa internazionale a tutela di libertà, verità, giustizia e dignità”[2], niente meno; La Stampa usa toni simili[3]; Il Sole 24 Ore ne cita anche la nota di aprile 2021 sui rischi dovuti alle misure governative anti-Covid[4]; mentre La Repubblica ha prodotto, tra le altre cose, un’arringa sulla “promozione dei diritti umani” su cui l’Italia “è in prima linea”, con tanto di discorso di Mattarella nel giorno in cui Amnesty “pubblica il rapporto mondiale sui diritti umani”[5] (che mette i brividi, a leggerla oggi).

     Anche a livello quantitativo, come si vede dalla sommaria ricerca sintetizzata nella tabella 1, il riferimento ad Amnesty International negli ultimi anni è rimasto costante, nei news media italiani (in modo particolare nei casi della Repubblica e di Avvenire, presumibilmente per una certa convergenza tra laici e cattolici sul tema dell’immigrazione). In più Amnesty è stata usata non solo come fonte per tematizzare le violazioni dei diritti nei paesi lontani, ma anche a sostegno delle posizioni progressiste su fatti a noi più vicini: come il sequestro della Sea Watch, l’assassinio di Giulio Regeni, o la prigionia di Patrick Zaki.

 

Tabella 1. Articoli che menzionano Amnesty International in alcuni news media selezionati

Testata Fonte Numero di menzioni Periodo
Ansa www.ansa.it 284 1/1/2019-15/1/2022
Avvenire www.avvenire.it 536 1/1/2019-15/1/2022
Corriere della Sera www.corriere.it 269 1/1/2019-15/1/2022
Il Giornale www.ilgiornale.it 54 1/1/2019-15/1/2022
Open www.openline.it 182 1/1/2019-15/1/2022
La Repubblica www.repubblica.it 921 1/1/2019-15/1/2022
Il Resto del Carlino www.ilrestodelcarlino.it 250 1/1/2019-15/1/2022
Il Sole 24 Ore www.ilsole24ore.com 102 1/1/2019-15/1/2022
TgCom24 www.tgcom24.mediaset.it 92 1/1/2019-15/1/2022

Fonte: mia elaborazione

 

     È dunque singolare che nei nostri media, così sensibili ai diritti dell’uomo, non sia nemmeno affiorata la denuncia pubblicata da Amnesty International il 14 gennaio 2022, che, “con riferimento al contesto italiano, […] continua a sollecitare il governo ad ancorare i propri interventi a principi di legalità, legittimità, necessità, proporzionalità e non discriminazione”. In breve, Amnesty individua quattro problemi, che mettono a rischio i diritti umani in Italia, e che rimandano alla durata abnorme dello stato di emergenza; all’esclusione dei non vaccinati dal lavoro e dai servizi essenziali; alla scadenza imprecisata del Green Pass; e infine al divieto di manifestare contro il governo[6]. Ora, una presa di posizione di tale portata – la più grande organizzazione per i diritti civili che mette sotto accusa il Paese – dovrebbe ragionevolmente meritare grande spazio, negli organi di informazione. E infatti, puntualmente, è stata ripresa in modo sommario e sbrigativo solo da tre testate tutt’altro che egemoni – L’Indipendente[7], Il Tempo[8] e L’Arena[9] – e per il resto sfacciatamente ignorata.

     D’altronde non c’è praticamente nulla, ma davvero nulla, su cui i media non abbiano mentito: sulla scientificità del lockdown; sul fantomatico modello italiano; sull’accordo nella comunità scientifica; sulla temporaneità delle misure, che tanto temporanee non erano; sui protocolli di cura; sull’eresia dei medici che usavano anti-infiammatori e monoclonali (e che, si scopre oggi, avevano ragione); sulla contagiosità dei vaccinati; sullo scopo del Green Pass – perché se fosse la limitazione del contagio sarebbe stato ritirato, proprio per il motivo di cui sopra. Ora, sappiamo come funzionano queste cose: col tempo le carte verranno rimescolate, le proporzioni diventeranno sfocate, ogni sostenitore del lockdown negherà di esserlo mai stato, e verrà messa a regime la più banale delle morali – che ci si basava sulle conoscenze del momento; che non c’erano alternative a quello che è stato fatto; e che allora la pensavamo tutti alla stessa maniera. Ma dato che così non è, e così non è mai stato, tenere a mente quello che è successo è un passaggio necessario, se speriamo di ricondurre la nostra esistenza collettiva a qualche residuo di civiltà. E per questo, il primo sforzo richiesto è quello di chiamare le cose col loro nome, come visto con Amnesty: violazioni dei diritti dell’uomo.

 

(2) Ieri, quello che si poteva fare

     Come tutti gli studiosi di grande fama scientifica – a partire da John Ioannidis – Harvey Risch, epidemiologo di Yale, è del tutto sconosciuto al pubblico italiano, a cui i media hanno presentato come esperti un grottesco carrozzone di studiosi di basso profilo, tutti specializzati in ben altro. Non a caso, Ioannidis ha pubblicato diverse ricerche che indicano l’inutilità delle misure di contenimento di massa[10], e Risch, per parte sua, ha assunto una posizione ben più critica: che il Sars-Cov-2 metta in pericolo solo alcune fasce di popolazione lo abbiamo capito subito, ha detto, ma i media e i governi lo hanno usato impropriamente per generare un clima di allarme generale[11] .

     Che le chiusure non abbiano utilità per il contenimento del contagio, peraltro, è una tesi sostenuta da un gran numero di scienziati. Ne è un esempio la Great Barrington Declaration, scritta il 4 ottobre 2020 da tre epidemiologi di buona fama: Martin Kulldorff, di Harvard; Jayanta Bhattacharya, di Stanford; e Sunetra Gupta, di Oxford[12]. La loro proposta è quella di concentrare l’attenzione sulla popolazione a rischio, dedicando a loro le risorse per le cure e l’assistenza domiciliare – la cosiddetta “protezione focalizzata” – lasciando che chi corre statisticamente pochi rischi faccia quello che ha sempre fatto, così da immunizzarsi attraverso il contagio naturale, ed evitare le catastrofiche conseguenze di misure come il lockdown.

