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Politica

Perché Meloni batte Schlein – Intervista a Luca Ricolfi

2 Giugno 2023 - di fondazioneHume

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Il voto amministrativo ha di solito dinamiche molto locali. Perché queste comunali sono diverse?

Non è che le dinamiche locali e le personalità dei candidati sindaco non abbiano avuto il loro peso, quel che ha fatto la differenza è che una delle due parti in campo – la destra – sia prevalsa nettissimamente sull’altra, per di più in un tipo di consultazioni (le amministrative con ballottaggi) che storicamente non sono congeniali alla destra stessa. Poi c’è un’altra particolarità.

Quale?

Le consultazioni delle scorse settimane, essendosi svolte 9 mesi dopo il voto, sono fuori del raggio della “luna di miele”, che di solito dura pochi mesi. Ciò conferisce al successo della destra un significano politico per così dire “doppio”, o rafforzato, perché il consenso a Giorgia Meloni si manifesta a dispetto dell’esaurimento della fase a lei più favorevole.

L’analisi del risultato di Elly Schlein è stata che soffia il vento della destra e che il nuovo Pd ha avuto poco tempo per attrezzarsi. Che ne pensa di questa chiave di lettura?

In termini scientifici, invocare il “vento della destra” è ridicolo, è come postulare l’azione del demonio per spiegare le cattive azioni degli uomini. Quanto al “poco tempo per attrezzarsi” farei due osservazioni. Primo, se il valore aggiunto di Schlein è stato quello di rincuorare la sinistra, e se davvero il problema era riportare al voto gli elettori di sinistra-sinistra delusi, non si vede perché l’effetto del segnale-Schlein non si sarebbe dovuto avvertire già adesso, ossia a ridosso del suo insediamento al vertice del Pd. In un certo senso, era la neo-eletta Schlein ad essere in luna di miele, quindi non aver saputo cogliere il momento favorevole è particolarmente inquietante per le prospettive del Pd.

E la seconda osservazione?

Di questa sono meno sicuro, ma la butto lì sotto forma di domanda: e se il tempo giocasse contro Schlein piuttosto che a favore? Per confidare nel tempo a disposizione da qui alle Europee bisognerebbe avere una ragionevole chance di risolvere i due problemi fondamentali del Pd, ossia avere una linea politica chiara ed essere riconosciuto come il dominus di un’alleanza più vasta. Le sembra che ve ne siano le condizioni?

Eppure è vero, il voto in Europa, dalla Finlandia alla Spagna passando per l’Italia, dice che la stagione europea dei governi di centrosinistra sta finendo. O no?

È molto difficile dire se sia in atto una tendenza generale, però il fatto che in molti paesi si stiano rafforzando i partiti anti-immigrati o scettici con l’Europa suggerisce che qualcosa stia succedendo. La mia sensazione è che, negli ultimi anni, si stia consolidando un giudizio di inadeguatezza nei confronti dei vertici dell’Europa (Ue ma anche Bce), percepiti come incapaci di tutelare gli interessi primari dei cittadini: contrasto all’inflazione, fine della guerra in Ucraina, difesa delle frontiere esterne. Questo giudizio di inadeguatezza sembra toccare più la sinistra che la destra perché i progressisti hanno un’agenda astratta, etico-moralistica (ambiente, digitalizzazione, diritti, accoglienza eccetera), che va benissimo in tempi di crescita e prosperità, ma diventa inattuale in tempi bui come quelli che stiamo vivendo. Con Ronald Inglehart e la sua teoria della “rivoluzione silenziosa” (1977), si potrebbe dire che un po’ ovunque in occidente la destra è ancora attenta ai cosiddetti valori materialisti (a partire dalla sicurezza fisica ed economica), mentre la sinistra si attarda sui cosiddetti valori post-materialisti o post-borghesi: autorealizzazione, ecologia, diritti, minoranze, apertura.

C’è chi, come Dario Franceschini, ha appoggiato la Schlein sperando di dare la svolta per costruire qualcosa di nuovo a sinistra.

Mah, ho qualche dubbio. Se questo fosse il motivo, oggi vedremmo Francheschini impegnatissimo a elaborare idee, aprire tavoli di confronto, elaborare proposte. Io penso, più prosaicamente, che Franceschini abbia intuito che Bonaccini poteva perdere la sfida.

