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Dopo le Europee. Come potrebbe cambiare il sistema politico italiano

16 Gennaio 2019 - di Luca Ricolfi

Politica

Sono sempre di meno, ormai, i politici e gli osservatori che pensano (o sperano) che le tensioni fra Lega e Movimento Cinque Stelle possano condurre a una rottura prima delle elezioni Europee del prossimo maggio. Ed è logico: ormai si è capito che le scintille fra Salvini e Di Maio servono solo ad occupare la scena del circo mediatico, un gioco cui purtroppo il mondo dell’informazione, specie televisiva, ha difficoltà a non prestarsi.

La convinzione che il governo gialloverde, dopo aver felicemente superato lo scoglio della finanziaria, durerà almeno fino a maggio, si accompagna tuttavia alla convinzione opposta per il dopo-maggio: ben pochi sono disposti a scommettere che, incassati i consensi che saranno riusciti a incamerare alle Europee, non prevalga la tentazione di cambiare gioco. Vale per Salvini, cui converrebbe tornare al voto nella speranza di raddoppiare i seggi in Parlamento, ma vale forse anche per Di Maio, che potrebbe prima o poi dover constatare che l’abbraccio con la Lega gli costa troppo in termini di voti.

La vera incertezza che aleggia sulla politica italiana, su cui forse sarebbe il caso di cominciare a riflettere, è come si posizionerebbero le forze politiche nel caso di un ritorno alle urne. Qui le possibilità paiono essere solo due, diversissime fra loro.

La prima è che, dopo un secolo di conflitti fra destra e sinistra, si assista invece a una competizione fra le forze della chiusura, anti-Europa, anti-immigrati, anti-globalizzazione, e le forze dell’apertura, più o meno timidamente pro-Europa, pro-immigrati, pro-mercato. Vedremmo, in quel caso, da una parte i due partiti di governo, magari spalleggiati da Fratelli d’Italia, dall’altra Pd e Forza Italia, verosimilmente alleati con una qualche lista civica nazionale, necessaria per portare sangue elettorale nelle esauste vene dei due partiti egemoni della seconda Repubblica.

La seconda possibilità, che per parte mia ritengo leggermente più probabile, è che si assista a una rinascita in grande stile del bipolarismo destra-sinistra, anche se si tratterebbe di un bipolarismo radicalmente nuovo, in quanto trainato dalle estreme. A destra, Forza Italia dovrebbe rassegnarsi a fare la ruota di scorta della ruspa salviniana, a sinistra – a meno di un improbabile ritorno all’ovile dei voti ceduti al Movimento Cinque Stelle – il Pd si troverebbe costretto ad allearsi con il partito di Grillo, nello scomodo ruolo di puntello e moderatore delle bizze pentastellate. Dopo decenni di bipolarismo egemonizzato dalle forze moderate (Pd e Forza Italia), passeremmo a un nuovo bipolarismo, egemonizzato dalle forze estreme.

Credo che dove si andrà a parare dipenderà molto dall’esito delle elezioni europee. Un grande successo delle forze populiste e sovraniste potrebbe far prevalere il primo scenario, strutturando il conflitto politico intorno alla contrapposizione fra populisti-sovranisti e moderati-europeisti, con conseguente trasformazione del “contratto” fra Lega e Cinque Stelle in un’alleanza organica. Un successo delle forze tradizionali, invece, potrebbe riportare qualche vigore e qualche attualità alla dialettica fra destra e sinistra.

C’è però anche un altro fattore che potrebbe contribuire a far prevalere uno dei due scenari a scapito dell’altro, ed è l’evoluzione politica del Pd. Un Pd aperto all’alleanza con il Movimento Cinque Stelle renderebbe più facile una rinormalizzazione del conflitto politico, favorendo la ricompattazione del fronte di destra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia). Un Pd ostile ai Cinque Stelle gli lascerebbe aperta un’unica strada, quella della creazione di un fronte moderato, o liberal-democratico, o riformista (a seconda di come preferiamo etichettarlo), pronto ad alleanze con liste nuove ma anche con gli ex-nemici di Forza Italia.

Queste due prospettive, secondo molti, sono il non detto del congresso del Pd, che vedrà sfidarsi Zingaretti, il più disponibile a un’alleanza con i Cinque Stelle, e il duo Martina-Richetti, che paiono invece escluderla. Forse, a meno di due mesi dalla data del voto che porterà a scegliere il nuovo segretario del partito, non sarebbe male che i candidati alla segreteria del partito scoprissero le carte. Non solo perché chi andrà a votare per un determinato candidato ha diritto di sapere quali sono le sue reali intenzioni, ma perché la strada che il Pd vorrà intraprendere non sarà priva di conseguenze sul nostro sistema politico, e come tale interessa tutti, non solo gli elettori del Pd.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 14 gennaio 2019
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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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