     Ad oggi, la Dichiarazione di Great Barrington è stata firmata da oltre 46000 medici e più di 15600 scienziati, tra cui Alexander Walker e Sylvia Fogel di Harvard; Laura Lazzeroni e Michael Levitt di Stanford; Udi Qimron, Motti Gerlic, Ariel Munitz ed Eitan Friedman della Tel Aviv University; Jonas Ludvigsson della Örebro University; Tom Nicholson di Duke; David Katz di Yale; Lisa White di Oxford (insomma, poteva andare peggio). Non stupitevi se non avete mai sentito parlare, però: perché i media italiani hanno fatto tutto il possibile per tenere nascosta la cosa, come mostra la tabella 2.

 

Tabella 2. Menzioni della GBD nei news media italiani [i sette Tg generalisti di prime time e i primi venti quotidiani per diffusione]

Testata Periodo considerato Numero di edizioni Numero di menzioni
Tg1 5/10/20-27/2/2021 145 0
Tg2 5/10/20-27/2/2021 145 0
Tg3 nazionale 5/10/20-27/2/2021 145 0
Tg4 5/10/20-27/2/2021 145 0
Tg5 5/10/20-27/2/2021 145 0
Studio Aperto 5/10/20-27/2/2021 145 0
Tg La7 5/10/20-27/2/2021 145 0
Avvenire 5/10/20-16/1/2022 468 1
Corriere della Sera 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Fatto Quotidiano 5/10/20-16/1/2022 468 4
Il Gazzettino 5/10/20-16/1/2022 468 0
Il Giornale 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Giornale di Sicilia 5/10/20-16/1/2022 468 0
Il Giorno 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Mattino 5/10/20-16/1/2022 468 0
Il Messaggero 5/10/20-16/1/2022 468 0
Il Piccolo 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Resto del Carlino 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Secolo XIX 5/10/20-16/1/2022 468 0
Il Sole 24 Ore 5/10/20-16/1/2022 468 1
Il Tempo 5/10/20-16/1/2022 468 0
Italia Oggi 5/10/20-16/1/2022 468 1
La Nazione 5/10/20-16/1/2022 468 1
La Repubblica 5/10/20-16/1/2022 468 3
La Stampa 5/10/20-16/1/2022 468 1
Libero 5/10/20-16/1/2022 468 0
L’Unione Sarda 5/10/20-16/1/2022 468 0

 

Totale   10375 17

Fonte: elaborazione su dati dell’Università IULM e dell’Osservatorio di Pavia

     Il numero totale di menzioni, diciassette, è risibile ma perfino sovradimensionato, dato che le tre testate di Quotidiano Nazionale rimandano allo stesso editoriale – così di articoli che ne parlano ce ne sono in effetti quindici. Né, già che ci siamo, i contenuti di questi articoli sono particolarmente leali: Avvenire scrive di un documento promosso da una fondazione di studi economici, dimenticando di dire – ma che volete che sia – che gli autori sono tre epidemiologi[13]; e La Stampa stigmatizza l’idea di protezione focalizzata come un “inquietante apartheid anagrafico”[14] (mentre non si tratterà di apartheid anagrafico, chissà perché, nel caso dell’obbligo vaccinale per gli over 50).

     Non si tratta qui di discutere del merito della GBD, su cui ognuno la pensa come vuole: ma di prendere atto del regime di menzogne e mistificazione costruito dai media, in Italia come in alcuni altri paesi. Semplicemente, non è vero che la comunità scientifica fosse concorde sull’utilità del lockdown; e non è vero che non esistessero alternative. Non stupisce nemmeno troppo, allora, il contenuto delle e-mail di Anthony Fauci e Francis Collins, i due uomini a capo della sanità degli Stati Uniti, pubblicate grazie al Freedom of Information Act (una di quelle cose che dovremmo semplicemente copiare, anziché vantarci di avere inventato il diritto). Dato che la Dichiarazione sta “guadagnando una certa notorietà” dopo la firma di Mike Levitt – scrive Collins a Fauci – è necessario organizzare una “campagna veloce e devastante” di delegittimazione[15]. Pochi giorni dopo, Collins detterà la linea del potere alla stampa, citando la stessa espressione – “fringe epidemiologists”, nulla più di una frangia marginale – che aveva usato nelle e-mail private. Ora, che gli epidemiologi degli atenei più accreditati del mondo siano fringe è semplicemente assurdo, ed emerge qui la natura tutta politica del colpo di mano che alcune istituzioni hanno operato: censurando le voci alternative, oscurando il dibattito scientifico, prendendo possesso dei media, e definanziando gli studiosi non allineati. Lo ha riconosciuto infine, ma tardivamente, il Wall Street Journal, accusando Fauci di avere “intenzionalmente vilipeso e cestinato” la Great Barrington Declaration, per nessun altro scopo che il proprio potere.

Anziché tentare di manipolare l’opinione pubblica, il lavoro degli ufficiali sanitari è offrire la loro migliore consulenza scientifica. Non dovrebbero comportarsi come politici o censori, e quando lo fanno, dilapidano la fiducia del pubblico[16].

     Due degli autori della GBD, Bhattacharya e Kulldorff, hanno preso la parola a loro volta, per commentare la “rapida e devastante rimozione” della loro tesi concordata da Fauci e Collins[17]. La campagna di delegittimazione ha certamente coinvolto alcune autorità sanitarie inglesi – in particolare Jeremy Farrar e Domenic Cummings – che hanno contribuito ad organizzare “un’aggressiva campagna di stampa contro coloro che stanno dietro la Dichiarazione di Great Barrington e altri contrari alle restrizioni generali del COVID-19”[18]. Il breve scritto di Kulldorff e Bhattacharya vale il tempo della lettura, comunque, per la chiarezza con cui illustra la natura arbitraria, classista ed anti-scientifica del lockdown e della chiusura delle scuole; ma anche per come denuncia il peso dei grandi finanziatori sulla libertà e sulla dignità della ricerca. Non è un caso che gli scienziati che si sono prestati ad andare in televisione – e non solo in Italia, come mostrato da un’agile ricerca di Ioannidis[19] – non siano mai quelli più accreditati nella comunità accademica, che hanno dalla loro un’autonomia ed un onore da difendere. Ed è chiaro che con i responsabili di tutto questo – nei media come nella comunità scientifica – dovremo fare i conti a lungo.