Ma la destra che si sta affermando in Italia che destra è?

Distinzione essenziale: un conto è la destra, un conto è Giorgia Meloni. La destra è un amalgama di culture politiche diversissime, al limite dell’incompatibilità. Quel che le tiene insieme è il pragmatismo, e la comune priorità di tenere la sinistra lontana dal potere. Giorgia Meloni, da quando è al governo, è espressione di un mix inedito: prudenza e moderazione nei consessi internazionali, esplicito conservatorismo sul piano culturale, cauta difesa degli interessi materiali dei cittadini (contro il fondamentalismo green dell’Europa), keynesismo in campo economico (è più importante aumentare l’occupazione che ridurre le tasse). La cosa interessante è che la sinistra pare non aver ancora capito chi è Giorgia Meloni. E quando dico la sinistra, non intendo tanto i partiti di sinistra, quanto i media che li sostengono. Anzi, direi di più: secondo me gli storici del futuro racconteranno questo periodo come quello in cui buona parte della grande stampa, delle grandi reti tv, degli intellettuali impegnati, riuscirono a far credere al Pd e agli altri partiti progressisti che in Italia fosse in arrivo una nuova forma di fascismo. Un formidabile assist a Giorgia Meloni, perché più il fascismo non arriva, più la sinistra anti-fascista perde credibilità.

Le alleanze finora non fatte nel centrosinistra potrebbero rendere di nuovo competitiva l’area?

Temo di no, anche se sarebbe auspicabile: una destra divenuta onnipotente per implosione dell’opposizione renderebbe zoppa la nostra democrazia.

Ma che cosa ostacola le alleanze a sinistra?

È molto semplice: in Italia ogni leader di sinistra si sente paladino di valori assoluti e irrinunciabili, anziché come rappresentante di interessi e obiettivi parziali, quindi negoziabili. Per questo, nel campo progressista, le alleanze o sono instabili (vi ricordate Bertinotti?), o sono impossibili. Emblematico, in questo senso, è stato il caso di Enrico Letta e del fallito “campo largo” alle ultime elezioni. I media lo hanno messo in croce come incapace e irresoluto, ma secondo me nessun leader progressista, anche infinitamente più carismatico e preparato di Enrico Letta, sarebbe mai stato in grado di mettere d’accordo Conte-Bonelli-Fratoianni-Bonino-Di Maio-Renzi-Calenda. Il problema cruciale della sinistra non è la linea politica, ma sono i suoi cacicchi, i signori della guerra che capeggiano i 7-8 partiti della galassia progressista.

Prossima conta, le Europee del 2024. Prima c’è una legge di bilancio da fare.

E sarà dura, senza ricorrere a scostamenti di bilancio. Proprio perché promette di lenire le ferite delle famiglie – dal caro-bollette all’alluvione, dall’inflazione al cuneo fiscale troppo alto – non sarà facile, per Giorgia Meloni, confezionare una legge di bilancio solida e attenta alle istanze dei ceti popolari. Tanto più che gli alleati cercheranno ognuno di far valere i propri provvedimenti bandiera. Il rischio, per il centro-destra, è di andare alla conta europea ancora più diviso del centro-sinistra. Con la differenza che un cattivo risultato alle Europee sarà molto più pericoloso per Giorgia Meloni che per Elly Schlein (sempre che nel frattempo le correnti del Pd non l’abbiano defenestrata, come fecero con il salvatore della patria Walter Veltroni).

[intervista a “Italia Oggi”, uscita il 1° giugno 2023]

La macabra barbarie contro i morti sepolti

9 Maggio 2023 - di fondazioneHume

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Trovo barbaro, macabro e raccapricciante quel che sta succedendo in Spagna col governo sinistro di Pedro Sanchez. Non mi va nemmeno di parlarne, lo faccio perché qualcuno deve pur dirlo. La chiamano Memoria Democratica e consiste nel prendersela con i morti e i caduti della parte sconfitta, disseppellendoli dalle loro tombe e traslocandoli altrove, in anonime e private tumulazioni, per cancel-lare ogni “infame” accostamento tra i loro resti e quelli dei combattenti anti-fascisti, comunisti e repubblicani. Con l’aggravante di farlo per lucrare misera-mente sul residuale antifascismo e tenere in vita la più tetra memoria del passato per rovesciarla alle elezioni sugli avversari, come il movimento Vox.

