Calcio, tifo e razzismo

Finalmente, alla fine, anche nello sport si è aperto uno spiraglio, un timido tentativo di fare un pochino di chiarezza su se e quanto si possano definire “manifestazioni di razzismo” i cori che ormai quotidianamente si sentono negli stadi (italiani e non). Ad aprire il dibattito, con qualche interessante dichiarazione e alcune considerazioni di base, sulle quali riflettere almeno un istante, è stato l’allenatore dell’Atalanta, GianPiero Gasperini.

Breve riassunto degli accadimenti di domenica scorsa, per chi non segue da vicino lo sport giocato né quello chiacchierato. Va in scena a Bergamo la partita di campionato Atalanta-Juventus. Nel corso dello svolgimento, un gruppo significativo di ultras bergamaschi non smette di rivolgere all’attaccante slavo della squadra avversaria, Vlahovic, coretti ed epiteti spregiativi, tipo “sei uno zingaro”, se non anche peggiori. Un po’ ciò che era accaduto a Torino un paio di settimane prima, tra alcuni ultras della stessa Juve e l’attaccante nero dell’Inter Lukaku, apostrofato con il consueto “negro di merda” o giù di lì. In modo non dissimile anche in questo caso a ciò che avviene in tutti gli stadi di calcio, da anni a questa parte, più o meno nessuno escluso.

Breve parentesi, ma molto importante per il discorso che farò tra poco. Una volta, qualche decennio fa, questo era un “rituale” comune anche negli altri sport, in particolare quelli di squadra, ma molto meno quelli individuali (ve l’immaginate uno spettatore di boxe che avesse apostrofato a bordo ring Cassius Clay / Mohamed Alì con un epiteto del genere? Avrebbe fatto sicuramente una brutta fine…).

Anche nel basket, ad esempio, giravano coretti simili, del tipo “non ci sono negri italiani”, rivolto a Carlton Myers, figlio di un inglese nero e di una riminese, divenuto nel tempo una colonna della nazionale italiana, tipo Balotelli. Negli ultimi anni ingiurie di questo tipo sono praticamente scomparse da tutti i palazzetti di basket, per la semplice ragione che i migliori giocatori di pallacanestro sono spesso neri e tutte le squadre ne hanno nel loro roster almeno tre o quattro, e insultarne qualcuno a caso non avrebbe alla fine un apprezzabile risultato, né si saprebbe esattamente chi ne sarebbe il destinatario, dei cinque o sei che sono in campo o in panchina.

Dunque, nel basket, al contrario di un passato più antico, di squalifiche o di multe per “cori razzisti” oggi non se ne verificano praticamente mai. Significa forse che tra gli ultras della pallacanestro non c’è alcun esagitato tifoso, simile ad il suo omologo calcistico? Direi proprio di no. Forse meno diffuso, grazie al livello meno popolare degli spettatori di basket. Forse, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Chiusa parentesi.

Ma torniamo ad Atalanta-Juve e alle dichiarazioni di Gasperini che, a fine partita, ha espresso un concetto semplice: non è vero che le frasi rivolte a quel giocatore slavo siano insulti di stampo razzista, semplicemente perché anche nella squadra che lui allena giocano almeno due-tre altri giocatori della stessa origine “etnica”, quella di Ibrahimovic per intenderci, che ha subito anch’egli nella sua lunga carriera epiteti molto simili. Ora, conclude Gasperini, se gli ultras fossero davvero razzisti (contro gli slavi), non potrebbero accettare nemmeno che nella propria squadra giochino almeno due-tre “zingari di merda”, e li insulterebbero a ogni piè sospinto, sebbene difendano i propri colori sociali. Come ben ci insegna la storia Usa, non si può essere razzisti ad intermittenza, o lo si è o non lo si è. E a volte, addirittura quando non si pensa di esserlo, il proprio rapporto con persone di colore non è semplice (vedi il caso del film anni Sessanta “Indovina chi viene a cena”). Punto.

