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Coronavirus, una guerra che non ammette disertori

10 Marzo 2020 - di Luca Ricolfi

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Fino a sabato avevo in mente, per l’editoriale che leggete oggi, di ribadire con ancora maggiore forza il concetto che avevo espresso più volte, sia un mese fa sia nei giorni scorsi; la situazione è seria, anzi drammatica, chi la sottovaluta o minimizza i pericoli, ma soprattutto chi non si attiene a tutte le regole consigliate dalle autorità contribuisce, con la propria superficialità, ad accelerare l’avanzata del virus che sta devastando il nostro paese, e non solo il nostro. Avere senso civico, oggi, significa fare ciò che ci viene richiesto, anche se significa vivere in un modo orribile e disumano. Ed è gravissimo che sia i privati (per interessi economici) sia le autorità (per ragioni politiche) continuino a diffondere le tre bufale fondamentali che hanno ritardato la presa di coscienza dei cittadini: che il virus uccida solo gli anziani già affetti da altre gravi patologie; che i soggetti senza sintomi (i cosiddetti asintomatici) non possono trasmettere il virus; che il coronavirus sia poco più che una brutta influenza. Come è gravissimo che lo spot di Amadeus sulle regole di comportamento sia stato così reticente su alcuni pericoli fondamentali: la trasmissione attraverso le cose, il contagio in bar, ristoranti, piscine, cinema, palestre, sale giochi, mezzi di trasporto, mostre, chiese, musei, acquari, festival, giusto per ricordare i principali.

Ora però è tutto diverso. Il governo, dopo aver partecipato (o organizzato?) la sceneggiata della tranquillizzazione (in una trasmissione condotta da Bruno Vespa) pare essersi improvvisamente convertito alla linea più severa. Gli appelli di noi presunti “allarmisti”, lapidati su internet perché indurremmo panico e psicosi collettive, sono finalmente diventati superflui. Ancora venerdì pochi avevano capito, oggi hanno capito – si spera – quasi tutti. Già nella giornata di sabato, con la notizia che il virus aveva colpito Zingaretti (a proposito: i miei auguri più sinceri di uscirne presto e bene!) il livello di attenzione del pubblico, ma soprattutto della politica, è improvvisamente salito alle stelle. E la politica, questa volta, ha dovuto arrendersi, risolvendosi a fare oggi quel che avrebbe dovuto fare un mese fa. Meglio tardi che mai, anche se la lezione non pare completamente assimilata: se vuole prevenire, anziché intervenire solo quando i buoi sono scappati, chi ci governa forse dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di adottare misure drastiche di contenimento e di limitazione anche nelle zone a bassa diffusione del virus, proprio per preservare almeno alcune “isole felici”, o meno infelici delle altre.

Oggi, dunque, non è più il tempo di lottare per far capire a tutti come stanno le cose. Oggi è tempo di obbedire scupolosamente agli ordini che ci vengono impartiti, il che significa – inevitabilmente – rinunciare a un bel pezzo della nostra libertà, a partire da quella di movimento. Con quali prospettive?

Nessuno può avere risposte sicure. Quel che però possiamo fare è cercare di delineare il percorso che dobbiamo fare, e le ragioni per le quali non è impossibile frenare l’avanzata del virus, e persino – alla fine – far spegnere questa epidemia.

Per capire come, occorre spiegare alcune cose un po’ tecniche, ma che è essenziale comprendere per arruolarsi convintamente nella armata dei nemici del virus.

In una epidemia, il parametro fondamentale, da cui tutto dipende, è R0. Con questo simbolo (“erre zero”) si intende il numero di persone che, mediamente, ogni infetto contagia prima di diventare innocuo (o perché messo in isolamento, o perché ricoverato o perché deceduto). Il valore di R0 è fondamentale, perché più R0 è grande, più il contagio si allarga velocemente. Se R0 è 2, il tempo medio in cui si resta contagiosi è una settimana, e ci sono 1000 infetti, allora dopo una settimana gli infetti saranno 3000 (i 1000 di partenza + 2000 nuovi infetti). Se R0 è 5, dopo una settimana gli infetti saranno 6000 (i 1000 di partenza + 5000 nuovi infetti). A questo punto il ciclo riparte, con più o meno ritardo a seconda di quanto tempo un neo-infetto impiega a diventare esso stesso contagioso. Ma non ci vuole molto a capire che, una volta che la base di partenza si sia allargata abbastanza, bastano pochissime settimane a generare un numero di infetti molto grande, dell’ordine delle centinaia di migliaia di persone, se non oltre.

Ma quanto è grande R0 nel caso del coronavirus?

Nessuno lo sa, e infatti le stime che sono circolate nella letteratura scientifica, spesso basate su dati cinesi, vanno quasi tutte da 2 a 6, valori entrambi preoccupanti, ma enormemente preoccupanti se il valore effettivo fosse davvero 5 o 6 (come ha autorevolmente congetturato, fra gli altri, il prof. Crisanti, eminente studioso ora arruolato nella task force della regione Veneto).

C’è però anche un’altra risposta, la risposta più corretta, alla mia domanda sul valore di R0: e la risposta corretta è che R0 non esiste, perché non dipende solo dalle caratteristiche del virus ma anche dal nostro comportamento. Sul punto, voglio lasciare la parola al prof. Crisanti:

“Nella letteratura scientifica non ci sono valori di R0 esportabili geograficamente, perché il tasso di replicabilità non dipende solo dalla virulenza del virus, ma molto dalla densità della popolazione di un’area, dalle condizioni di igiene, dalle abitudini di vita, dalla mobilità. Faccio un esempio: la poliomielite nel 1930 aveva un R0 di 12 in Italia. Negli Usa era di 4. Lì avevano le fogne, noi no”

Capite? Trasportato ai giorni nostri, “avere le fogne” si traduce in: rispettare scrupolosamente tutte le regole, a partire dal “distanziamento sociale” e dall’isolamento in casa degli anziani (come me: ho quasi 70 anni).

Se sapremo farlo, il valore di R0, quale che sia oggi, non potrà non scendere. Insomma: non è detto che vinciamo la guerra, avremo sicuramente delle perdite gravi, ma abbiamo anche un’arma con cui combattere.

Ma c’è anche un’altra buona notizia o, se preferite, un altro filo di speranza. Ed è che la matematica del contagio dimostra che, perché l’epidemia si esaurisca, non occorre che R0 sia 0, ma basta che sia minore di 1. Che cosa significa, in concreto?

Significa che non occorre che un infetto non contagi nessun altro, ma basta che il numero medio di contagiati per infetto sia minore di 1. Il che significa, tornando all’esempio dei 1000 contagiati iniziali, che l’importante è che 1000 infetti ne contagino meno di altri 1000, per esempio 900, o 800. Può sembrare strano a chi non è uno specialista di statistica o di epidemiologia, ma è precisamente così. Se R0 è minore di 1, poco per volta l’epidemia, anziché propagarsi, si spegne.

Il compito delle prossime settimane sarà di capire qual è il valore attuale di R0, e di quanto esso cala man mano che noi combattiamo nell’unico modo che ci è concesso, quello della più stretta osservanza delle regole di prudenza. E’ una guerra, lo so, ma è una guerra che non ammette disertori.

Pubblicato su Il Messaggero del 9 marzo 2020
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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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