Il generalissimo Francisco Franco, il “becero dittatore”, alla fine della Guerra civile, li aveva sepolti insieme, rossi e neri, comunisti e falangisti, repubblicani e nazionalisti, nella Valle de Los Caidos. Lo ritenne un gesto di pietà e di ricon-ciliazione, dopo tanto odio e tanto sangue. Ma la Memoria Democratica non am-mette requiem né civile memoria, tantomeno condivisa; neanche dopo morti e dopo 84 anni dalla fine della Guerra Civile. Respinge ogni idea di pacificazione degli animi e di parificazione delle vittime, rifiuta il senso cristiano della pietas almeno post mortem e si accanisce con bestiale sciacalleria sui resti di poveri caduti degli anni trenta. Lo fa oggi perché ormai non c’è più nessuno a difendere la memoria del passato, nessun familiare diretto, nessun movimento che ne tuteli la memoria; solo sparuti, anacronistici militanti della testimonianza proibita, come le poche decine di persone che hanno tentato una flebile protesta.

Il governo rosso cancella la definizione stessa di Valle dei Caduti, e deporta le spoglie di coloro che sono seppelliti ma che appartennero alla parte avversa all’epoca vincente, rispetto a quella repubblicana e antifascista che i vincitori invece seppellirono accanto ai vinti, per lanciare un messaggio di pacificazione a un paese così sanguinosamente lacerato. Dopo la traslazione dei resti di Francisco Franco, di cui scrivemmo, il governo in carica formato dall’alleanza tra la sinistra del vecchio Psoe e la nuova sinistra radicale e grilleggiante di Podemos, ha esumato e cacciato dalla sua tomba i resti di José Antonio Primo de Rivera, fondatore del Movimento Falangista, ucciso, anzi fucilato, a 36 anni dai repub-blicani. Primo de Rivera era il Che Guevara della Rivoluzione nazionale e sociale spagnola, non fece in tempo a vivere il regime di Franco né la fase cruenta della guerra civile; Franco alla sua morte, congelò lo spirito nazional-rivoluzionario del movimento falangista e la sua carica ideale. José Antonio non amava il Fuhrer e scriveva: “Con Hitler non ci intenderemo mai. Non crede in Dio” e detestava il razzismo. “Che non ci si parli della razza, l’impero spagnolo non fu mai razzista; anzi, raggiunse l’immensa gloria proprio per aver unito uomini di tutte le razze”. José Antonio fu ucciso agli inizi della guerra civile, dunque non partecipò al cal-vario più terribile di quel paese, le atroci crudeltà compiute da ambo le parti, con lo speciale accanimento dei comunisti e stalinisti verso suore e preti, civili e minori, e perfino anarchici. Una pagina atroce che destò il disgusto di molti combattenti idealisti che erano accorsi in Spagna per difendere la Repubblica antifascista ma rimasero poi sconvolti e spiazzati dalle crudeltà, anche gratuite, commesse dai loro stessi compagni. Ne cito alcuni, tra i più famosi, oltre il celebre Ernst Hemingway: lo scrittore cattolico Georges Bernanos, lo scrittore liberal-so-cialista George Orwell, la giovane pensatrice Simone Weil, il combattente repub-blicano Randolfo Pacciardi. Erano andati tutti per combattere in difesa della Repubblica e della libertà, contro il franchismo e il falangismo. Ma dovettero presto fare i conti con le atrocità compiute dai loro stessi compagni.

José Antonio era un mito per la gioventù europea, non aveva fondato alcun regime sanguinario, alcuna dittatura, si era solo battuto lealmente in una guerra civile per i suoi ideali e per la difesa della Spagna eterna contro il pericolo comunista, ateo e stalinista. Fu un capo carismatico, un oratore coinvolgente, un combattente intrepido, un sognatore politico. Era avvocato, padre di quattro figli, a sua volta figlio di Miguel Primo de Rivera, generale e dittatore col consenso del Re negli anni venti. José Antonio sognava una Rivoluzione nazionale che coniugasse i valori tradizionali della Spagna cattolica, con i valori popolari di giustizia sociale e difesa dei lavoratori. Mi innamorai di lui da ragazzo, ricordo il suo discorso testamento: “La bandiera è stata issata. Andiamo a difenderla allegramente, poe-ticamente…il nostro posto è fuori, all’aria libera, sotto la notte chiara, arma in spalla e in alto le stelle”. A lui dedicò una biografia elogiativa Giorgio Almirante.