Quegli insulti, sempre secondo Gasperini (che ovviamente è stato attaccato da tutti, proprio tutti tutti) non sarebbero razzisti, ma semplicemente “maleducati”, o beceri, perché seguono il diffuso sentiment di provocare l’avversario per infastidirlo, per fargli commettere errori che normalmente non farebbe. Non è bello, s’intende, ma non è nemmeno sintomo di razzismo, perché il razzismo, quello vero, è tutt’altra cosa, molto più grave, ma anche molto più specificamente diretta al colore della pelle, alla etnia, alla religione. Ora, argomenta l’allenatore dell’Atalanta (e io con lui), se ce l’ho con gli “sporchi negri” dell’altra squadra, perché quelli che giocano nella mia squadra sono al contrario “giganti d’ebano”, “principi neri”, eccetera. Balotelli, quando era dell’Inter, veniva insultato costantemente dai tifosi milanisti, quando passò al Milan subiva lo stesso trattamento da quelli interisti. Razzismo?

Ricordo ancora una ricerca universitaria degli anni Novanta, un’indagine sul campo promossa da Alessandro Dal Lago, in cui si cercava di studiare da vicino atteggiamenti e comportamenti degli ultras del Milan. Ne uscì un importante libro dal titolo “Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio”. Utilizzammo per l’analisi dei tifosi e del loro livello di razzismo una procedura statistica chiamata “Scala di Likert”, composta da 10 frasi cui l’intervistato doveva dichiarare il proprio grado di accordo. La sommatoria di tutte le risposte avrebbe fornito appunto un indicatore complessivo del livello di razzismo degli ultras. A patto che tutte le frasi indicassero una delle facce del tema del razzismo.

Orbene, 9 frasi su 10 funzionavano piuttosto bene ed erano tra loro ben correlate. L’unica che al contrario non mostrava significativi livelli di collegamento con le altre era proprio quella che riguardava gli insulti ai giocatori avversari per il colore della loro pelle. Quella frase era correlata più con il tifo maleducato, gli insulti (“figlio di p…”, “testa di c…”) che con il razzismo. Già oltre 30 anni fa, dunque, le parole che oggi ha pronunciato l’allenatore dell’Atalanta erano state comprovate da un’analisi scientifica. Meglio tardi che mai.




Follemente corretto (20) – La wokeness contro la musica

La politica, l’ideologia e il politicamente corretto inquinano tutto, dalla stampa alla Tv, dalla letteratura alle scienze. Però non tutti gli ambiti sono ugualmente attaccabili. Ci sono ambiti ultra-permeabili, come il giornalismo, la letteratura, le scienze sociali, e ambiti quasi impenetrabili, come la fisica e la matematica.

E la ragione è semplice: tutto dipende dal grado di neutralità intrinseca di ogni ambito culturale. Se scrivi un romanzo, le tue preferenze e i tuoi valori contano molto, quindi può avere senso (almeno per i fanatici) chiedersi quanto un dato testo è politicamente corretto. Ma se dimostri un teorema, o scopri una nuova legge fisica, chiedersi quanto quel teorema o quella legge siano politicamente corretti è semplicemente illogico (anche se qualche fanatico ci prova).

E’ per questo che il politicamente corretto è particolarmente invasivo in ambiti come l’informazione, il cinema, le discipline umanistiche, la letteratura, l’opera, e persino la mitologia e le arti figurative.

Si potrebbe supporre che, oltre alla matematica e alla fisica, lo scudo delle neutralità protegga anche la musica. Dopotutto, una sequenza di note non è più politica di una sequenza di simboli matematici.

E invece no. Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica. E lo ha fatto non solo là dove al testo musicale si accompagnano delle parole (come nelle canzoni o nell’opera lirica), ma dove la musica è per così dire muta: pura sequenza di note, senza parole né canto. Per il teorico (nero) della musica Philip Ewell la musica classica è razzista e discriminatoria per il fatto stesso di essere basata su un ordine rigoroso e gerarchie armoniche.