 

(3) I conti col dissenso

     Nel frattempo, la strategia dei media è stata aggiornata. Forse perché nascondere il dissenso è diventato impossibile; forse perché bisogna vendere agli inserzionisti una porzione di audience in più – come che sia, la presenza di voci critiche contro il Green Pass è diventata costante nei talk show, molto più di quanto fosse quella degli oppositori del lockdown, del coprifuoco e delle zone rosse, che di fatto non sono mai stati rappresentati. Ma anziché allargare il raggio della discussione, questo ha prodotto una nuova situazione drammatica, e perfino una nuova forma simbolica: la messa in scena della punizione dei dissidenti.

     Non è un caso, temo, che di spazio per le voci critiche ce ne sia molto poco nei quotidiani: dove un punto di vista, per quanto marginalizzato e confinato in un taglio basso all’interno, mantiene la propria autonomia e compiutezza. È invece nei talk show che i contrari al lasciapassare sono invitati spesso: proprio con lo scopo di attaccarli, offenderli, metterli all’angolo, per mezzo di un’aggressione di gruppo che assume nel migliore di casi i toni del bullismo, se non quelli dello squadrismo. Così Maddalena Loy – un raro esempio di giornalista non sottomessa al governo – è stata derisa da Bianca Berlinguer e Bruno Vespa per aver affermato che i vaccinati si contagiano: cioè quello che di lì a breve sarebbe stato riconosciuto da tutti. Un medico ed un giornalista (Matteo Bassetti e Luca Telese) avevano fatto lo stesso contro Mariano Amici, trattandolo letteralmente come un pazzo. Alberto Contri è stato provocato con una raffica di offese e attacchi personali che sarebbero inqualificabili in una lite al ginnasio. Francesco Borgonovo è stato assalito mentre cercava di venire a capo di una questione tremenda – che i giornalisti fanno finta di non vedere – quale l’esclusione dei non vaccinati dalle cure ospedaliere. Giovanni Frajese viene regolarmente invitato e regolarmente sepolto da accuse pretestuose; per quanto mostri una surreale capacità di autocontrollo. A Paolo Gibilisco, un matematico con cui condivido la mozione contro il green pass nelle università[20], il vice-ministro Sileri ha detto che il governo gli sta rendendo la vita impossibile – sì, ha detto proprio così, senza essere costretto alle dimissioni – perché chi non rispetta le regole è pericoloso.

     Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi, ma è più interessante ragionare sulla funzione di questo script: mettere in scena l’aggressione alla minoranza; mostrare a tutti cosa succede – in piccolo, negli studi televisivi; in grande, nell’Italia del 2022 – a chi non si allinea alle volontà del governo. Sono ormai caduti, infatti, tutti gli orpelli e gli argomenti di facciata, inclusi quelli medici, e siamo arrivati infine alla radice del discorso, all’osso del problema – al potere quale “segreta, inquietante, ultima cosa”, volendo citare Carl Schmitt[21]. Tutto qua, nudo e semplice, depurato della sua poco plausibile legittimazione medica, il discorso dei media: esistono due cose e due cose soltanto, l’obbedienza oppure la persecuzione. Intendiamoci, la cosa non riguarda soltanto i media, e anzi in tutti gli ambiti del mondo sociale è caduto l’ultimo velo, quello della presunzione di legittimità formale: tanto che i parlamentari positivi al Sars-Cov-2 – che dovrebbero essere in quarantena – vanno a votare per l’elezione del Presidente della Repubblica, mentre non possono farlo i parlamentari non vaccinati. E il mondo intellettuale non sta tanto meglio, vista la moderata reazione del Presidente della Conferenza dei Rettori alla nostra raccolta di firme contro il Green Pass: l’università italiana ha soltanto una linea, ed è quella del governo[22] (che è una frase quintessenzialmente fascista, al di là del fatto che la CRUI non ha alcun titolo per parlare a nome dell’università). Quello che pochi di noi hanno intravisto da subito[23], è ormai conclamato ed evidente – e più chiaro di così, non potrebbe essere. Se ci sono ancora donne e uomini liberi, là fuori, è tempo che si facciano sentire; iniziando a chiamare le cose col loro nome.

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[1] Ad esempio R. Takhur, Human Rights: Amnesty International and the United Nations, “Journal of Peace Research”, 31, 2, 1994, 143-160.

[2] Dodici mesi di buone notizie, Amnesty International e le battaglie vinte, “Corriere della Sera”, 1 gennaio 2022.

[3] M. Tagliano, In piazza Martiri a Cervo una pianta per i sessant’anni di Amnesty International, “La Stampa”, 7 dicembre 2021.

[4] R. Bongiorni, Rapporto Amnesty: quando la Pandemia travolge gli ultimi diventa un’alleata dei regimi, “Il Sole 24 Ore”, 7 aprile 2021.

[5] Mattarella, “Promozione dei diritti umani imperativo etico. Italia in prima linea”, “la Repubblica”, 10 dicembre 2018.

[6] Amnesty International, Posizione di Amnesty International Italia sulle misure adottate dal governo per combattere il covid-19, 14 gennaio 2022, https://www.amnesty.it/posizione-di-amnesty-international-italia-sulle-misure-adottate-dal-governo-per-combattere-il-covid-19/.

[7] Amnesty all’Italia: emergenza deve finire, non discriminare i non vaccinati, “L’Indipendente”, 15 gennaio 2022.

[8] Vaccino, green pass e stato d’emergenza: anche Amnesty International denuncia discriminazioni, “Il Tempo”, 14 gennaio 2022.