Non si tratta di riaprire e tantomeno di riscrivere le pagine della storia, figuria-moci. E’ proibito farlo, ormai, in Europa: e dico non in chiave apologetica e nem-meno revisionistica ma semplicemente e rigorosamente storica. Ma si tratta di denunciare a che livello di inciviltà, di disumanità e di odio sia giunta la “memoria democratica” toccando il fondo peggiore della “cancel culture” applicata alle spoglie dei defunti, ai trapassati remoti, fino al macabro disseppellimento e cacciata post mortem con odio eterno. Anche le più fiere e cruente ideologie mili-tari e militanti del secolo scorso, si sono fermate davanti all’oltraggio ai cadaveri. I regimi totalitari del passato, comunisti o nazisti, hanno sterminato milioni di morti ma nessun regime è andato a disseppellire e processare i cadaveri del passato. E’ solo una bestiale pratica del nostro presente, pur così pacifista, così sensibile e così pronto a indignarsi se viene maltrattato un fiore o un vitello. Dio ci scampi dalla Memoria Democratica.

di Marcello Veneziani

Il silenzio di Schlein

26 Aprile 2023 - di Luca Ricolfi

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È di qualche giorno fa una lettera che un nutrito gruppo di femministe hanno indirizzato a Elly Schlein. Oggetto: la posizione del Pd e della neosegretaria in materia di utero in affitto, o GPA (gestazione per altri).

Le scriventi sono contrarie, e si rivolgono a Elly Schlein, che invece si è ripetutamente dichiarata a favore, perché riveda la sua posizione. Inoltre, parlano con accenti critici della pretesa, da parte delle coppie che sono ricorse alla GPA, di ottenere la trascrizione automatica (all’anagrafe italiana) dei certificati di nascita rilasciati all’estero. La loro preoccupazione principale è che la sinistra lasci il tema alla destra che, a loro dire, lo distorcerebbe “per piegarlo a un progetto di riaffermazione della famiglia tradizionale istituzionalizzata e obbligatoria”.

La lettera è alquanto mielosa e adulatoria, e forse anche per questo ha suscitato la vivace reazione di Marina Terragni, la esponente più attiva della Rete per l’Inviolabilità del Corpo femminile, un gruppo ben più coerentemente impegnato, da tempo, non solo contro la pratica dell’utero in affitto, ma contro tutto il complesso delle pratiche del “progetto transumano”: autoidentificazione di genere (self-id), carriera alias nelle scuole, transizione facilitata, ricorso agli ormoni, sex work, assistenza sessuale ai disabili. Su questo, il gruppo della Terragni avrebbe apprezzato un pronunciamento più chiaro e una presa di posizione più netta, con particolare riguardo all’idea di dichiarare reato universale l’utero in affitto, come vorrebbe il governo.

Dalla lettura dei due testi si capisce che, su questi temi, il mondo femminile è spaccato. E lo è non tanto fra sostenitrici e nemiche dell’utero in affitto (i sondaggi mostrano che la maggioranza delle donne è contraria), ma sulla adesione al progetto transumano. Qui le posizioni sembrano essere tre: iper-femministe alla Schlein, favorevoli a tutto o quasi tutto il pacchetto; femministe della lettera a Schlein, contrarie all’utero in affitto ma prudenti o favorevoli sul resto; femministe radicali, come Terragni, contrarie a tutto il pacchetto.

Al di là delle convinzioni sui vari elementi del pacchetto, è interessante la dinamica politica che si è innescata. Le femministe della lettera a Schlein le chiedono di fare un passo indietro, perché hanno capito che – se si andasse allo scontro – la gente starebbe con chi critica l’utero in affitto, e il Pd ne sarebbe travolto. Il gruppo di Marina Terragni, viceversa, si chiede perché rivolgersi proprio a Schlein, visto che se ne conoscono le posizioni oltranziste su tutto o buona parte del pacchetto.