Gli attacchi alla musica si possono utilmente ordinare lungo una scala di assurdità. Un testo musicale può cadere sotto gli strali del fanatismo woke per almeno 5 motivi, via via più demenziali.

Livello di demenzialità Motivazione della censura Oggetto della censura (esempi)
1 Il titolo del brano contiene la parola negro Le petit nègre, di Claude Debussy
2 Il compositore è nazista Richard Wagner (razzista e antisemita, ma morto prima che Hitler fosse nato)
3 Il compositore piaceva ai nazisti Beethoven, Schubert,  Bach, Haydn, Schubert, Wagner
4 Il compositore è europeo, quindi “è stato sostenuto dalla bianchezza (whiteness) e dalla mascolinità per duecento anni”.

La sua musica “rafforza il dominio dei maschi bianchi e sopprime le voci delle donne, dei neri e della comunità Lgbtq”

Compositori europei

 

In particolare: Beethoven,

Quinta sinfonia

5 Il compositore è affetto da “bianchezza”, quindi colpevole di razzismo Praticamente tutti i compositori e musicisti occidentali

La censura di opere e autori non è tutto, però. Accanto ad essa proliferano anche altre pratiche. Ad esempio quella di scusarsi di essere bianchi da parte di dirigenti di grandi istituzioni musicali, come il presidente della Los Angeles Opera (Christopher Koelsch), o il capo della League of American Orchestra (Simon Woods), a quanto pare convinti che la whiteness sia una colpa. O il licenziamento di chi resiste alle intimidazioni dei censori (è successo a Dona Vaughn, direttrice dell’opera alla Manhattan School of Music).

Ma le pratiche più inquietanti sono quelle con cui si pretende di aumentare la presenza di musicisti neri nelle orchestre americane, da sempre molto sbilanciate a favore dei bianchi. Peccato che il rimedio usato – impedire ai giudici di vedere i musicisti, per evitare favoritismi pro-bianchi e discriminazioni – si sia rivelato un boomerang: il “daltonismo” dei giudici nelle “audizioni alla cieca” finiva per premiare il merito, non la razza. Ora è considerato discriminatorio.




Follemente corretto (17) – Musica razzista?

Chissà che cosa penserebbe Claude Debussy, uno dei più grandi compositori francesi di sempre, se per miracolo rinascesse oggi a New York. Scoprirebbe in tal caso che la prestigiosa Special Music School di New York, che offre un insegnamento musicale intensivo durante l’intero percorso scolastico, nel 2021 ha invitato a depennare dai programmi due sue celebri composizioni per pianoforte, precisamente e Le petit nègre (1909) e Golliwog’s cakewalk, l’ultimo brano di Children’s corner (1906-1908).

La ragione?

In entrambe le composizioni sarebbero presenti “connotazioni razziste”. Gli insegnanti non dovrebbero più eseguirli, né assegnarli agli allievi.

“Questi due pezzi non sono più accettabili nel nostro paesaggio culturale e artistico. Noi vogliamo rendere la Special Music School un posto in cui tutti gli studenti si sentano supportati, ed entrambi i pezzi hanno connotazioni razziste e superate. Fortunatamente il repertorio per piano è vasto – ci sono molte alternative”. E’ interessante notare che l’accusa non è rivolta a Debussy, ma alla sua musica. Ma come fa una musica, priva di un testo orale, ad essere definita “razzista”? Il comunicato della scuola non lo rivela, perciò mi sono messo a cercare, ed ecco i risultati.

Primo, le accuse sono decisamente recenti. A giudicare dalle date, si direbbe che il fenomeno sia successivo alla esplosione del movimento Black Lives Matter (sorto in seguito all’uccisione de George Floyd, nel 2020). Prima, nessuno aveva avuto niente da ridire.

Secondo, le accuse sono alquanto eterogenee, come se, non riuscendo a cogliere il punto, si provasse a sparacchiare un po’ qua e un po’ là. Vediamole.