[9] Amnesty: “Spingere sui vaccini, ma obbligo ultima risorsa. No a Super Green Pass per lavoro e trasporti”, “L’Arena”, 15 gennaio 2022.

[10] Ad esempio V. Chin, J. Ioannidis & altri, Effects of non-pharmaceutical intervention on COVID-19: A Tale of Three Models, “MedRxiv”, 10 dicembre 2020, doi.org/10.1101/2020.07.22.20160341; E. Bendavid, J. Ioannidis & altri, Assessing mandatory stay-at-home and business closure effects on the spread of COVID-19, “European Journal of Clinical Investigation”, 51, 4, 2021.

[11] I. van Brugen & J. Jekielek, COVID-19 a Pandemic of Fear “Manufactured” by Authorities: Yale Epidemiologist, “The Epohc Times”, 5 dicembre 2021.

[12] https://gbdeclaration.org. Corretto precisare che ho firmato anche io la GBD, ovviamente a titolo personale.

[13] R. Colombo, Contenere il coronavirus senza ampliare le disparità, “Avvenire”, 21 ottobre 2020.

[14] E. Tognotti, L’inquietante apartheid anagrafico, “La Stampa”, 30 ottobre 2020.

[15] Jay Bhattacharya su Twitter, 18 dicembre 2021, https://twitter.com/DrJBhattacharya/status/1471986453823459330.

[16] How Fauci and Collins Shut Down Covid Debate, “Wall Street Journal”, 21 dicembre 2021.

[17] J. Bhattacharya e M. Kulldorff, The Collins and Fauci Attack on Traditional Public Health, “The Epoch Times, 2 gennaio 2022.

[18] M. Kulldorff e J. Bhattacharya, The smear campaign against the Great Barrington Declaration, “Spiked Online”, 2 agosto 2021.

[19] J. Ioannidis, A. Tezel e R. Jagsi, Overall and COVID-19 specific citation impact of highly visible COVID-19 media experts: bibliometric analysis, “British Medical Journal”, 2021, doi:10.1136/ bmjopen-2021-052856.

[20] https://nogreenpassdocenti.wordpress.com.

[21] C. Schmitt, Nomos, presa di possesso, nome [1959], in Stato, grande spazio, nomos, Milano, Adelphi, 2015, p. 339.

[22] C. Caruso, “L’università sta con il governo. No ai manifesti anti green pass”. Parla il capo dei rettori, “Il Foglio”, 8 settembre 2021.

[23] A. Miconi, Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.




Il tempo delle varianti, o il re-framing dell’emergenza infinita

“Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante testo del prof. Miconi, anche se alcune analisi appaiono in contrasto con quelle della Fondazione Hume”

Voce del verbo “variare”

Per discutere del mio tema – come i media operano il framing e re-framing della cronaca – inizierò dalle basi. Variante, sostantivo femminile derivato dal participio presente del verbo “variare”, è un termine di per sé neutro: indica, vuole la Treccani, una “modificazione rispetto a un esemplare o tipo che si considera fondamentale”; e “ciascuna delle diverse forme, dei diversi aspetti con cui una cosa si può presentare rimanendo sostanzialmente identica”[1]. Nella biologia dei virus, la variazione è un fatto altrettanto ordinario: la loro diffusione è scritta da una serie continua di errori di replicazione, che possono cambiarne la morfologia. Perfino l’Istituto Superiore di Sanità – perché tutto è lì, sotto i nostri occhi – ci fa sapere che “i virus, in particolare quelli a RNA come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma”[2]. Quanto al virus di oggi, la cautela è necessaria: perché la situazione non deve sfuggire di mano, e su questo siamo tutti d’accordo. Dall’altro lato, il buonsenso scientifico ci ricorda però una cosa: che di norma, tra le varianti di un virus, quella che si diffonde più velocemente è quella meno aggressiva, che produce danni minori all’organismo. E questo per una evidenza della teoria dell’evoluzione, spiegata da quel magnifico divulgatore che è Richard Dawkins: lo scopo del virus, per così dire, è quello di usare gli organismi cellulari per riprodursi, e quindi le forme che uccidono l’animale ospite finiscono per circolare di meno[3] [presumo che sia la ragione della scarsa diffusione di Ebola, che colpisce come il serpente dei tre passi]. Tra una necessaria vigilanza e un sano ottimismo, nel regno di mezzo del buonsenso possiamo concludere che al momento non c’è ragione di preoccuparsi più di tanto [al momento: se le cose cambieranno, vedremo]. E allora, perché parlare così tanto di varianti?

Per chi si occupa di ricerca sui media, come me, questo è un caso di scuola di propaganda su grande scala: improvvisamente, da un giorno all’altro, tutti gli organi di informazione iniziano a parlare di varianti – anche se il virus è sempre stato soggetto a mutazioni, e lo era quindi anche l’anno scorso. In più, la martellante campagna di opinione parla di allarme relativo alle varianti, anche se al momento – ripeto: al momento – non si vedono troppe ragioni per farlo. E d’incanto, con la soluzione più banale che ci sia – parlare solo e sempre di varianti, associandole in modo esplicito o surrettizio alla morte – manipolazione è fatta: il problema sono le varianti, di per sé; e nessun punto di vista alternativo è ammissibile. Per l’ennesima volta, grazie alla consonanza più che sospetta delle diverse fonti, la spirale del silenzio si è chiusa[4]. Tutto questo, per essere chiari, non implica alcuna valutazione sullo stato dell’epidemia, che non sono in grado di giudicare, né sulla pericolosità delle varianti, su cui non so nulla. Quello che sto discutendo, viceversa, è il clima di terrore sostenuto dai media, che a forza di allarmi – ogni variante è quella più letale; le due settimane a venire sono sempre quelle peggiori – finiscono per generare un rigetto inevitabile, e rendere la vita difficile a chi ha qualcosa di serio da divulgare. La sconcertante campagna di stampa sugli effetti del vaccino Astra Zeneca ne è la conferma più ovvia, e, quello che più conta, ha prodotto danni incalcolabili per la campagna di immunizzazione.