Credo che Marina Terragni abbia ragione. La questione non è politica, ma etica e culturale. E la vera posta in gioco non sono i diritti dei bambini, o le discriminazioni fra tipi di famiglie, ma l’accettabilità del pacchetto transumano. Una faccenda che chiama in campo considerazioni morali, antropologiche, filosofiche, bioetiche, su cui i progressisti sono molto più divisi dei conservatori. Se la sinistra non lo capisce, e la vuole buttare in politica, può anche farlo. Ma, così facendo, offrirebbe alla destra il proprio scalpo su un piatto d’argento.

Forse è per questo che, oggi come in passato, Schlein si guarda bene dal rispondere alle femministe.

La mente (inconsapevolmente) totalitaria di Noemi Di Segni

24 Aprile 2023 - di Dino Cofrancesco

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Confesso un profondo sconcerto quando leggo, sulle più importanti testate italiane, che il governo di Giorgia Meloni stenta ancora a riconoscere il fascismo come male assoluto. Anche una persona squisita come Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia, in un’intervista a ‘La Stampa del 21 aprile u.s., ha dichiarato che “ Giorgia Meloni e gli altri esponenti del governo devono capire che il fascismo ha fatto cose gravissime a partire dalle leggi razziali e devono capire che è stato un male assoluto per tutte l’Italia. Giorgia Meloni ha detto che le leggi razziali sono state un abominio ma ha mancato di dire che le ha fatte un governo fascista. Le leggi non nascono da sole, qualcuno le ha volute e le ha firmate”. Ancora una volta si chiede alla destra al governo di dichiararsi antifascista, non bastando la professione di fede democratica (che per un liberale comporta poi sia l’antifascismo che l’anticomunismo).

 Tra l’altro, nell’intervista, Di Segni adopera il termine ‘revisionismo’ come ‘un peccato contro lo Spirito’, per dirla con Croce, ignorando che il revisionismo è l’imperativo metodologico di ogni storico serio: se i racconti del passato fossero ‘veri’ come sono vere le leggi delle scienze naturali, che senso avrebbe  sottoporli alla critica della ragione storica? In realtà, la political culture ,in cui si riconosce l’intervistata–e con lei quasi tutti gli intellettuali impegnati del nostro paese—da qualche tempo ha dichiarato una guerra spietata a ogni tipo di revisionismo storiografico: ormai a dirci cosa realmente  fu il fascismo sembrano essere rimasti l’Anpi e  Gianfranco Pagliarulo. La ‘vulgata antifascista’—da cui vent’anni fa rifuggivano anche gli storici di sinistra– è diventata una verità di Stato e persino la più alta carica della Repubblica ha messo in guardia contro la tentazione di ripetere che il fascismo ha fatto anche cose buone. E’ il pensiero unico che celebra i suoi trionfi e che, se fosse coerente, dovrebbe porre al bando l’intervista sull’antifascismo che un politico e studioso comunista del calibro di  Giorgio  Amendola rilasciò a Piero Melograni (Ed. Laterza 1976): Il ‘Secolo d’Italia’ scrisse che i riconoscimenti tributati al regime superavano quelli che si potevano leggere nell’Intervista sul fascismo di Renzo de Felice. Ma ormai chi si ricorda più del  maggiore storico del fascismo del nostro tempo, di Augusto Del Noce, il geniale filosofo politico che alle diverse forme di totalitarismo dedicò le sue riflessioni più profonde? Chi cita più i grandi storici e scienziati politici d’oltralpe e d’oltreoceano che sul fascismo, sul nazismo, sul comunismo hanno scritto pagine fondamentali ma che oggi sembrano ignorate?

 Meloni e altri esponenti della sua area politica e culturale hanno condannato le leggi razziali e l’alleanza col Terzo Reich? Per le Vestali della Liberazione non basta: avrebbero dovuto dire che quelle pagine nere del regime fascista erano iscritte tutte nel suo DNA ideologico: insomma avrebbero dovuto scavalcare a sinistra studiosi come A. James Gregor o Ernst Nolte, elaborando una teoria dei crimini commessi dai fascisti che li presentasse come effetti naturali di cause autoevidenti. Davvero una strana pretesa, questa,  che riporta in auge quelle che un tempo si chiamavano ‘filosofie della storia’ ,intese come visioni del mondo in cui tutto era concatenato, tout se tient.