  1. Nazionalismo. “Durante la prima guerra mondiale Debussy firmava le sue composizioni, ‘Claude Debussy’, musicista francese”, per marcare la sua distanza da altre nazionalità, in particolare dalla Germania. In questo senso era virulentemente nazionalista, e quindi, in base agli standard odierni, un razzista”.
  2. Appropriazione culturale. Tecnicamente, entrambi i brani incriminati risentono dell’influenza del Ragtime (precursore del jazz), nato dalla musica afroamericana di fine Ottocento, che Debussy aveva avuto modo di conoscere all’esposizione universale di Parigi nel 1889.
  3. Le petit nègredescrive la danza, leggera e allegra, di un ragazzino di strada nero che balla a un ritmo incontenibile.
  4. Golliwog’s Cakewalk si ispira alla travolgente danza afroamericana del cake-walk,che si immagina ballata da Golliwog, celebre bambola nera protagonista di favole per bambini (Debussy ne aveva regalata una all’adorata figlia Chouchou).

Proviamo a estrarre la ratio dell’accusa di razzismo.

  1. Se l’autore di un brano musicale è un patriota, allora il brano è razzista.
  2. Se in un brano di un compositore europeo echeggiano tecnicalità di origine afroamericana, allora il brano è razzista.
  3. Se il soggetto di un brano è un ragazzino nero, allora il brano è razzista.

Ma i ragionamenti più contorti sono quelli dell’ultimo punto, che riguarda il Golliwog’s Cakewalk. Qui l’accusa di razzismo si appunta sulla “nerità” del cakewalk (una danza afroamericana che, in realtà, era nata per prendere in giro i bianchi), sia sulla “nerità” della bambola Golliwog, inventata nel 1895 dalla scrittrice per ragazzi Florence Kate Upton, e popolarissima fra i bambini europei e americani nei primi decenni del Novecento.

Ma perché un soggetto nero rende razzista la musica? Fondamentalmente perché l’anti-razzismo è una forma di pensiero magico, che si dipana così:

– l’autore X dell’opera Z usa il simbolo Y (bambolina nera), che nella sua epoca ha un significato positivo, o neutro;

– successivamente, in altri contesti e da parte di altri soggetti, compaiono anche alcuni usi negativi del simbolo Y;

– il significato negativo di Y viene trasferito retroattivamente sull’opera originaria Z e da lì sul suo autore X, che – da quel momento – diventa ideologicamente “radioattivo”, intoccabile, da cancellare.

Alla faccia dei discorsi sul dovere di includere e sul dialogo fra culture.




La gestione dell’immigrazione. Intervista a Luca Ricolfi

Perché Salvini cavalcando la battaglia contro gli sbarchi ha conquistato gli italiani?

Perché gli sbarchi, anche quando sono pochi (come oggi, e come prima di Mare Nostrum) vengono percepiti come una sorta di prepotenza, aggravata dal ricatto umanitario, come se i migranti dicessero: “voi siete così civili che ci dovete salvare in mare e accogliere una volta a terra”.

La chiusura a riccio dei confini (soprattutto dei porti) operata dal Viminale è stata applaudita dagli italiani. Perché questa paura verso l’integrazione dei migranti?

La maggior parte degli italiani non ha paura dell’integrazione, ma che l’integrazione fallisca, come in effetti è successo.

Quale è la portata di responsabilità della crisi economica e del dilagare dei social, rispetto alla crescente rabbia razzista?

Lei è sicuro che ci sia una “crescente rabbia razzista”? Penso che, ammesso che vi sia una crescita dei sentimenti razzisti, qualche responsabilità vada cercata anche nei media “seri”, che amplificano episodi marginali che ci sono sempre stati.

Un annuncio di Trenord dagli altoparlanti dei vagoni contro “gli zingari sui treni che hanno rotto i c…” ha fatto il pieno di commenti positivi su Facebook. Perché il popolo del web è unanime contro i rom e sinti?