L’altro ramo della domanda riguarda il perché proprio ad un certo momento, visto che le mutazioni del virus esistevano anche prima – salvo che chi le evocava veniva bollato come negazionista, proprio perché alludeva logicamente ad una plausibile riduzione della letalità, e non sia mai [già, ve lo ricordavate?]. E dunque, è un caso che proprio ora si sia sprigionato il racconto delle varianti, quando le persone hanno smesso di essere spaventate dal virus, e hanno capito come conviverci, con prudenza ma appunto con l’intenzione di vivere? Che tutta la stampa, all’unisono, inizi a raccontare la stessa versione, come se – ma ovviamente è un esempio paradossale, non prendetelo alla lettera – qualcuno dall’alto istruisse i direttori delle testate su cosa fare? Che tanti personaggi si prestino ad alimentare questo clima, da medici che parlano di emergenze smentite dal loro stesso ospedale, a scienziati che vagheggiano di numeri inesistenti?

Lo dice la scienza?

Ora, le previsioni sugli effetti delle varianti le conosciamo a memoria, perché la stampa ha lanciato la solita gara al rialzo tra esperti più o meno improvvisati: Massimo Galli, Giorgio Gilestro, Nino Cartabellotta, Walter Ricciardi, Ilaria Capua, Giorgio Parisi, Andrea Crisanti, perfino uno studente di economia di nome Lorenzo Ruffino [nessuno dei quali, guarda caso, specializzato in epidemiologia]. Al di là delle sfumature, il messaggio era univoco: a marzo la variante farà danni maggiori del virus madre, ucciderà anche i giovani, e in due settimane – le solite, eterne due settimane a venire – avremo 50.000 contagi e 1500 morti al giorno. Parrebbe, insomma, che gli esperti siano selezionati in funzione della loro adesione alla dottrina del lockdown, più che delle loro competenze.  La prova, fin troppo facile, è che nessuno spazio è concesso a epidemiologi di profilo internazionale, che da tempo denunciano le chiusure come una follia: Sunetra Gupta e Lisa White di Oxford; John Ioannidis e Jay Battacharia di Stanford; Didier Raoult di Aix-Marseille; Martin Kulldorff di Harvard [come potete notare, tutti atenei di poco conto, a cui è normale non dare risalto]. Al punto che la Dichiarazione di Great Barrington – il manifesto contro il lockdown dell’ottobre scorso, firmato da 13700 scienziati – non è stata mai citata, come risulta dalla ricerca che stiamo svolgendo con l’Osservatorio di Pavia, dai telegiornali italiani. Voglio ripeterlo: in cinque mesi, tra tutti i telegiornali mainstream – che non parlano altro che di Covid – nessuno ha mai citato, nemmeno una volta, la posizione in materia di alcuni dei più accreditati epidemiologi del pianeta. E anche nei nostri quotidiani, di Covid-19 può parlare chiunque assecondi l’allarme, che siano igienisti, fisici, romanzieri, matematici, veterinari, gastroenterologi, statistici, e perfino studenti di economia; ma gli epidemiologi di Oxford e di Harvard no, loro non hanno titolo per intervenire. I nostri esperti, invece, più sbagliano e più sono chiamati a pontificare in TV: a condizione, va da sé, che continuino a sbagliare per eccesso e che nel dubbio diano la colpa ai cittadini, e mai ad un sistema sanitario incapace sia di curare i malati che di vaccinare gli anziani. Un’interminabile danza macabra, una litania medievale imbevuta di moralismo e morbosità, ben descritta da Andrea Venanzoni come una “religione pandemista”, professata da sacerdoti autoritari che si sono impossessati “manu militari” dei mezzi di informazione[5] – che su questo, aggiungo io, hanno una responsabilità colossale.

La terza ondata è stata meno forte del previsto, ha commentato infine Andrea Crisanti[6] – sembrava quasi con una punta di delusione, laddove di solito se la ride, mentre si parla di privare i cittadini dei propri diritti. Di certo, dal lato dei media studies osserviamo come il tentativo di framing della variante come nuova epidemia abbia funzionato a sua volta meno del previsto: un po’ per l’evidenza delle cose; un po’ per la stanchezza generale; e un po’ per le solite esagerazioni dei nostri giornalisti, capaci di rendersi ridicoli anche nel momento del tragico. Infatti, dopo le minacce brasiliane ed inglesi, è arrivata quella sudafricana; poi quella newyorkese isolata nelle Marche[7]; quella nigeriana rintracciata in Valle d’Aosta; e infine, al culmine del crescendo sabbatico, le “quattro varianti sconosciute” a Palermo[8], la “super-variante italiana” a Novara[9], e la “doppia variante” proveniente dall’India[10] [dove milletrecento milioni di persone, per inciso, hanno convissuto con il Covid con danni risibili]. E ora, vista a rischio l’operazione varianti, i media stanno cercando di operare l’ennesimo re-framing per giustificare delle restrizioni che nessun parametro noto sembra giustificare: fateci caso, ma siamo tornati letteralmente al clima dell’anno scorso, con le fotografie delle persone intubate, le puerili interviste in corsia ai negazionisti pentiti [palesemente inventate, lo so], e tutto il campionario di indecenze a cui i nostri media ci hanno abituato.

Chi segue il dibattito internazionale sa che, ormai in tutto il mondo, la stagione dei lockdown è finita; e molti iniziano a considerarlo come il più grande errore politico del Dopoguerra [quello che io, nel mio piccolo, ho sempre pensato]. Dove si è tornati alla vita normale, dalla Russia al Texas, la ritrovata socialità non ha spostato di un millimetro la curva epidemica. Negli Stati Uniti, come notato dallo stesso Kulldorff, è partita la gara a negare di aver mai appoggiato le chiusure. I dati ufficiali Eurostat indicano che la famigerata Svezia – il paese franco, che ha scelto la via delle libertà e delle responsabilità individuali – è tra le nazioni europee con minore mortalità in eccesso nel 2020[11] [e no, non lo troverete nei nostri media, se ve lo state chiedendo]. Solo pochi paesi, tra cui l’Italia, rimangono ancora posseduti dal culto sacrificale del lockdown, malgrado decine di studi ne mettano in discussione l’utilità, e malgrado i terrificanti danni sanitari, psichici, relazionali ed economici che ne derivano – in breve, la distruzione della nostra società e della democrazia liberale.