  Sennonché le ‘filosofie della storia’ sono un prodotto tipico dell’ideologia intesa come falsa coscienza che appende a un chiodo—il Valore, o il Disvalore, posto a fondamento di una politica—tutto il seguito positivo o negativo che si fa discendere da una scelta originaria o da un’idea che abbia trovato delle baionette, per dirla questa volta con Napoleone. Così per un tradizionalista doc (ce ne sono ancora) la presa della Bastiglia è all’origine del regicidio, del Terrore, delle guerre napoleoniche della finis Europae. E, analogamente, per un laicista ateo e razionalista, dalla religione cristiana discendono tutte le brutture che hanno segnato nei secoli il vecchio continente: dalle crociate ai roghi dell’Inquisizione etc.. In Controstoria del liberalismo (Ed. Laterza 2005), lo storico della filosofia, il compianto, Domenico Losurdo scriveva, della tradizione di pensiero liberale, che “Nessun’altra più di essa si è impegnata a pensare a problema decisivo della limitazione del potere. Epperò, storicamente, questa limitazione del potere è andata di pari passo con la delimitazione di un ristretto spazio sacro: maturando un’autocoscienza orgogliosa ed esclusivistica, la comunità dei liberi che lo abita è spinta a considerare legittima la schiavizzazione ovvero l’assoggettamento più o meno esplicito, imposti alla grande massa dispersa per lo spazio profano. Talvolta si è giunti perfino alla declinazione e all’annientamento. E’ dileguata del tutto questa dialettica in base alla quale il liberalismo si trasforma in un’ideologia del dominio e finanche in un’ideologia della guerra?”. Per il marxista Losurdo non c’era nessun dubbio che razzismo e colonialismo fossero iscritti nell’ideologia liberale. Ne costituiva una riprova la storia degli Stati Uniti.” |…| La Costituzione additata come modello consacra la nascita del primo Stato razziale, mentre l’autogoverno qui osannato garantisce ai proprietari di schiavi del Sud il legittimo godimento della loro proprietà senza interferenze da parte del governo federale”. Va detto che Losurdo, uno studioso sempre molto documentato e autore di libri che si leggono ancora oggi con profitto, al di là del dissenso teorico, era molto più serio del collega antichista romano, Antonio Capizzi, che scrisse un saggio degno dell’inquisizione stalinista—il titolo dice tutto– Alle radici ideologiche dei fascismi. Il mito della libertà individuale da Constant a Hitler (Roma, Savelli, 1977) per dimostrare la continuità profonda tra il Discorso  di Constant sulla libertà dei moderni comparata a quella degli antichi col Mein Kampf di Adolf Hitler.

 A mio avviso, uno storico—liberale o meno che sia—non può sottoscrivere nessuna delle due interpretazioni del liberalismo ma il problema non è questo, bensì è quello di stabilire se una comunità politica, che si ispiri ai valori della società aperta debba esigere che i suoi cittadini si riconoscano nel racconto ufficiale della storia predisposto dallo stato democratico o debba limitarsi a esigere l’assoluta fedeltà alla Costituzione e codici di cittadinanza in linea coi suoi valori. Per fare un’ipotesi non del tutto irreale, se un regime comunista o un partito comunista non si accontentasse della conversione marxleninista di un cittadino già militante in una formazione democratica borghese ma esigesse da lui il riconoscimento di aver militato in passato nell’area ideologica che teorizzava e praticava lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il genocidio, la colonizzazione non sarebbe una riprova della mens totalitaria del comunismo? E se l’esaminando dicesse: lascio il mondo capitalista, borghese, liberale non perché era il male assoluto ma perché non ha mantenuto le sue promesse, non ha risolto il problema della giustizia sociale non ha eliminato lo sfruttamento del proletariato interno ed esterno, potrebbe egualmente ottenere  la tessera del PCI o del PCUS?

 I  veri numi tutelari della ricerca storica non sono i santi dell’Inquisizione—cattolica o laica—ma i grandi scettici, come Michel de Montaigne o David Hume. Essi insegnano che la storia non è un processo necessitato in cui ogni casella, ogni momento del suo divenire, si colloca al posto giusto ma è un sistema aperto, dove può sempre accadere di tutto, dove ciò che poi accade realmente trova una sua spiegazione logica ma poteva non accadere.