Non esiste un popolo del web sostanzialmente diverso dal popolo non-web, semplicemente il popolo non web è invisibile, mentre il popolo-web è iper-visibile per definizione. Ma entrambi condividono l’ostilità verso i rom e i sinti, un sentimento che non è nuovo e non è solo italiano.

 “La ruspa” di Salvini e gli sgomberi dei campi rom sono sempre accolti con grande favore da destra e da sinistra.

Da dove nasce la diffidenza collettiva verso questi popoli?

Dall’esperienza. Anche se non mancano le persone di origine rom/sinti che lavorano e vivono normalmente, il fatto che una percentuale elevata (nessuno sa esattamente quale) dei membri di queste comunità viva di accattonaggio e di furti non può che suscitare diffidenza in chi vive del proprio lavoro, e magari fatica a sbarcare il lunario.

Dai sondaggi pochi italiani si dicono razzisti, ma la percezione di un ritorno dell’odio contro gli stranieri è molto forte. Qual è il reale sentimento sociale?

Più o meno quello degli ultimi decenni, con la differenza cruciale per cui oggi chi ha sentimenti razzisti, o meglio sentimenti che i media e gli intellettuali etichettano come razzisti, si sente più legittimato ad esprimerli. Ma nella maggior parte dei casi il razzismo non c’entra, semmai quel che interviene è un meccanismo di generalizzazione, che tocca un po’ tutti, anche i più illuminati difensori dei rom. Se non ci crede prenda 1000 Vip progressisti, e controlli quanti di loro hanno assunto, o assumerebbero, una colf di etnia rom/sinti…

La sinistra italiana è stata spazzata via dai populisti perché ha fallito sulla questione migranti?

Sì e no. Il problema degli sbarchi è stato sostanzialmente risolto da Minniti, ma la sinistra anziché rivendicare il risultato ha cercato di nasconderlo, continuando con la retorica del “noi siamo quelli che salvano vite umane in mare”.

Passare da “accogliamo tutti” a “non accogliamo nessuno” da un giorno all’altro che conseguenze può avere sulla società italiana?

Non accogliere nessuno lascia irrisolti i due problemi principali: gli irregolari presenti (almeno mezzo milione), e le esigenze delle imprese, che di migranti economici hanno tuttora bisogno.

Intervista pubblicata su Quotidiano Nazionale il 9 agosto 2018




Gli italiani non sono razzisti. Intervista a Luca Ricolfi

Vorrebbero buonsenso nella gestione dell’immigrazione

Gli italiani non sono diventati razzisti. Semplicemente vorrebbero più buonsenso nella gestione dell’immigrazione. Ecco perché «la linea di Salvini è vincente nei consensi». L’analisi è di Luca Ricolfi, sociologo, docente di Analisi dei dati all’Università di Torino e responsabile scientifico della Fondazione David Hume. Che spiega: «Oggi sinistra e popolo sono due opposti: il popolo vota Salvini e Di Maio, i benpensanti preferiscono rifugiarsi nella nicchia identitaria offerta dal Pd».Domanda. Secondo un recente sondaggio sette elettori su dieci sono a favore della linea dura del ministro dell’interno e leader leghista, Matteo Salvini, sull’immigrazione e sugli sbarchi. Gli italiani si sono scoperti razzisti e di destra?

“No, gli italiani pensano che non si può continuare a non fare nulla sul problema dell’immigrazione. L’aumento della povertà in Italia è anche dovuto al fatto che non riusciamo a dare un lavoro a tutti quelli che entrano. Di fronte alle continue operazioni di salvataggio, gli italiani hanno la sensazione che i naufraghi ce li andiamo a prendere, per mettere delle stellette sul petto dei salvatori, ma poi non siamo capaci di gestirli. Chi dice che gli italiani sono diventati razzisti non capisce la differenza fra razzismo e buon senso.”

Lei teorizza uno scontro in atto tra utopie, quella cosmopolita e quella comunitaria. Può spiegarsi meglio?