La libertà è una cosa semplice

Credo da tempo che, in parallelo alla vicenda epidemiologica – che non giudico, essendo incompetente – corra un’altra storia, quella di spietati gruppi di interesse e di potere che la stanno usando per altri motivi[12]; e che in questa seconda storia il controllo della popolazione non sia un mezzo, ma lo scopo in sé. Introducete questo cambio di variabile, e improvvisamente avrete la spiegazione di tante incongruenze altrimenti oscure: il ribasso continuo dei parametri, la secretazione dei dati, il protagonismo sadico dei virologi, la corsa a chiudere contro le stesse indicazioni governative, la modifica continua delle regole – e non da ultima cosa, l’imposizione di un odioso ed illiberale coprifuoco che non ha la minima motivazione scientifica, eppure è lì da cinque mesi, e nessuno parla.

Forse, invece, è tempo di iniziare a parlare, e a voce alta. E mi riferisco qui al mondo sociale nel suo insieme, o se volete alle persone ordinarie, per così dire: perché i grandi nomi la loro occasione l’hanno già persa. Penso, ad esempio, a Giuseppe Tornatore, un premio Oscar che si è prestato ad un cortometraggio di propaganda inquietante, per come prova a normalizzare la mostruosità della nuda vita umana profanata dai sudari di plastica[13]. Ad Antonio Scurati, premio Strega, che sul Corriere della Sera ha raccontato l’epidemia come una punizione divina che ci saremmo meritati per qualche oscura ragione – come colto, più in generale, da Bernard Henry-Lévy[14] – salvo poi riscoprire una vena di ribellione contro il divieto di fumo all’aperto[15] [sul coprifuoco da Gestapo no, invece; quello pare vada bene]. A Piero Angela, un mite signore che con poca mitezza ha invocato l’esercito contro la “movida” dei giovani[16], che non corrono nessun rischio, per poi contestare ogni proposta di contenimento degli anziani come lui[17] – che almeno sarebbe stato il modo meno doloroso di uscire da questo disastro. Penso a Stefano Boeri, un architetto di fama mondiale, che ha contribuito a rendere così bello il nostro stare a Milano, ma non ha avuto la forza di chiamarsi fuori da un’operazione spaventosamente idiota e dispendiosa – santa pazienza – come la progettazione dei padiglioni di Arcuri, sotto il precedente governo.

No, non sto parlando degli intellettuali; non sto parlando degli accademici; non sto parlando dei sociologi; non sto parlando delle donne e degli uomini della cultura di sinistra, in tutti i campi e a tutti i livelli. Per loro è già tardi, e la colpa del loro silenzio non sarà mai perdonata.


[1] Da qui: https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/variante/.

[2] Dalla pagina web https://www.iss.it/varianti-del-virus [corsivo aggiunto].

[3] R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente [1976], Milano, Mondadori, 1992. Il tema è in certo modo implicito, va detto, nel modello dell’evoluzione di Darwin.

[4] E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio. Una teoria dell’opinione pubblica [1980], Roma, Meltemi, 2001.

[5] A. Venanzoni, La religione pandemista: nel nome della “scienza” travolti diritti e garanzie della democrazia liberale, “Atlantico Quotidiano”, 18 marzo 2021.

[6] Covid, Crisanti: terza ondata meno peggio del previsto, lancio Adnkronos, 25 marzo 2021.

[7] L. Luminati, Variante Covid New York: identificati nelle Marche i primi due casi italiani, “Il Resto del Carlino”, 24 marzo 2021.

[8] Coronavirus, scoperte a Palermo quattro varianti sconosciute in Italia, “TGR Sicilia”, 23 marzo 2021.

[9] Covid, che cos’è la super-variante italiana e perché preoccupa, “Qui Finanza”, 17 marzo 2021.

[10] In India una nuova variante Covid, “Corriere della Sera”, 25 marzo 2021.

[11] I dati Eurostat sono qui.  Come si vede, l’eccesso di mortalità in Svezia è inferiore a quello di paesi come Italia, Francia, Germania e Spagna, che hanno scelto la strada suicida dei lockdown. Per un primo commento, naturalmente non della stampa italiana, G. Alander, Sweden saw lower 2020 death spike than much of Europe – data, “Reuters”, 24 marzo 2021.

[12] Su questo, ho scritto un primo modesto contributo già nell’aprile del 2020: Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.

[13] Penso ovviamente a Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995. Rileggere oggi le pagine di Agamben sulla nuda vita è, va detto, una epifania dolorosa, tanto illuminante quanto terrificante.

[14] B. Henry-Lévy, Il virus che rende folli, Milano, La nave di Teseo, 2020.

[15] A. Scurati, Un divieto ipocrita, fumerò all’aperto, “Corriere della sera”, 21 gennaio 2021.

[16] Qui il lancio ANSA.

[17] Piero Angela: “se il decreto vieta gli spostamenti agli over 70 come unica categoria, sono contrario”, “Huffington Post”, 2 novembre 2020.




Fake Journalism. Sul lockdown, la libertà e il tradimento dell’informazione italiana

Credo che dalla fine delle dittature del ‘900 mai, in Occidente, si sia visto un giornalismo sleale, fazioso e asservito alla linea governativa, come si vede oggi in Italia. Punto; e a capo.

In termini scientifici, la questione richiede una ricerca più seria, che sta partendo in questi giorni grazie alla collaborazione tra l’Università IULM e l’Osservatorio di Pavia [anche se la posizione che esprimo qui è del tutto personale, e non riguarda in alcun modo il mio Ateneo]. In questa sede, vorrei soffermarmi più discorsivamente su tre strategie messe in campo dai media: l’esercizio sistematico di disinformazione, orientato a generare smarrimento ed allarme; l’imbarazzante difesa del Governo; infine, e specularmente, la continua  ed inaccettabile criminalizzazione dei cittadini.