 Quando si dice che il fascismo è il male assoluto e se ne vuol fare una verità di fede per tutti i cittadini non ci si ispira ai valori alti  dell’Occidente ma all’ideologia del Grande Fratello sempre più esigente che non può certo accontentarsi    della condanna senza appello delle leggi razziali e dell’esecrazione del Patto d’Acciaio che distrusse non solo le nostre città ma indebolì, forse irreparabilmente, lo stesso sentimento d’amor patrio. Se non si dice che  fin dall’inizio il fascismo fu quanto di peggio e di più pestilenziale avrebbe potuto abbattersi sull’Italia, non ci si può accostare al fonte battesimale della democrazia. Resta, pur sempre, il problema della   maggioranza dei nostri connazionali che gli assicurarono un ampio consenso–a cominciare dagli intellettuali, dagli imprenditori, dalle autorità ecclesiastiche, dalla ‘gente meccanica e di piccolo affare’. Come va considerata? Come ‘massa damnationis’ i cui residui storici attendono una bonifica integrale?

 La Meloni viene da ambienti ‘che ci hanno creduto’, da persone che, in buona fede, videro nelle camice nere il movimento e poi il governo che salvarono il paese dall’anarchia e realizzarono non poche significative riforme sociali, facendole pagare—beninteso–con la perdita delle libertà statutarie (perdita per noi inaccettabile ma non per gli Italiani del tempo, stanchi di guerre civili e di violenze, come ben riconobbero, storici non certo reazionari da Angelo tasca a Federico Chabod, da Renzo de Felice a Roberto Vivarelli). . Sono proprio tenuti i ‘postfascisti’ a qualificarsi come ‘antifascisti’, a buttare nella spazzatura della storia idealità in cui hanno creduto in buona fede e che, semmai hanno visto tradite, a partire dalle leggi del ‘38 e dall’entrata in guerra del 1940 (le vide tradite, ad esempio, una figura di intellettuale di grande onestà e cultura come Giano Accame, amico personale di Giampiero Mughini, che pure volle la sua bara avvolta nella bandiera della RSI)? Non esito a dire che non potrei avere nessuna stima per Giorgia Meloni se , per compiacere l’assordante canea degli antifascisti in servizio permanente effettivo, si proclamasse ‘finalmente’ antifascista: a parte il fatto che non convincerebbe nessuno dei suoi nemici politici –direbbero che è stata dichiarazione tardiva e imposta–, sarebbe per lei ammettere che nel fascismo storico ci sono state solo ombre e nessuna luce– nell’Erebo può dominare solo il buio pesto—e che la sua milizia politica passata è stata un’imperdonabile peccato di gioventù. Ci manca solo che si pretenda da lei, a questo punto,  di prendere posizione a favore di Claudio Pavone nella durissima polemica che l’oppose al salveminiano  Roberto Vivarelli, autore di un testo esemplare, La fine di una stagione. Memoria 1943-1945 (Il Mulino, 2013), in cui lo storico, rievocando la sua giovanile adesione alla Repubblica Sociale,  la spiegava con le circostanze in cui era avvenuta, e, quel che è peggio, scriveva che non ne era affatto pentito della sua scelta.

 Debbo aggiungere, però, che non avrei nessuna stima ,altresì, di un dirigente o di un intellettuale di sinistra che oggi si definisse anticomunista. Il comunismo, come ormai è acclarato, fece più vittime del nazismo e di ogni altro regime golpista della storia contemporanea messi insieme, ma perché non riconoscere a quanti hanno creduto nelle sue ‘promesse’ una buona fede, attestata, tra l’altro, dalla disponibilità a dare la vita per la’causa’, a sacrificare una tranquilla vita borghese in difesa di idealità nobilissime, come l’eguaglianza e la giustizia sociale? Dovrei chiedere ai tanti amici comunisti, che ho conosciuto, frequentato e apprezzato per il loro impegno civile, di considerare il ‘socialismo reale’ come l’altro Male assoluto del XX secolo, come riteneva il presidente Reagan?

 Il pensiero egemone, in Italia, per citare i versi di Trilussa, sta “sprecanno troppe cose belle in nome della fede”: forse è il segno inequivocabile della nostra decadenza.