“Credo che solo la sinistra radicale (non parlo di LeU, ovviamente, ma di pensatori come Jean Claude Michéa o Slavoj iek, ad esempio) abbia capito quali sono le vere forze in campo, al di là dei vecchi steccati idelogici. Da una parte ci sono le forze dell’apertura, che vogliono più circolazione di tutto (merci, capitali, informazioni, persone), e sognano un mondo unificato, in cui tutti hanno i medesimi diritti e sono sottoposti a un unico ordine mondiale. Questa è l’utopia cosmopolita, che piace ai capitalisti ma anche al pensiero liberal. Dall’altra ci sono le forze della chiusura, anti-sistema e anti-Europa, che si oppongono alla globalizzazione, e sperano di risuscitare gli stati nazionali, contro le minacce del mondo globalizzato.”

Forze che hanno lo stesso obiettivo, ma sono collocate a due estremi, destra e sinistra.

“Vero, e la cosa interessante è che, in questo momento, in alcuni paesi europei le forze della chiusura, che altrove sono non alleabili, proprio perché vengono percepite come estrema destra ed estrema sinistra, sono riuscite a coagularsi e andare al governo. È successo qualche anno fa con il governo rosso-nero in Grecia, risuccede oggi con il governo giallo-verde in Italia.”

Un terzo di quanti si dicono favorevoli alla linea di Salvini ha votato per il Pd. Come se lo spiega? Siamo davanti a un cambio culturale, sociale della sinistra?

“Sì, ma è un cambio che è iniziato almeno 40 anni fa, come ho cercato di raccontare in Sinistra e popolo, uscito per Longanesi nel 2017. Negli ultimi decenni la sinistra è diventata sempre più l’espressione dei ceti medi istruiti e delle élites che si vergognano della loro condizione, anche quando essa non è il risultato di privilegi ma semplicemente del talento o della buona sorte. L’innamoramento per le virtù del mercato e l’incapacità di capire i rischi della globalizzazione hanno fatto il resto. Oggi sinistra e popolo sono due opposti: il popolo vota Salvini e Di Maio, i benpensanti preferiscono rifugiarsi nella nicchia identitaria offerta dal Pd.”

Questo spiega perché per esempio lavoro e pensioni risuonano più forti nel programma di M5s che non in quello del Pd?

“In termini concreti alla sinistra i diritti civili, compresi quelli dei migranti, interessano molto di più dei diritti sociali. Come aveva previsto Augusto del Noce molti decenni fa (parlando del Partito Comunista), il destino della sinistra italiana è diventare un partito radicale di massa, ovvero pannellizarsi/boninizzarsi sempre più, fino a deporre del tutto quelle che un tempo erano le sue ragioni.”

La linea del governo, ribadita anche dal premier Conte con la Merkel, è che in tema di accoglienza l’Italia vuole la modifica del trattato di Dublino per la quale hanno lavorato anche i governi Renzi e Gentiloni. I modi rudi del nuovo governo serviranno a portare a casa il risultato?

“Non lo so ma non posso che augurarmelo. L’unica cosa certa è che i modi educati dei predecessori di Salvini non hanno portato a nulla, nemmeno alla più volte sventolata redistribuzione dei rifugiati.”

Il leader della Lega ha anche annunciato un censimento dei rom in Italia, salvo poi rettificare dopo il coro di proteste, anche dei pentastellati. L’uscita di Salvini è un errore di percorso o risponde invece a una precisa strategia?

“Non lo so, ma secondo me Salvini fa malissimo a canalizzare l’esasperazione della gente su un’etnia particolare. Questo davvero rischia di alimentare, se non il razzismo, l’ennesima caccia alle streghe. Se fossi al posto di Salvini, prima di prendermela con i rom, farei una bella visita, con i carabinieri e gli ispettori del lavoro, nei campi della raccolta del pomodoro, in cui i migranti sono trattati come schiavi.”

Il problema è la legalità?