Quanto al primo argomento, parte del problema è senza dubbio la cattiva informazione scientifica, dovuta ad una perversa combinazione di fattori: l’incapacità dei giornalisti di leggere un paper di ricerca; il personalismo, ottuso e vanesio, dei medici chiamati ad intervenire in TV; la sciatteria di chi lavora nell’informazione; la rincorsa al titolo più rumoroso. Lascio la questione a chi si occupa di public understanding of science, una materia su cui ho poche competenze, per sollevare l’altra metà del problema: non la cattiva informazione, gestita in modo approssimativo e dilettantesco, ma la palese intenzione di seminare allarme e smarrimento nel pubblico. Un’intenzione evidente nella scelta di sottolineare sempre gli aspetti negativi – il dato in peggioramento anziché quelli in miglioramento, nel folle bollettino quotidiano del Sars-Cov-2 – e nella serie infinita di menzogne belle e buone che la stampa ha raccontato, sull’Italia e sullo stato generale dell’epidemia. In particolare è il paragone con le altre nazioni, su cui il pubblico medio ha maggiore difficoltà ad orientarsi, ad essere gestito in modo terroristico, mentendo senza ritegno sulle virtù di un “modello italiano” che non è mai esistito, e insistendo ogni giorno sull’aspetto peggiore del paese che vive il periodo peggiore, senza alcun rispetto per le proporzioni generali e senza nessuna visione di insieme. E perfino con buone ragioni, se la vediamo dal lato dei manipolatori: perché quello che appare evidente, se allarghiamo le linee dell’analisi, è che la correlazione tra la durezza del lockdown e la riduzione dell’epidemia è tutt’altro che scontata e assai difficile da dimostrare, senza contare gli spaventosi costi umani che ne derivano. L’analisi comparata di John Ioannidis[1], recentemente, mostra come le misure aggiuntive rispetto a quelle di precauzione generale – e segnatamente lo “stay-at-home” obbligatorio – non producano vantaggi misurabili. Cosa di fatto prevista dalla Dichiarazione di Great Barrington, il manifesto contro il contenimento scritto nello scorso ottobre da altri tre epidemiologi di fama mondiale [Martin Kulldorff, di Harvard; Sunetra Gupta, di Oxford; Jay Bhattarchaya, di Stanford], e firmato da 53.000 – cinquantatremila – tra medici e scienziati in cinque continenti[2]. Provate a verificare lo spazio concesso a questa posizione scientifica, nel dibattito italiano – ma vedrete che non servirà molto tempo.

Ammetto che la questione è tremendamente complessa, perché di fronte a processi così ampi è impossibile filtrare le variabili,  e ridurre il tutto ad una chiara relazione di causalità: così che ognuno tende a selezionare i segmenti statistici in linea con la propria tesi di fondo, e io non faccio eccezione. Ma il punto critico è un altro, e nasce esattamente da questa incertezza epistemologica: misure di restrizioni tanto gravi ed illiberali possono essere giustificate soltanto dalla ragionevole certezza della loro utilità. E quindi sta a chi sostiene il confinamento dimostrarne la ragione scientifica, e non a chi lo contesta dimostrare il contrario – esattamente come tocca all’accusa l’onere della prova, e mai alla difesa. Affermare la sospensione dei diritti come azione preventiva – che “tanto male non fa”, come hanno il coraggio di dire certi anchor-men – non è altro che un esperimento di controllo sociale su vastissima scala, a cui dovremmo dedicare tutte le nostre energie critiche, tanto devastante è il suo effetto sui principi ultimi della convivenza civile e delle democrazie liberali.

Quello che ha così preso corpo, in un clima di incredibile conformismo, è il ribaltamento delle categorie valoriali su cui si fondano le democrazie: è la libertà che deve essere giustificata, e non la sua limitazione; le misure restrittive diventano uno scopo in sé, anziché una misura da applicare con cautela, in base a motivazioni scientifiche verificabili e solide legittimazioni giuridiche; e i dati – gestiti in modo opaco e arbitrario, con cambi continui delle variabili in gioco – contano meno del pretesto a cui possono essere piegati. E trovo singolare che quasi nessuno, tra chi si occupa di lavoro intellettuale, abbia la forza di vedere come la messa in disciplina del corpo sociale stia diventando – e certamente non solo in Italia – un problema ben più ampio di quello epidemiologico.

Il secondo peccato capitale, per quanto sta invece alla nostra contingenza politica, è la costante adulazione della maggioranza “giallorossa”, come piace dire ai giornalisti. Di un governo che ha portato il Paese agli ultimi posti in ogni categoria di valutazione, e che allo stato attuale è semplicemente il peggiore del mondo, se combiniamo tra loro i diversi indicatori: tasso di mortalità; letalità del virus; durezza delle misure di contenimento; mesi di chiusura delle scuole; impatto della crisi economica in termini di occupazione e di PIL; ritardo di programmazione per il piano Next Generation. Eppure, sommersa da risultati catastrofici da ogni immaginabile punto di vista, la stampa ha pensato bene di reggere il gioco al Governo, con tanto di celebrazione totalitaria di Giuseppe Conte, paragonato senza senso del ridicolo – in ordine sparso – ad Aldo Moro, Camillo Benso di Cavour, Winston Churchill, François Mitterrand, Giovanni Giolitti, Luigi Sturzo, Angela Merkel [e dal Fatto Quotidiano, pace all’anima nostra, perfino al leggendario Muhammad Alì di Kinshasa]. Osservate ad esempio le fotografie di Conte pubblicate dai quotidiani, o i video di un qualsiasi TG: l’inquadratura dal basso a costruire un’aura napoleonica; gli occhi che guardano lontano, come quelli di chi fissa l’orizzonte con intraprendenza; le immagini apparentemente rubate durante una giornata di lavoro, con l’obiettivo che mette in campo l’angolo della porta socchiusa; la camminata fiera e veloce, palesemente messa in scena per l’occasione. Intendiamoci, si tratta di soluzioni tecnicamente banali, perfino grette, da ufficio stampa di quarta categoria – ma tanto sembra bastare per i giornalisti italiani, che ritengono tutto questo normale.