Bonaccini e Schlein non rispondono al nostro Questionario, Calenda si

23 Febbraio 2023 - di fondazioneHume

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Mentre continuiamo ad attendere quelle dei quattro candidati alla Segreteria del PD, Carlo Calenda ci invia le sue di risposte.

Le trovare di seguito segnate in rosso.

 

MERCATO DEL LAVORO

1          Che cosa pensa dei voucher?

□ rischiano di far aumentare la precarietà

□ possono agevolare la emersione del lavoro nero

2          Che cosa pensa del salario minimo legale?

□ sono contrario, meglio affidarsi alla contrattazione sindacale

□ sono favorevole a un salario minimo legale nazionale di (almeno) 9 euro l’ora

□ sono favorevole a un salario minimo legale, ma differenziato per settore produttivo e

    costo della vita del territorio

IMMIGRAZIONE, CRIMINALITA’, ORDINE PUBBLICO

3          Secondo lei la concorrenza degli immigrati contribuisce a tenere bassi i salari degli italiani?

□ sì

□ no

4          Se dovesse scegliere il ministro dell’interno, quale fra questi ministri del passato  preferirebbe?

□ Minniti

□ Lamorgese

5          Come vede il rapporto fra criminalità e immigrazione?

□ non ci sono differenze apprezzabili fra italiani e stranieri

□ gli stranieri delinquono di più, ma le vittime sono soprattutto gli italiani benestanti

□ gli stranieri delinquono di più, ma le vittime sono soprattutto gli abitanti delle periferie

ECONOMIA E POLITICHE SOCIALI

6          Supponga di avere 10 miliardi a disposizione, e di dover scegliere una e una soltanto fra tre destinazioni. Quale sceglierebbe?

□  sgravi fiscali su tutte le famiglie

□  sgravi fiscali su tutte le imprese

□  sgravi fiscali solo sulle imprese che aumentano l’occupazione

7          Pensa che, in questa fase, sarebbe utile per l’Italia varare un’imposta patrimoniale una tantum sui ceti alti e medio-alti?

□ sì

□ no

SCUOLA

8          Si parla talora della possibilità di introdurre borse di studio per consentire agli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lei come giudica questo tipo di misura?

□ positivamente, perché il merito va promosso e premiato

□ negativamente, perché escluderebbe gli studenti privi di mezzi ma in difficoltà con gli studi

9          Che cosa pensa dei telefonini in classe?

□ sono da vietare, salvo il caso in cui l’insegnante li ritenga indispensabili a fini didattici

□ sono utili, non andrebbero vietati

10        In via generale, lei pensa che sarebbe giusto o sbagliato legare una parte della retribuzione degli insegnanti a una valutazione del merito?

□ giusto

□ sbagliato

11        Talora si parla della possibilità di dare ai presidi il potere di confermare i supplenti che hanno ben operato, indipendentemente dalle graduatorie.

Lei come giudica questa possibilità:

□ positivamente

□ negativamente

DIRITTI CIVILI

12        In materia di lotta alle discriminazioni lei riproporrebbe il ddl Zan?

□ sì, lo riproporrei tale e quale

□ preferirei una versione meno radicale

13        Lei è favorevole o contrario a legalizzare la gestazione per altri?

□ favorevole

□ favorevole, ma solo nei casi in cui la gestazione è gratuita

□ contrario in ogni caso

14        E’ favorevole o contrario al cosiddetto self-id (completa libertà di cambiare genere, sulla base di una auto-dichiarazione)?

□ favorevole

□ contrario

15        E’ favorevole o contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere?

□ favorevole

□ contrario

ECOLOGIA E AMBIENTE

16        Se lei fosse attualmente al governo, appoggerebbe la direttiva europea che impone l’adeguamento entro il 1° gennaio 2030 delle case con classi energetiche F e G?

□ la appoggerei

□ cercherei di rimodularla, dando molto più tempo per l’adeguamento

17        Lei è favorevole o contrario alle trivellazioni in Adriatico per ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero?

□ favorevole

□ contrario

18        Quale è il suo giudizio sugli episodi di imbrattamento dei muri e delle opere d’arte nei musei in nome dell’ambiente?

□ prevalentemente positivo

□ prevalentemente negativo

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