“Il vero problema sono i territori, non le etnie. Ci sono interi quartieri, per non dire intere zone del Paese, in cui la legge non esiste, al Nord come al Sud. È a partire da lì che si dovrebbe agire. Il male di questi anni è stato di pensare che, se l’illegalità è mescolata alla povertà, al degrado, all’emarginazione sociale, allora è buona e va tollerata: nelle campagne, negli alloggi popolari, nell’occupazione degli spazi pubblici.”

Il ministero dell’interno potrebbe essere per Salvini il trampolino di lancio per diventare primo partito del centrodestra?

“Se Salvini si impegnerà per ristabilire la legge ovunque sia calpestata, senza guardare in faccia alcuna etnia o alcun clan, avrà il consenso degli italiani. Se invece si accanirà contro specifici gruppi sociali, allora, prima o poi, vedrà evaporare i consensi che ha acquistato in questi mesi. Non capire questo significa credere che gli italiani siano razzisti e xenofobi, mentre sono semplicemente stufi.”

Secondo un sondaggio Swg, la Lega è già il primo partito nazionale, ha superato, seppure di poco, il Movimento5stelle, 29,2 contro il 29%. Come si spiega questo trend a poche settimane dall’insediamento del governo?

“Non credo che il sorpasso della Lega su M5s sia già avvenuto, ma non mi stupirei che avvenisse più avanti. La spiegazione che più mi convince è assai semplice: Salvini è l’unico politico italiano che, insieme a non pochi difetti, tra cui semplicismo e volgarità di linguaggio, possiede due virtù cruciali: la chiarezza e la concretezza.”

Quanto contano nel calo dei consensi del Movimento e nella crescita della Lega le rispettive leadership?

“Molto nel caso di Salvini. Poco nel caso di Luigi Di Maio, che sconta semplicemente il risveglio dell’elettorato di sinistra: votando Cinque Stelle credevano di scegliere una sinistra più idealista e più pura, si stanno accorgendo di aver votato Lega. Come stupirsi se qualcuno si rifugia nell’astensione o medita di tornare alla casa madre?”

M5s e Lega sono forze destinate ad oggi a essere coalizione o a rappresentare il nuovo bipolarismo?

“Bella domanda… Non lo so. E tendo a pensare che non lo sappia nemmeno Salvini: se il governo dovesse andare bene, potrebbe nascere un’alleanza stabile, contro le forze dell’apertura, e dunque Pd e Forza Italia. Se invece andasse male, Salvini potrebbe tornare a guidare il centro-destra e sfidare i Cinque Stelle, accusandoli di aver sabotato il «contratto di governo». In quel caso sarei curioso di sapere che cosa farebbe il Pd, ammesso che non fosse nel frattempo scomparso.”

Già, il Pd. Secondo il sondaggio Swg, il Pd resiste al 18,8, mentre Forza Italia è sotto al 10% . Vede segnali di ricostruzioni per le due opposizioni?

“Per ora vedo solo segnali di suicidio. Forza Italia, o meglio Silvio Berlusconi, pare non aver capito che senza un cambiamento spettacolare, parlo di nuovo nome, nuovo leader, nuovo programma, nuove regole di democrazia interna, non tonerà mai ai fasti del passato. Il Pd, che pure sta recuperando voti grazie ai grillini pentiti, sta facendo di tutto per mettersi fuori gioco. Nessuna analisi coraggiosa degli errori del passato. Nessuna diagnosi seria sui mali del Paese. Nessuna comprensione dei sentimenti e dei pensieri degli italiani.”

Non pensa che l’attuale dirigenza democratica stia ferma in attesa degli errori del governo giallo-verde?

“Basare la propria strategia sulla speranza, o la scommessa, che prima o poi il governo Conte vada a sbattere è una vera sciocchezza. Non perché il governo Conte non possa benissimo andare a sbattere. Ma perché, se ciò dovesse accadere, non saranno certo Matteo Renzi e i suoi a raccoglierne i cocci.”

Intervista a cura di Alessandra Ricciardi per Italia Oggi