Il terzo tema è fatalmente correlato al secondo, e riguarda la colpevolizzazione dei cittadini, di cui mi è capitato di scrivere già nella primavera del 2020[3]. Senza mezze misure, e senza eccezioni significative, i media di opinione hanno scelto da subito la loro battaglia: servire il Governo, e scaricare sui singoli la colpa dell’epidemia. Di qui, l’ossessiva ricerca del capro sacrificale: il vicino che porta a spasso il cane; i runner; la movida;  le discoteche; le [presunte] feste clandestine; gli assembramenti di turno. A poco serve, far notare che l’Italia è il paese occidentale che ha imposto le misure più dure; che i dati del Ministero dell’Interno svelano un notevole rispetto delle regole, almeno per i nostri parametri, con una quota di multati mai superiore all’1% dei controllati; che incontrarsi all’aperto comporta rischi risibili; che ben altri sono i luoghi in cui il Covid-19 ha colpito duramente; o che, diciamolo una volta buona, vivere senza socialità e senza contatti fisici è semplicemente impossibile, ed è bene che così sia. Niente da fare: pensate a quante volte avete visto le immagini dello shopping o della cosiddetta “movida” – di norma schiacciate da un uso criminale del tele-obiettivo, per eliminare la profondità di campo – e quante poche volte avete sentito parlare dell’affollamento sugli autobus, delle infezioni contratte in ospedale, delle barbarie ripetute negli ospizi, dell’assenza di un piano epidemiologico, di un’assistenza sanitaria che non migliora mai [quando la cura dei malati, nella bufera di una crisi epidemiologica, è l’unica cosa che conta]. Chiedetevi quante volte avete sentito associare la colpa ai cittadini, e quante volte alla classe dirigente che ha la responsabilità di proteggerli; e anche qui, darvi una risposta non dovrebbe essere troppo complicato.

Assecondando in anticipo un’obiezione possibile, per quanto di scarso mordente: sì, certo, non tutti i giornalisti sono uguali; qualcuno ha mantenuto una linea di decenza; qualcuno ha fatto inchieste interessanti; qualcuno ha tirato fuori i dati reali e i reali problemi, e per questo ha subito la punizione squadrista degli opinionisti di apparato. Ma si tratta appunto di giornalisti, di singoli dotati di buone intenzioni, per lo più di area liberale; nulla che intacchi la linea editoriale delle testate più note, né tanto meno la collusione tra informazione e Governo [qui semmai l’unica eccezione, assai limitata, è data dai quotidiani della destra sociale]. E questo è un problema di drammatica urgenza, perché in nessun paese democratico la stampa prende di petto l’opposizione, anziché il governo; o perseguita sadicamente i cittadini, anziché tenere sotto controllo il potere. Il primo è un vizio tipico dei sistemi illiberali, e il secondo di quelli totalitari: e noi, è tempo di aprire gli occhi sulla realtà, subiamo da mesi sia l’uno che l’altro. E nessuno parla.

E’ infatti vero, bisogna essere onesti, che in questo disastro i giornalisti si trovano in ottima compagnia: ancora più avvilente è anzi il silenzio della classe intellettuale; e il suo tradimento, ben più doloroso. A fronte di una gestione cialtronesca e approssimativa; a fronte di risultati che sarebbero comici, se non contenessero in sé la tragedia della malattia e della morte; a fronte dell’abuso di potere più sistematico; davanti all’ignobile arroganza mostrata dagli uomini dello Stato, che bullizzano la popolazione anziché mettersi al suo servizio – di fronte a tutto questo, praticamente nessuno ha parlato, nel mondo della cultura, dell’arte, dell’opinione progressista, dell’accademia. Nulla di sorprendente, forse, trattandosi di un mondo largamente finanziato dallo Stato, e con vincoli tutt’altro che puerili con l’apparato di potere del Partito Democratico. Donne e uomini sempre pronti alla battaglia, quando si tratta di affrontare un nemico astratto, o localizzato qualche migliaia di chilometri più in là; tutti compiacenti e passivi, da quando gli arresti domiciliari, il coprifuoco e lo Stato di Polizia sono diventati storia di casa nostra.

Tutti in silenzio, ho detto; quasi tutti, è corretto dire, rendendo merito alle eccezioni, a partire dalla più luminosa: Giorgio Agamben[4], un pensatore studiato in tutto il pianeta, e messo serenamente ai margini qui da noi [e che anzi, anche nella Tv di Stato, è stato deriso da opinionisti che in un mondo normale non avrebbero diritto di spolverargli la scrivania]. Prima i giornalisti; poi l’intero campo della cultura; e da buon ultimo – per onestà – parliamo anche dell’ambiente di cui sono parte, la sociologia e la sociologia dei media. Perché a fronte di un tale stato dell’informazione, combattere soltanto le fake news in rete – e, guarda un po’ il caso, sempre quelle che conducono a Trump o a Salvini – smette di essere un atto di conformismo accademico, e rischia di diventare una forma di complicità. Mentre per le donne e gli uomini liberi, se ce ne sono ancora là fuori, è venuto il tempo di alzare la voce.

[1] J. Ioannidis, E. Bendavid, C. Oh, J. Bhattharcaya, Assessing Mandatory Stay-at-home and Business Closure Eeffects on the Spread of Covid-19, 2021, disponibile al sito https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/eci.13484.

[2] La dichiarazione di Great Barrington è disponibile al sito https://gbdeclaration.org/.

[3] A. Miconi, Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.

[4] G. Agamben, A che punto siamo? L’epidemia come politica, Macerata, Quodlibet, 2020. Per lo schema teorico su cui si fonda la sua analisi, inopportunamente banalizzata nel discorso pubblico italiano, Stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.