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Sexgate: cercasi eroina.

13 Dicembre 2017 - di Lidia Ravera

Società

Io non ne volevo scrivere, così come non ho voluto andare a chiacchierarne in televisione, del caso Weinstein & soci. Perché non l’ho capita, quella faccenda. Non ho capito niente. A partire dallo stupore. Non ho capito lo stupore. E, a seguire, non ho capito lo scandalo, non ho capito l’onda lunga innescata da una palpatina del 2002 e tanto impetuosa da travolgere il palpeggiatore in questo disincantato 2017 (mi riferisco al Ministro UK). In questo 2017 di sesso su Tinder, a portata di isolato, di questo sesso geolocalizzato e fruibile in tempi così rapidi da costringerti a rimpiangere quella che con disprezzo veniva chiamata “sveltina”, di questo sesso per appuntamento, come il parrucchiere, come il dentista.
Non ho capito il coro angelico delle violate, non ho capito i coming out tardivi e commossi, i potenti che riciclano l’arroganza in pentimento, non ho capito gli schieramenti, quelli che “Povere donne ricattate” e quelli che “per è da duemila anni ci stanno”. Non ho capito la morale, perché c’è sempre una morale nelle storie raccontate, non ho capito se si stigmatizza chi tace per anni e poi parla, se la si stigmatizza perché ha taciuto (prima) o perché ha parlato (tardi). Oppure si stigmatizza chi, iterativamente, ha abusato del proprio potere, del proprio ruolo nel mondo, della propria forza fisica o sociale, della propria superiorità anagrafica (per le donne è pura perdita invecchiare, per gli uomini di successo no, invecchiare aumenta il loro peso contrattuale), della propria ricchezza.
Si stigmatizzano tutti e due? Eh, no, nelle storie ben raccontate se stigmatizzi sia protagonista che antagonista, ci deve essere un terzo, l’eroe, meglio l’eroina, visto che la figura più penosa la fanno i maschi, con cui il lettore si identifica.
Non ho capito chi è l’eroina.
E allora, per esercizio narrativo, faccio tutte le ipotesi.
L’eroina è quella che non è stata mai palpata, paccata, indotta a fare sesso senza voglia.
Ne conosco. Dicono: “con me non ci hanno mai provato”, e mettono su un cipiglio da leonesse. Sottotesto: non sono il tipo che ci sta in cambio di favori. Si vede subito. L’uomo è bestia ma non è scemo, se ci prova è perché vi mostrate disponibili. Carine, spogliatine, civettine.
Quindi? Tutte in burka e poi ne riparliamo?
No, non è lei l’eroina. Non possiamo accettare che l’esercizio della seduzione (legittimo e benedetto) sia oggetto di autocensura.
Le donne hanno diritto a essere rispettate anche se girano in mutande.
Non è lei l’eroina neanche nella variante “prima della classe”, quella che dice: con me non ci hanno mai provato perché ho talento. Quindi nessuno può farsi la fantasia di avere accesso alle mie grazie in cambio carriera.
L’eroina è forse quella che è stata palpata più volte ma ha sempre preso a schiaffi il palpeggiatore, gli ha morso la mano destra, l’ha accecato con uno spillone, gli ha accorciato i genitali con un calcio? Certo non ha mai subito altro che il primo tentennante approccio, non ha fatto né ricevuto massaggi, e ha continuato la sua cavalcata di amazzone nonostante i trabocchetti del patriarcato.
Ma non è nemmeno lei l’eroina.
Perché in un Paese civile farsi giustizia da sé non è un comportamento virtuoso.
Allora l’eroina è quella che denuncia subito? Quella che esce dal boudoir del produttore e si infila nella prima caserma dei carabinieri?
Oppure l’eroina è quella che tace, elabora l’imbarazzo e l’umiliazione, non frequenta più il palpeggiatore e magari ne paga il prezzo. Resta al palo. Non riceve la parte, il lavoro, il privilegio, la raccomandazione.
No, nemmeno lei, non si può eleggere eroina chi subisce.
Anche se spesso è molto difficile reagire, e chi l’ha provato (cioè il 90% delle donne che accedono al mondo del lavoro) lo sa benissimo.
Ammettiamo che questa sia una storia senza eroine e senza eroi (il maschio che non usa il suo potere per fottere esiste, ma non è un eroe, è semplicemente una persona per bene), che cosa vogliamo fare? Continuare a denunciare, ciascuno cercando il suo riscatto o il suo palcoscenico? Far finta che la società non si sia trasformata in un gigantesco e implacabile mercato dove il sesso è una delle più tristi ma non certo l’unica merce di scambio? Regolamentare la relazione fra i sessi con apposito decreto legislativo, dove al comma 22 si stabilisce che cosa è legittimo riconoscimento sociale (quello sfiorarsi di gote da foyer del teatro la sera della prima) e che cosa è sexual harassement?
Meglio sarebbe andare, sobriamente, alla radice del problema.
La pratica dell’abuso del corpo femminile ha una storia lunga come l’umanità.
Nasce dalla convinzione, radicata nei secoli, che le donne siano umani inferiori, oggetto del desiderio maschile e quindi ammesse a vivere, inadatte a stimolare il desiderio maschile e quindi neglette. Non basta avere un pugno di ministre al governo e qualche quintale di retorica da 8 marzo per ritenere superata questa convinzione profonda.
I cattivi imprenditori di Hollywood con le attrici, gli attori famosi con gli attori non ancora famosi, i ricchi con le povere (Cenerentola docet) ma anche il capufficio con la stagista, il professore con l’assistente, il professionista con la segretaria, il padrone del negozio con la commessa eccetera eccetera vivono una relazione fondamentalmente asimmetrica. Da una parte c’è chi detiene un potere, dall’altra chi non lo detiene.
Gli uomini detengono il potere quasi sempre, le donne molto meno.
Spesso le donne, per attingere a un qualche potere, imparano la lingua degli uomini. E perdono la loro.
Se la relazione fra i generi fosse tra pari, se gli uomini (tutti, non soltanto i migliori) fossero profondamente consapevoli della pari dignità, fra donne e uomini, del pari valore, pur nella sacrosanta diversità, non coverebbero, in un angolo delle loro testoline, l’illusione di farci un favore, quando ci mettono le mani addosso.
Bisognerebbe partire da lì, dalla causa, non ingarbugliare il discorso, commentandone ossessivamente gli effetti.
Il rischio è, se continua questa battuta di caccia al maiale, di paralizzare ogni slancio, anche quello, innocente del corteggiamento
Siamo stati governati per vent’anni da un esemplare praticamente perfetto di potente da rimorchio, uno che le donne se le comprava a casse, le esibiva le scambiava, le copriva di soldi, di privilegi, le infilava nei film, in televisione, in politica.
Lo si è sopportato, in silenzio, dal 1993 al 2011, quando un milione di donne in Piazza del Popolo hanno detto “Basta”! Si erano date un nome significativo, “se non ora quando”, perché erano (eravamo) stanche di subire l’immaginario da barzelletta scollacciata del Capo del Governo.
Quell’immaginario offendeva tutte le donne.
Di quell’immaginario è figlio anche il sexgate che sta scombussolando Hollywood.
Intanto Silvio, che nessuno ha citato in queste cronache, è tornato fra noi.

Pubblicato il 13 dicembre 2017
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Lidia Ravera
Lidia Ravera
Torino, 6 febbraio 1951 Scrittrice sceneggiatrice e giornalista, attualmente Assessore alla Cultura e alle Politiche giovanili della regione Lazio.
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